La legge penale nei propri rapporti con le persone e con lo spazio; il computo dei termini

AutoreMaria Grazia Maglio/Fernando Giannelli
Pagine609-621

Page 609

@1. Cenni storici e di diritto comparato

L'art. 3 del codice Zanardelli recitava: «Chiunque commette un reato nel territorio del Regno è punito secondo la legge italiana».

Il cittadino è giudicato nel Regno, ancorché sia stato giudicato all'estero

(art. 11, primo comma, c.p.).

Lo straniero che sia stato giudicato all'estero è giudicato nel Regno, se il Ministro di giustizia ne faccia richiesta

(art. 11, secondo comma, c.p., anche in relazione al cittadino, e con richiamo degli artt. 7, 8, 9 e 10 c.p.).

L'art. 13, primo comma, del codice penale svizzero recita: «Il presente codice si applica a chiunque commette un crimine o un delitto nella Svizzera».

L'art. 4 del codice penale russo del 1961 così disponeva:

Le persone che commettono reati nel territorio della R.S.F.S.R. soggiacciono a responsabilità secondo il presente codice

.

Ogni questione relativa alla responsabilità penale dei rappresentanti diplomatici di Stati esteri e dei cittadini che, per effetto delle leggi vigenti o di accordi internazionali, non sono soggetti alle autorità giudiziarie sovietiche, viene risolta per via diplomatica ogni volta che tali persone commettano reati sul territorio della R.S.F.S.R.

.

@2. Il problema dei destinatari della legge penale

L'art. 3 c.p. recita: «La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini, o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale».

La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all'estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale

.

Il disposto dell'art. 3 c.p. fa sorgere il problema dell'individuazione dei destinatari della legge penale.

Ci si è chiesto, in primo luogo, se sia possibile scindere, ai fini di tale individuazione, la norma in precetto e sanzione, per concludere che, mentre il precetto «primario» è rivolto a tutti i consociati (es.: «non uccidere», «non rubare»), agli organi dello Stato, e, principalmente, al giudice, è rivolto il precetto «secondario» di attuare la voluntas legis, con l'effettiva applicazione della sanzione comminata dal legislatore.

Tale impostazione è stata ampiamente criticata (PANNAIN, ANTOLISEI, MANTOVANI), e tende ad essere abbandonata, siccome residuo di una visione del diritto penale oppressiva ed antiquata: al giudice si rivolge il precetto (e la sanzione, ovviamente) di cui all'art. 328 c.p., nel caso che deliberatamente non giudichi (nella stragrande maggioranza dei casi si tratterà di illeciti disciplinari che, se assumano carattere di sistematicità - secondo la consolidata giurisprudenza del C.S.M. al riguardo - giustificheranno l'applicazione di sanzioni disciplinari, con le procedure confacenti - E. MELE) (vedasi l'art. 124 c.p.p.), ma, di una norma incriminatrice qualsiasi, al giudice non è rivolto il precetto, né gli si rivolge, per alcun verso, la sanzione.

Ci si chiede, poi, se la legge penale italiana si diriga anche ai non imputabili.

Salvo quanto si dirà circa i rapporti concernenti la categoria degli immuni e quella dei non imputabili, va, qui, appena riferito che, mentre parte della dottrina (BETTIOL) identifica l'incapacità giuridico-penale con la mancanza di imputabilità, altri autori (DELL'ANDRO, CARNELUTTI, BINDING, GERLAND) riconducono il difetto di imputabilità alla categoria della incapacità di agire (artt. 85 c.p., 2046 c.c., 2 L. 24 novembre 1981, n. 689, canoni 1322, 1323 e 1324 in parte qua c.j.c.); va, però, segnalata la tesi del DELL'ANDRO nella conclusione, particolare, che il difetto di imputabilità, jure poenali, ridonderà pur sempre in difetto di capacità giuridica: all'uopo l'autore richiama la tesi del SANTORO PASSARELLI secondo cui, quando per l'atto dell'incapace non è ammessa rappresentanza (es.: matrimonio dell'interdetto), si versa in un caso di incapacità giuridica, non di agire (per contrari rilievi: RESCIGNO).

Il VANNINI sostenne non potersi ipotizzare la destinatarietà, per il non imputabile, di una legge penale, che per lui non troverebbe applicazione.

Tale tesi è coerentemente inquadrata nel pensiero dell'autore, che non assegna valenza di legge penale alla c.d. norma-garanzia (NUVOLONE. BRICOLA), nella specie alla disposizione dell'art. 85 c.p., che richiede la capacità di intendere e di volere quale presupposto del reato (LEONE, PANNAIN). Ma la tesi del VANNINI è seguita anche dal PANNAIN, che, per vero, con riguardo al tema dell'analogia in bonam partem, riconosce la qualifica di legge penale anche alle disposizioni non incriminatrici; il PAGLIARO, poi, che segue l'impostazione del PANNAIN in tema di estensione della locuzione «legge penale» anche, ad esempio, alle cause di giustificazione, ammette, incoerentemente, l'analogia in bonam partem, ad onta del divieto posto dall'art. 14 disp. prel. c.c. (il PETRONCELLI, quanto alle leggi penali non incriminatrici, parla di norme penali in senso ampio).

Noi osiamo credere che la legge penale italiana si diriga anche ai non imputabili, ai sensi dell'art. 3 c.p. e dell'art. 28 disp. prel. c.c.: legge penale è anche quella che prevede (art. Page 610 85 c.p.) la impossibilità che l'effetto secondario (DELL'ANDRO), cioè il momento della responsabilità penale, interessi il non imputabile. Il comportamento tenuto dal non imputabile sarà sempre giudicato con il massimo rigore, altrimenti non si saprebbe come applicare al non imputabile una formula di proscioglimento per insussistenza del fatto, per non aver commesso il fatto, per la presenza di una causa di giustificazione, di estinzione del reato, per l'assenza di condizioni di punibilità, o di procedibilità; e certamente anche al non imputabile si applica la legge penale italiana nei casi di cui agli artt. 7-13 c.p.

@3. Collocazione dommatica delle immunità nel diritto penale

Nel diritto penale, interno ed internazionale (diverso è il diritto internazionale penale, espressione dell'accordo generale tra Stati nella lotta alla criminalità - MANTOVANI), secondo quanto recita l'art. 3 c.p., sono preveduti dei limiti all'obbligatorietà della legge penale.

È l'eterno problema delle immunità nel diritto penale. Innanzi tutto, ci appare doveroso limitare la portata del fenomeno: non crediamo, infatti, che possa esser qualificata, tecnicamente, immune la persona assistita dall'esimente di cui all'art. 649 c.p. (così, invece, MANTOVANI), non ricorrendo, qui, superiori interessi politici attinenti allo Statoapparato, nei vari momenti di estrinsecazione della sua personalità, sia sotto il profilo interno, sia sotto quello internazionale. Non crediamo neanche che siano da qualificare immuni le persone non assoggettate alla legge penale italiana, secondo le disposizioni di cui agli artt. 8 ss. c.p. Ed, invero, dal testo dell'art. 3, secondo comma, c.p., che dichiara assoggettati alla legge penale italiana i cittadini e gli stranieri che vi contravvengono in territorio estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima, si desume che, in questo caso, l'immunità è la regola, non l'eccezione, che, quindi, essa non può interessare lo studioso nell'esigenza di collocazione dommatica del fenomeno (contra: PAGLIARO).

Parte della dottrina (M. GALLO, MORO, PETROCELLI), nel trattare dell'argomento che c'interessa qui, giunge alle seguenti conclusioni: capaci jure poenali sono gli imputabili e i non imputabili, poiché questi ultimi sono capaci nel senso dell'assoggettabilità a misure di sicurezza; incapaci sono, allora, solo gli immuni.

Cominciamo con il ricordare che, jure poenali, le persone non imputabili sono capaci giuridicamente, ed incapaci di agire; che, quando sono socialmente pericolosi (artt. 203 e 133 c.p.), i non imputabili non divengono capaci, sotto ogni profilo, per il diritto penale, in base al rilievo dell'assoggettabilità a misure di sicurezza, nonché a quello della riconducibilità della pericolosità sociale al novero delle forme di capacità di agire penalmente rilevanti (DELL'ANDRO).

Secondo noi, il non imputabile socialmente pericoloso è capace giuridicamente per il diritto penale, per lo stesso è incapace di agire, ma è capace di agire per il diritto amministrativo, oltreché, per lo stesso, capace giuridicamente.

Le misure di sicurezza sono definite misure amministrative di sicurezza sia dall'art. 199 c.p., sia dalla rubrica del Titolo VII del Libro I del codice penale militare di pace.

Conosciamo il brocardo «rubrica legis non est lex», ma non vorremmo dimenticare che la rubrica legis è legge anch'essa, solo essendo caratterizzata da recessività a fronte di una disposizione, o di un sistema, insanabilmente contrari al testo della rubrica legis. Invece, non solo non è dato rinvenire alcunché in contrario, ma a favore dell'indicazione di cui in rubrica sono da richiamare i caratteri di indeterminatezza delle misure di cui si tratta, da una parte, e, dall'altra, di revocabilità - anche prima del termine minimo edittale - da parte del magistrato di sorveglianza.

Quanto si adduce in contrario, cioè la natura giurisdizionale del «procedimento di sicurezza» (LEONE, DE MARSICO, ANTOLISEI, FIANDACA, MUSCO) non prova, poi, tanto, ben potendo, a questi patti, l'applicazione, ed, ancor più, l'esecuzione delle misure di sicurezza, costituire uno dei tanti casi di attività formalmente giurisdizionale e sostanzialmente amministrativa (RANELLETTI, SANTI, ROMANO). E così in effetti è (MANZINI, BETTIOL, PANNAIN, SANTANIELLO).

Redeamus nunc ad litora: alla conclusione dell'incapacità jure poenali dei soli immuni, di solito si obietta (ANTOLISEI, PANNAIN) che essa ha dell'assurdo, tesa come sarebbe a privare di capacità proprio le persone che rivestono le più alte cariche, cui, proprio in considerazione delle stesse, viene riconosciuta la non estensibilità del carattere obbligatorio della legge penale italiana.

Ma l'equivoco è evidente, dice il MARINI: l'incapacità jure poenali è, se mai, un omaggio alla...

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