A proposito di «Cibernetica diritto e società» di Vittorio Frosini

AutoreCostantino Ciampi
Pagine12-26

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  1. Nel 1973 è stata pubblicata dalle Edizioni di Comunità, nella collana «Diritto e cultura moderna» curata da Renato Treves e Uberto Scarpelli, la seconda edizione del saggio di Vittorio Frosini Cibernetica diritto e società (Milano 1973, 179 p.).

    In questa seconda edizione, alle prime 126 pagine del saggio originale del 1968 - riprodotte senza mutamenti, se si eccettuano alcuni ritocchi all'Indice (p. 7) e una breve prefazione (p. 10) - sono state aggiunte un'Appendice (pp. 127-172), riproducente tre articoli già parzialmente pubblicati in due riviste italiane (Civiltà delle macchine e Nuova Antologia) tra il 1968 e il 1972, e una Bibliografia critica (pp. 173-175), in cui sono elencati gli scritti e le recensioni dedicati alla prima edizione del saggio. In chiusura v'è, infine, - come nella prima edizione - l'Indice dei nomi (pp. 177-179), aggiornato coi nuovi nomi citati nell'Appendice.

  2. Nel riesame critico di questo libro di Frosini, ormai ampiamente noto anche al di fuori dello stretto ambito specialistico, non si può prescindere da un'obiettiva valutazione delle circostanze in cui l'opera apparve e delle reazioni da essa più o meno direttamente provocate; per quel che mi riguarda, in particolare, la prima lettura del saggio originale - nel 1968 - contribuì notevolmente a confermarmi nella scelta degli studi intrapresi nel campo dell'informatica giuridica. Il libro, nuovo nel suo genere, particolarmente ricco d'informazioni e ben documentato, forniva un quadro completo delle interessanti esperienze che s'andavano compiendo in varie parti del mondo, dagli Stati Uniti all'Unione Sovietica, nel campo dell'applicazione degli elaboratori elettronici al diritto. In cinque capitoli di agevole lettura (I. Il diritto artificiale; II. L'automazione amministrativa; III. L'ideologia cibernetica; IV. La coscienza artificiale; V.Page 13 Etica e cibernetica), esso offriva al lettore preziose riflessioni su cinque grandi interrogativi, via via più lontani dal campo d'indagine strettamente giuridico e tutti inquadrabili in una problematica di tipo filosofico: 1) può il ragionamento giuridico essere perfettamente obiettivizzato, reso «privo di passioni», e in qualche modo automatizzato utilizzando le nuove macchine elettroniche? in altre parole, si può riuscire a produrre un diritto artificiale?; 2) quali sono le forme e i modi della moderna meccanizzazione dell'attività amministrativa pubblica? quali le sue principali conseguenze sull'«artificialità» del diritto?; 3) quali influenze ha esercitato la nuova dimensione cibernetica sul comportamento sociale, in quanto comportamento ideologico?; 4) può la coscienza, sotto l'aspetto della capacità di riproduzione e di apprendimento (p. 95), essere generata come prodotto artificiale? ha senso, cioè, parlare di una coscienza delle macchine?; 5) può, infine, una macchina fornita di coscienza artificiale essere considerata un soggetto morale, capace di godere e di soffrire alla stessa stregua dell'uomo? e, più in generale, quali sono i rapporti tra etica e cibernetica? Com'è chiaro, la tematica affrontata era molto ampia, spaziando dal diritto alla scienza dell'amministrazione, dalla sociologia alla psicologia, dalla logica all'etica, e Frosini aveva il pregio di trattarla con uno stile personalissimo di cui sono caratteristiche peculiari la grande tensione intellettuale, dovuta alla sua fede nella razionalità e nel progresso scientifico, e il notevole equilibrio, unito alla garbatezza nel prender posizione su questo o quel problema, nel più completo rispetto delle posizioni altrui. Poteva dirsi pertanto ampiamente raggiunto l'intento dell'Autore di «mantenere un criterio generale interpretativo, che è quello di una valutazione critica senza essere scettica fiduciosa senza essere entusiastica» e, soprattutto, di «presentare al lettore una sorta di guida per un territorio che non è ancora reso familiare agli studiosi di argomenti giuridici e politici» (p. 126).

    Per quanto riguarda la problematica di fondo trattata nel saggio del 1968, la seconda edizione del libro si presenta praticamente immutata. È stata però aggiunta in essa, come ho già precisato, un'Appendice riproducente tre articoli; diPage 14 questi solo il terzo (Il futuro degli studi umanistici, pp. 165-172) può considerarsi del tutto omogeneo con il libro originario, non tanto per ragioni temporali - essendo esso stato concepito contemporaneamente al saggio - quanto per motivi stilistici e di contenuto, che potremmo definire filosofico in senso lato. Gli altri due articoli (La ricerca elettronica della giurisprudenza in Italia e in Belgio, pp. 129-147, e Il cittadino e il calcolatore nell'esperienza giuridica italiana, pp. 149-163) rispondono, invece, più che a interessi filosofici, a interessi operativi, cioè sembrano essere indirizzati, oltre che ai giuristi teorici, anche agli operatori pratici del diritto e ai tecnici dei nuovi sistemi informativi. Infatti, nel primo si trova un'interessante descrizione comparativa di due sistemi per la ricerca automatica delle informazioni giuridiche, già operanti, rispettivamente, in Italia presso la Corte di Cassazione e in Belgio presso il CREDOC (il centro di documentazione giuridica colà realizzato su iniziativa di avvocati e notai); nel secondo articolo, non privo di notevoli considerazioni di carattere generale, è contenuta un'ampia rassegna critica delle esperienze teoriche e pratiche compiute in Italia nel campo dell'applicazione dei calcolatori al diritto, specie nel settore della Pubblica Amministrazione.

  3. C'è da dire qualcosa di nuovo sul libro di Frosini? Non basta quel che se n'è detto finora? Quale può essere il nuovo angolo visuale da cui porsi nel recensire il libro? Un suggerimento per rispondere a quest'ultimo interrogativo lo offre lo stesso Frosini che, nel suo articolo Considerazioni sulla fortuna di un piccolo libro (pubblicato nel Bulletin n. 4, 1970, del Centro di giuscibernetica dell'Università di Torino, pp. 56-75), nell'intento di fare il punto sulle reazioni provocate dal suo saggio nell'ambito della cultura italiana, ha molto efficacemente distinto gli scritti dei suoi recensori e annotatori in quattro tipi: «primo, quello dei filosofi di professione; secondo, quello dei moralisti, e cioè di scrittori con varie attitudini, che hanno dimostrato però un interesse comune di carattere appunto etico-civile; terzo, quello dei sociologi; e quarto, infine, quello dei giuristi» (p. 57).

    Ebbene, io intenderei svolgere le mie considerazioni da un punto di vista diverso da ciascuno di quelli che Frosini ha indicato, e precisamente dall'angolo visuale che potrei definirePage 15 proprio - mi si perdoni la presunzione - dell'informaticogiurista di professione; e ciò non per vano desiderio di originalità, ma per aderire alla mia esperienza di studio e di lavoro.

    Come informatico, mi pongo un dubbio preliminare: quale taglio avrebbe dato Frosini al suo lavoro se lo avesse scritto nel 1973? e, in particolare, avrebbe conservato per il suo saggio il titolo Cibernetica diritto e società o lo avrebbe piuttosto mutato in Informatica diritto e società? La questione, che non è puramente estrinseca e formale, può essere così precisata in termini più chiari: la seconda edizione del saggio, che in quanto «altra» edizione deve considerarsi una «nuova» operazione...

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