Il principio di legalità nello statuto della corte penale internazionale

AutoreValentina Andreini
Pagine921-924

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@1. Il nullum crimine sine lege e il nulla poena sine lege.

Lo Statuto della Corte penale internazionale, approvato a Roma il 17 luglio 1998 1, rappresenta il punto d'approdo di una lunga elaborazione normativa di diritto convenzionale e, in misura maggiore, di diritto consuetudinario, che ha condotto alla creazione di quello che ormai unanimemente viene definito come il primo «Codice» di diritto internazionale penale.

È la prima volta che in seno alla comunità degli Stati viene approvato uno Statuto di un organo giudicante internazionale che, non limitandosi a qualificare come crimini internazionali determinati comportamenti individuali, identifica i criteri oggettivi e soggettivi ai fini dell'imputazione del fatto di reato all'autore dello stesso, nonché le conseguenze giuridiche connesse alla commissione delle fattispecie incriminatrici ivi contemplate.

Nel terzo capitolo dello Statuto di cui si discute, infatti, il legislatore internazionale si preoccupa di codificare quei principi generali cui necessariamente deve informarsi un diritto penale rispettoso dei requisiti minimi ed irrinunciabili di civiltà, posti a tutela della persona umana. Si tratta di un capitolo che, benché si presenti come meramente ricognitivo di precetti ormai da tempo consolidatesi nel diritto internazionale consuetudinario, purtuttavia riveste un'indubbia portata innovativa, atteggiandosi a «parte generale» dello Statuto in esame; dando vita, così, unitamente alla parte dedicata all'enucleazione delle singole fattispecie criminose, ad un autentico primo codice penale internazionale, sul modello dei codici penali dei Paesi del civil law.

Il summenzionato terzo capitolo esordisce con l'enunciazione dei due principi del nullum crimine sine lege e del nulla poena sine lege, in cui si sostanzia il più ampio principio di stretta legalità 2. E, benché fortemente mitigata dalla presenza nel testo statutario del disposto di cui all'articolo 21 3 sul quale ci si soffermerà nel prosieguo della trattazione, l'importanza giuridica dell'affermazione, a livello di normazione internazionale, di tale principio non può essere in alcun modo disconosciuta.

Informando, infatti, l'intera attività del novello organo giudicante al principio di legalità il legislatore statutario ha inteso segnare il definitivo punto di rottura rispetto alle giurisdizioni ad hoc ex post facto, che avevano dominato il panorama internazionale a partire dall'immediato dopoguerra 4.

In particolare, l'articolo 22, paragrafo I, nel sancire che «una persona è penalmente responsabile in forza del presente Statuto solo se la sua condotta, nel momento in cui viene realizzata, costituisce un crimine di competenza della Corte», delinea il nucleo portante del principio del nullum crimine sine lege, ravvisabile nella necessaria previa sussistenza di un precetto statutario che qualifichi un dato comportamento come crimine ex art. 5 5, rispetto alla concreta commissione dello stesso. In sostanza, affinché una persona possa essere ritenuta penalmente responsabile e, conseguentemente, punibile dalla Corte penale internazionale è richiesta la previa definizione ad opera dello Statuto del precetto penale, degli elementi costitutivi di ogni singola tipologia delittuosa ascrivibile nella competenza dell'organo giudicante internazionale.

Analogamente, nel sucessivo articolo 23, il legislatore statutario delinea il contenuto essenziale del contiguo principio del nulla poena sine lege, sancendo che «una persona che è stata condannata dalla Corte può essere punita solo in conformità alle disposizioni del presente Statuto». S'intende, in tal modo, assicurare la preventiva determinazione della pena da comminarsi in relazione ad ogni singola fattispecie criminosa, contemplata nello Statuto, rispetto alla concreta commissione della stessa.

Da quanto sin qui rilevato, può desumersi chiaramente che, se le istanze sottese ai due principi del nullum crimine sine lege e del nulla poena sine lege sono le medesime, consistenti essenzialmente nella necessità avvertita come imprescindibile di assicurare la certezza della legge penale e, per suo tramite, perseguire un'efficace protezione dei diritti dell'accusato, differenti sono i rispettivi livelli d'azione.

Con l'affermazione del principio del nullum crimine sine lege, ponendosi una «riserva di legge» per ciò che attiene all'identificazione della fattispecie delittuosa, si è inteso assicurare che la determinazione del precetto penale avvenisse in via generale ed astratta, rendendone altresì possibile la sua preventiva conoscibilità da parte dei potenziali destinatari dello stesso.

Nel nulla poena sine lege può ravvisarsi, invece, l'intento, fatto proprio dal legislatore statutario, di scongiurare, mediante appunto una previa identificazione della sanzione da comminare in relazione ad ogni singola tipologia delittuosa, il rischio di una giustizia penale del caso concreto, ponendo l'imputato a riparo da possibili arbitri dell'organo giudicante nell'esercizio del suo potere punitivo.

Con lo Statuto della Corte penale internazionale trovano, quindi, definitiva attuazione le istanze, da più parti fortemente avvertite in seno all'ordinamento internazionale, tese alla creazione di un tribunale che potesse concretamente operare quale autentico giudice naturale ante facto, sulla base di una preventiva e tassativa individuazione normativa dei reati sottoposti alla sua giurisdizione, nonché delle relative pene 6.

@2. Il principio di legalità e le funzioni della pena.

Storicamente si è molto discusso sulla funzione socio-politica di un diritto penale fondato sul principio di legalità, nelle due dimensioni sin qui rilevate 7, evidenziandone talora l'aspetto schiettamente intimidatorio, di minaccia nei confronti della generalità dei consociati, in un'ottica inizial-Page 922mente meramente retributiva 8 poi general-preventiva 9; talora ponendo l'attenzione sulla funzione cosiddetta di «orientamento culturale» 10, perseguita mediante appunto la previa individuazione del comportamento proibito, di ciò che, in un determinato contesto storico, non può non essere oggetto di valutazione in termini di illiceità penale da parte dell'ordinamento giuridico.

Ebbene, sulla base di quanto sin qui succintamente evidenziato, delle ragioni, cioè, che hanno storicamente determinato l'affermarsi dei due principi del nullum crimine sine lege e del nulla poena sine lege, alcune considerazioni s'impongono circa il loro recepimento nello Statuto della Corte penale internazionale, alla luce soprattutto del differente contesto in cui essi si trovano ad operare.

In particolare, essendo la competenza ratione materiae della Corte, a norma dell'articolo 5 11, limitata ai crimini di genocidio, contro l'umanità e di guerra si può ragionevolmente dubitare, almeno nella maggior parte delle ipotesi delittuose contemplate nello Statuto in esame 12, della necessità di una preventiva identificazione normativa del reato al fine di assicurare la previa conoscibilità del precetto penale, di ciò che è consentito o non è consentito fare. Si tratta, infatti, di delitti il cui profondo ed innegabile disvalore penale certamente non abbisogna, al fine di consentire un consequenziale adeguamento del comportamento dei consociati al precetto normativo, di un'espressa e preventiva affermazione ad opera del legislatore statutario. Per chiarire la concreta portata di tali affermazioni è sufficiente soffermare l'attenzione sul disposto degli articoli statutari disciplinanti le singole tipologie delittuose: per esempio, sull'art. 6, laddove si qualifica come genocidio l'uccisione di membri di un gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso con l'intento precipuo di determinare la distruzione, totale o parziale, del gruppo stesso; sull'art. 7, allorquando si identifica come crimine contro l'umanità l'omicidio o la tortura, se perpetrate nell'ambito di un esteso e sistematico attacco contro le popolazioni civili.

Dalla semplice lettura di tali disposizioni statutarie, menzionate a titolo meramente esemplificativo, si evince agevolmente che ci si trova dinnanzi a fattispecie la cui rilevanza penale non può essere in alcun modo disconosciuta. In altri termini, non può essere seriamente revocato in dubbio che colui il quale ponga in essere taluno di tali efferati crimini non sia consapevole, a prescindere dall'esistenza di una previa disposizione statutaria, della natura delittuosa dello stesso o, quantomeno, della sua offensività 13.

Nonostante quanto sin qui rilevato 14, l'istituzione della Corte penale internazionale conserva certamente la sua innegabile importanza per ciò che attiene agli altri profili sopra evidenziati.

Ci si riferisce principalmente alla prioritaria funzione di orientamento culturale che le norme statutarie sono certamente chiamate ad assolvere nel lungo periodo, essendo proprio il loro auspicato ruolo pedagogico, nell'ambito della comunità internazionale, una delle ragioni che hanno sollecitato la creazione del novello organo giudicante.

Al riguardo, appare opportuno evidenziare che se tale ruolo è palesemente ed innegabilmente esercitato dalla Corte nei riguardi delle persone fisiche, rappresentando esse, a norma dell'articolo 25, paragrafo I, gli unici soggetti di diritto sottoposti alla sua giurisdizione, tuttavia, non trascurabile è la funzione pedagogica che le previsioni statutarie saranno presumibilmente in grado di svolgere anche nei confronti degli Stati parti. Ciò può evincersi dall'analisi dei presupposti costituenti, ex art. 17 dello Statuto in esame, le condizioni legittimanti l'intervento della Corte.

La previsione, nel summenzionato articolo, «del difetto di volontà» e «dell'incapacità» dello Stato parte quali prerequisiti necessari per l'attivazione della giurisdizione dell'organo giudicante di cui si discute, può, infatti, essere letta nel senso di una sollecitazione nei confronti degli Stati parti ad operarsi al fine di garantire che i responsabili dei crimini...

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