La responsabilità da reato degli enti

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a cura di Antonio D’avirro e Astolfo Di Amato Vol. X del “Trattato di Diritto Penale dell’Impresa”, diretto da Astolfo Di Amato Ed. CEDAM, Padova 2009, pp. 922, euro 100,00

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L’opera in recensione tratta in maniera approfondita ed analitica della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche introdotta dal D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231.

Il volume raccoglie in modo sistematico i contributi di numerosi Autori, che forniscono una compiuta panoramica dell’importante novità legislativa a distanza di qualche anno dalla sua entrata in vigore.

Il testo è suddiviso in due parti: la prima analizza i profili di diritto sostanziale, la seconda quelli di diritto processuale.

Come ben evidenziato da Riccardo Salomone nel primo capitolo, il D.L.vo 231/01, superando il tradizionale dogma di origine romanistica “societas delinquere non potest”, ha introdotto una nuova forma di responsabilità conseguente a reato, diretta a sanzionare in via autonoma le persone giuridiche, secondo le forme del processo penale. L’Autore, nel capitolo seguente, esamina inoltre la regolamentazione dei principi generali di legalità, tassatività e irretroattività, fissati dal Legislatore nei primi articoli del Decreto.

Una approfondita analisi della nuova forma di responsabilità introdotta dal D.L.vo 231/01 è offerta da Nicola Pisani, nel terzo capitolo, in cui sono illustrati la struttura dell’illecito ed i criteri di imputazione. L’Autore esamina, in primo luogo, i requisiti di natura oggettiva della fattispecie quali, la commissione di un reato, consumato o tentato, tra le fattispecie espressamente indicate; l’esistenza di un rapporto qualificato tra l’autore del reato e l’ente; la circostanza che la commissione del reato corrisponda ad un interesse o vantaggio per l’ente. Sotto il profilo soggettivo, l’Autore evidenzia come la specifica colpevolezza dell’ente si configuri quando il reato commesso da un suo organo, o da un suo sottoposto, si inquadra in una precisa politica aziendale, ovvero è quantomeno riconducibile ad una “colpa d’organizzazione”, consistente nella mancata adozione di specifici modelli comportamentali.

I modelli organizzativi sono trattati da Antonio D’Avirro nel capitolo quarto. L’Autore sottolinea l’importanza di tali strumenti, grazie ai quali l’ente, nel caso in cui il reato presupposto sia stato commesso da un soggetto “in posizione apicale”, non risponde se prova di aver adottato ed efficacemente attuato modelli...

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