Il Codice di procedura penale non prevede il regolamento preventivo di competenza

AutoreFrancesca Ruggieri
CaricaAssociato di procedura penale all'Università dell'Insubria
Pagine1034-1036

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  1. - Nell'affermare il principio dell'inammissibilità del regolamento preventivo di competenza nel processo penale, la Corte di cassazione ha escluso che, nel caso sottoposto al suo esame, il pubblico ministero, a cui erano stati trasmessi gli atti a seguito di sentenza di incompetenza territoriale ex art. 22 comma 3 c.p.p., potesse limitarsi a sollecitare al proprio giudice, per le indagini o per l'udienza preliminare, una pronuncia negativa di competenza, senza inoltrare alcuna domanda di merito.

    L'iter argomentativo della Corte è lineare: a seguito della sentenza di incompetenza territoriale del Giudice per l'udienza preliminare di Palmi il processo è regredito alla fase delle indagini preliminari; in questa fase, in caso di dubbio sulla competenza del giudice presso cui esercita le sue funzioni, il rappresentante dell'accusa può solo ricorrere alla procedura di cui all'art. 54 c.p.p. (contrasti negativi tra pubblici ministeri). Nel caso di specie, tuttavia, poiché la sentenza vincola il rappresentante dell'accusa, il pubblico ministero di Milano avrebbe potuto esclusivamente proporre una domanda di merito al proprio giudice: al giudice per le indagini, qualora avesse ritenuto necessario un provvedimento incidentale o si fosse orientato a chiedere l'archiviazione; al giudice dell'udienza preliminare qualora si fosse determinato per l'esercizio dell'azione penale.

    In difetto di tali richieste, poiché il Giudice per le indagini di Milano non è stato investito della cognizione del processo, presupposto indefettibile dell'istituto del regolamento di competenza, il denunciato conflitto è inesistente.

  2. - La pronuncia, certamente condivisibile, costituisce l'epilogo di un travagliato iter giurisprudenziale. Due, a ben vedere, sono i profili problematici sottesi alla pronuncia in esame. La discussione relativa alla connotazione dell'istituto del conflitto di competenza, nel caso di specie, infatti, presuppone che sia, anzitutto, fatta chiarezza sulla disciplina del principio della irretrattabilità dell'azione penale in caso di pronunce di incompetenza.

    Il legislatore del 1989, disciplinando gli effetti della dichiarazione di incompetenza, aveva prevalentemente applicato il principio della non regressione.

    Solo l'art. 22 c.p.p., infatti, prevedeva la trasmissione degli atti al pubblico ministero e quindi una limitata eccezione a tale principio, nell'ipotesi di incompetenza dichiarata nel corso dell'udienza preliminare, eccezione dettata al fine di «superare i problemi di coordinamento» che una diversa formulazione avrebbe creato in caso di incompetenza per materia «con riferimento al giudizio pretorile, dove il decreto di citazione è emesso dal pubblico ministero» 1.

    Gli artt. 23 e 24 c.p.p., proprio in ossequio al detto principio di non regressione prevedevano viceversa la trasmissione degli atti al giudice, nell'ipotesi di incompetenza dichiarata nel corso del giudizio o in appello. Il quadro normativo è stato modificato dalle note sentenze della Corte costituzionale 2.

    Oggi, il giudice che dichiari la propria incompetenza per qualsiasi causa, deve rimettere gli atti al pubblico ministero. La soluzione pare coerente con il rispetto del diritto di difesa, presupposto delle pronunce della Corte costituzionale sul punto 3, ma non è idonea altresì a delineare i poteri del pubblico ministero a seguito della regressione del processo alla fase delle indagini.

    La giurisprudenza, interpretando i dettati della Corte costituzionale quale un'eccezionale deroga al principio di irretroattività, ritiene che l'attività del rappresentante dell'accusa a seguito della trasmissione degli atti debba essere limitata ad una nuova richiesta di rinvio a giudizio 4, e quindi sia vincolata all'esercizio dell'azione penale.

    In dottrina, invece,benché siano controversi i limiti temporali dell'attività del pubblico ministero ad quem, da taluno delimitati entro i termini originari 5, da altri subordinati alla necessità di una nuova iscrizione ex art. 335 c.p.p. (e quindi estesi entro il nuovo decorso del termine delle indagini) 6, si ritiene che, a seguito della regressione, il pubblico ministero sia di nuovo libero di determinarsi in ordine all'esercizio o meno dell'azione penale 7.

    In quest'ultimo senso si è chiaramente espressa anche quella giurisprudenza di merito secondo la quale il pubblico ministero ha «piena padronanza del procedimento trasmessogli, con ogni libertà di valutazione e determinazione in ordine all'esercizio dell'azione penale ed agli ulteriori accertamenti ed indagini da compiere a riguardo» 8.

    La pronuncia in esame, rimarcando come «il P.M. milanese» non abbia «adottato alcuna determinazione circa l'esercizio dell'azione penale» né «altrimenti investito il Gip con richieste di merito», si inserisce in questo orientamento. A seguito della trasmissione degli atti successivamente allaPage 1035 declaratoria di incompetenza, il pubblico ministero ritorna dominus della fase delle indagini e, soprattutto, del suo epilogo.

  3. - Come ha ritenuto la Corte, ribadendo sul punto un suo precedente orientamento 9, l'unico vincolo al pubblico ministero di Milano, libero di determinarsi o meno in ordine all'esercizio dell'azione penale, e di sollecitare altresì, preliminarmente, provvedimenti giurisdizionali incidentali, era costituito dalla sentenza di incompetenza territoriale del Giudice di Palmi.

    A questo proposito è bene precisare subito come l'esistenza di una sentenza di incompetenza renda anzitutto inapplicabile l'istituto del contrasto tra pubblici ministeri.

    Nell'ipotesi in discorso non vi è stata, infatti, traslazione degli atti da un pubblico ministero ad un altro ufficio del rappresentante dell'accusa, ma è intervenuto un provvedimento giurisdizionale di incompetenza. Deve pertanto ritenersi precluso il ricorso ai meccanismi di risoluzione tipici della fase delle indagini, che, disciplinati dagli artt. 54, 54 bis e 54 ter c.p.p., attribuiscono i provvedimenti in ordine ai «contrasti», negativi e positivi, tra pubblici ministeri, al superiore «gerarchico» 10 (procuratore generale presso la corte d'appello o la Cassazione) 11. Come è noto, del resto, tale istituto, proprio perché relativo ad una «parte» del processo, non è assimilabile né ha alcun effetto sulla competenza del giudice 12.

  4. - Al fine di «censurare» la ritenuta incompetenza dell'organo giurisdizionale presso cui esercita le sue funzioni il pubblico ministero di Milano avrebbe potuto solo proporre una domanda al giudice per le indagini (di richiesta incidentale o di archiviazione) o al giudice per l'udienza (in caso di esercizio dell'azione penale). Nell'uno e nell'altro caso, peraltro, il rappresentante dell'accusa non avrebbe mai potuto limitarsi ad una mera «istanza di declaratoria di incompetenza», come è invece avvenuto.

    In entrambi i casi, per la configurazione di un eventuale conflitto negativo di competenza tra giudici, sarebbe stato necessario, e sufficiente, il concorso di almeno due circostanze: la pregiudizialità, anche solo logica, della «questione di competenza, all'esame del merito» e una «stasi processuale» 13.

    L'organo giurisdizionale, che pure può rilevare l'incompetenza anche ex officio, deve essere richiesto di un qualsiasi provvedimento: solo una domanda di merito, infatti, comporta necessariamente la - preliminare - verifica sulla competenza a provvedere a riguardo. Diversamente, il giudice è privo di qualsiasi potere.

    La pronuncia in esame, là dove rimarca il «difetto di cognizione» del Giudice di Milano non concerne la facoltà del pubblico ministero - come di qualsiasi altra parte - di denunciare un eventuale conflitto di competenza ai...

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