Profili di incostituzionalità della legge in materia di inappellabilità delle sentenze

AutoreNicolangelo Ghizzardi
Pagine621-625

Page 621

@1. Premessa.

La legge che modifica il codice di procedura penale in materia di inappellabilità, dopo il rinvio alle Camere, da parte della Presidenza della Repubblica, è stata rivista e corretta ed è stata nuovamente approvata e promulgata.

In base al nuovo testo dell'art. 593 c.p.p., sarà vietato l'appello del pubblico ministero contro le sentenze di primo grado che si siano concluse con il proscioglimento dell'imputato con qualsiasi formula.

Unica eccezione è rappresentata dal caso in cui, dopo il giudizio di primo grado, siano sopravvenute o scoperte nuove prove, sempre che tali prove siano decisive a carico dell'imputato.

È proprio tale deroga, peraltro, la novità introdotta rispetto al testo rinviato alle Camere dal Capo dello Stato.

Senza deroghe è, invece, la preclusione all'appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento emesse a seguito del giudizio abbreviato.

Immutato, poi, è rimasto il testo di legge per quanto attiene alla impugnazione delle sentenze di non luogo a procedere contro le quali, a norma del novellato art. 428 c.p.p., è esperibile solo il ricorso per cassazione.

È stata, di contro, prevista la possibilità della parte civile di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento ai soli effetti della responsabilità civile.

Si tratta di vedere, ora, se i rilievi di incostituzionalità evidenziati dal Capo dello Stato nel messaggio di rinvio della legge alle Camere, abbiano ancora una ragion d'essere o se gli stessi possano ritenersi superati per effetto delle modifiche introdotte.

Da subito, è possibile rilevare che il nuovo testo ha recepito totalmente la richiesta del Presidente della Repubblica con riferimento alla vittima del reato che, nel testo rinviato alle Camere, non aveva alcuna possibilità di fare valere le sue doglianze contro la sentenza di proscioglimento e che ora, invece, è stata restituita nelle facoltà previste dall'art. 576 c.p.p.

Non pare, di contro, che analogo discorso possa farsi per quanto attiene alla posizione del pubblico ministero il cui potere di appellare le sentenze di proscioglimento, pur con la deroga introdotta, è da ritenere ipotesi del tutto marginale riconducibile a casi assolutamente eccezionali.

Ed infatti, prevedere la possibilità dell'appello solo in presenza di nuove prove sopravvenute dopo il giudizio, significa ipotizzare che le nuove prove siano scoperte nel breve lasso di tempo che intercorre tra la pronuncia della sentenza e la scadenza dei termini di impugnazione e, quindi, in un ambito temporale estremamente ridotto tale che i casi di appello del pubblico ministero avranno una incidenza percentuale assai prossima allo zero.

Permangono, pertanto, tutte le perplessità che da più parti sono state sollevate in ordine alla legittimità costituzionale della nuova disciplina e, su tale problematica, pare opportuno e doveroso un approfondimento.

@2. La motivazione della proposta.

Il fondamento della modifica normativa è stato individuato nella necessità di rendere attuale ed operativo nel nostro ordinamento processuale il principio sopranazionale posto dall'art. 2 del Protocollo n. 7 della Salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, reso esecutivo con L. 9 aprile 1990 n. 98 ed entrato in vigore il 1º febbraio 1992.

Tale disposizione sancisce il diritto al doppio grado di giurisdizione in materia penale per chiunque venga dichiarato colpevole di un reato.

Ebbene, tale diritto, nell'ottica dei proponenti la proposta di legge, non sarebbe garantito dal vigente codice di rito che consente che un cittadino, prosciolto in primo grado, possa essere condannato in grado di appello con la conseguente impossibilità, in relazione a tale ultima pronuncia, di vedere attuato il doppio grado di giurisdizione di merito, avendo come unico rimedio esperibile il ricorso in cassazione, con i limiti che tale forma di impugnazione comporta.

Il richiamo a tale referente normativo ha indotto alcuni ad affermare che il diritto al doppio grado di giurisdizione è coperto da una garanzia internazionale e, per ciò stesso - è da presumere - da una garanzia costituzionale.

A ben vedere, la necessità internazionale alla quale si è inteso ricollegare il fondamento della legge sulla inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, in concreto non sussiste e ciò emerge inequivocabilmente dallo stesso referente normativo richiamato.

Ed infatti, il secondo comma dell'art. 2 del citato protocollo prevede delle eccezioni al principio del doppio grado di giurisdizione tra cui il caso in cui una persona «sia stata dichiarata colpevole e con-Page 622dannata a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento».

È evidente che tale ipotesi non può che riferirsi al ricorso presentato dal rappresentante della pubblica accusa che è la parte che può dolersi della sentenza di assoluzione e che può avere interesse ad impugnare.

D'altro canto, la possibilità del ricorso per cassazione contro la sentenza di appello di condanna attua, comunque, il doppio grado di giurisdizione voluto dalla norma internazionale che espressamente sancisce il diritto di ogni persona dichiarata colpevole «di sottoporre ad un tribunale della giurisdizione superiore la dichiarazione di colpa o la condanna».

La stessa norma, poi, affida «l'esercizio di questo diritto, ivi inclusi i motivi per cui esso può essere invocato» alla legge dello Stato.

Conseguentemente, il doppio grado di giurisdizione a cui fa riferimento la norma internazionale non necessariamente deve intendersi come doppio grado di merito.

In definitiva, non sembra che il vigente codice di rito possa ritenersi in contrasto con...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT