L'udienza preliminare: la nuova cadenza valutativa tra indagine e processo

AutoreGiulio Garuti
Pagine869-875

    È il testo, parzialmente modificato, della relazione tenuta a Frascati il 12 maggio 2000, nell'ambito dell'incontro di studio organizzato dal C.S.M. sul tema Giudice unico e riforme processuali.


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@1. Premessa.

È proprio con riguardo all'udienza preliminare che il processo di elaborazione della L. 16 dicembre 1999 n. 479 ha vissuto il suo maggior travaglio. Se in un primo tempo, la fase contemplata dagli articoli 416 c.p.p. e seguenti è stata abolita e sostituita con un istituto assolutamente inedito - l'udienza predibattimentale - in seguito essa è stata riproposta, anche se piuttosto «arricchita». Il risultato è dunque una udienza preliminare dalla fisionomia «ipertrofica» 1, inserita all'interno di un disegno di ristrutturazione teso a incrementare l'efficienza del processo, senza però rinunciare alla sua struttura originaria. È in quest'ottica, allora, che il legislatore ha mantenuto un momento di verifica sulla consistenza dell'accusa in funzione di filtro tra indagini e dibattimento, optando tuttavia per un ampliamento dei poteri del giudice incaricato di tale verifica e per un conseguente spostamento del baricentro del processo in questa fase intermedia.

Al di là delle singole problematiche collegate allo svolgimento della nuova udienza preliminare 2, ciò che in questa sede interessa considerare è il cambiamento intervenuto in ordine all'attività - vuoi pratica, vuoi valutativa - che segue alla discussione disciplinata dall'art. 421 c.p.p.

@2. Impossibilità di decidere allo stato degli atti e incompletezza delle indagini.

Al termine della discussione prevista dall'art. 421, quando il giudice non sia in grado di decidere allo stato degli atti perché ritiene incomplete le indagini preliminari, emette una ordinanza con la quale indica le «ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare». Tale provvedimento viene comunicato al procuratore generale affinché disponga l'avocazione delle indagini, con decreto motivato, qualora lo ritenga opportuno (art. 421 bis).

Una corretta lettura della disposizione in esame impone di affermare che la scelta del giudice di emettere l'ordinanza di integrazione delle indagini non si fondi sull'assoluta impossibilità di decidere allo stato degli atti, bensì sull'opportunità di differire l'epilogo dell'udienza preliminare per evitare che qualsiasi decisione sia condizionata dalla mancanza di elementi conoscitivi, di vario segno, importanti. Ciò significa che l'impossibilità del giudice di decidere allo stato degli atti deriva dalla volontà di quest'ultimo di emettere una pronuncia a seguito di un accertamento completo, relativo cioè a tutte, e non soltanto ad alcune, le ipotesi di ricostruzione del fatto suggerite dagli elementi già acquisiti. Insomma, il giudice dell'udienza preliminare vuole evitare il rischio di emanare una decisione motivata da una valutazione che, in realtà, dipende da lacune investigative.

Introducendo un meccanismo parzialmente simile a quello previsto dall'art. 409, comma 4, il legislatore del 1999, con l'art. 421 bis, ha affidato al giudice dell'udienza preliminare un controllo che si articola su due livelli: prima di procedere al sindacato in ordine alla richiesta di rinvio a giudizio, egli è tenuto ad accertare il grado di completezza delle indagini svolte in sede preliminare. Tuttavia, considerato il tipo di giudizio prognostico effettuato nell'ambito dell'udienza preliminare, il giudice non sarà tenuto a emettere l'ordinanza di cui all'art. 421 bis ogniqualvolta riscontri elementi di incompletezza investigativa, ma soltanto laddove operi una valutazione di incompletezza che si rifletta direttamente sull'idoneità (o sull'inidoneità) degli elementi raccolti nel corso delle indagini a sostenere l'accusa in dibattimento.

Quanto al contenuto specifico dell'ordinanza richiamata dalla disposizione in esame, la previsione legislativa è piuttosto scarna. Sembra dunque corretto affermare che il giudice possa indicare indagini sia per supportare ulteriormente la richiesta di rinvio a giudizio, sia per mettere in discussione gli elementi posti in origine a fondamento della richiesta stessa. Tuttavia, in assenza di una disciplina particolare delle indagini difensive, è difficile pensare che il destinatario delle indicazioni del giudice possa essere il difensore dell'imputato.

Per quanto riguarda il livello di precisione che deve caratterizzare le indicazioni del giudice, ci domandiamo se quest'ultimo debba suggerire in modo generico ulteriori indagini, prospettare temi investigativi da approfondire, o identificare analiticamente atti da compiere. Se la prima soluzione si pone parzialmente in contrasto con il dato normativo - «il giudice, se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini» - l'ultima rischia non solo di svilire il potere-dovere del pubblico ministero di dirigere comunque l'attività di indagine, ma anche di consentire «agevoli manovre di sabotaggio del supplemento investigativo» 3 da parte dell'imputato e del suo difensore. In considerazione di ciò, non resta che ritenere la seconda soluzione quella che, più fedelmente, riproduce la volontà del legislatore.

Il dovere di seguire le indicazioni del giudice deriva indirettamente dall'onere, posto in capo al pubblico ministero, di compiere in modo tendenzialmente completo le indagini. Tale onere, rappresentando «un aspetto particolare dell'obbligo relativo all'esercizio dell'azione penale» 4, si presenta, per quel che qui importa, in termini particolarmente incisivi, esistendo una censura, proprio sotto il profilo della completezza, di quell'attività investigativa posta a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio già formulata. La vincolatività delle indicazioni del giudice sembra peraltro indirettamente confermata dalla facoltà riconosciuta al procuratore generale - ai sensi dell'art. 421 bis comma 2 - di avocare le indagini, con decreto motivato, dopo aver ricevuto la comunicazione dell'emissione dell'ordinanza per l'integrazione.

Ove il pubblico ministero accolga l'invito a svolgere le indagini ulteriori, alcune precisazioni si impongono in ordine alla durata e alla natura delle stesse.

Come dispone la norma, il periodo di durata sarà indicato dal giudice, il quale, in assenza di una esplicita disciplina, non potrà concedere proroghe. Ove non sia espressa-Page 870mente previsto, le proroghe sono infatti consentite soltanto nei casi e nei modi disciplinati dall'art. 406.

Quanto alla natura, va innanzitutto sottolineata la parziale diversità di obiettivi rispetto alle indagini compiute ai sensi dell'art. 326: se queste ultime sono funzionali all'esercizio dell'azione penale, le prime si pongono soltanto in una prospettiva di integrazione del materiale già acquisito, non potendo dunque esorbitare dall'ambito rappresentato dalle indicazioni del giudice. In secondo luogo, il rappresentante dell'accusa sarà abilitato a compiere qualsiasi atto di indagine tipico o atipico: gli unici limiti sono rappresentati dalla disciplina dell'oggetto della prova, dalle eventuali nuove contestazioni elevate ai sensi dell'art. 423, nonché dal divieto di assumere informazioni presso la persona indicata in una eventuale richiesta di incidente probatorio (art. 430 bis).

Entro quale termine gli atti di indagine raccolti dal pubblico ministero debbano essere depositati in cancelleria, a disposizione delle parti private che partecipano alla «nuova udienza preliminare», non è stabilito. Pare dunque ragionevole ritenere che laddove il giudice fissi un primo termine per la conclusione delle indagini e un secondo per lo svolgimento della nuova udienza, il problema potrà essere risolto individuando il primo termine come il momento finale per il deposito degli atti. Quando invece il giudice stabilisca un unico termine, e per la conclusione delle indagini e per lo svolgimento della nuova udienza, verrà applicata anche in detta situazione la disciplina individuata dalla Corte costituzionale per il deposito degli atti raccolti nel corso delle indagini suppletive di cui all'art. 419 comma 3. Gli atti assunti dal pubblico ministero nell'ambito delle indagini previste dall'art. 421 bis dovranno dunque essere «depositati immediatamente, man mano che vengono formati, nella cancelleria del giudice». Se poi si crea una situazione che provoca uno squilibrio tra i poteri delle parti a detrimento della difesa - il deposito dell'atto nel giorno di chiusura delle indagini corrispondente a quello di svolgimento dell'udienza - il giudice provvederà a una «sospensione (dell'udienza) di breve durata». Le previsioni di «rinvio» dell'udienza preliminare, contenute negli articoli 420 ter e seguenti, non configurano ipotesi tassative ed eccezionali, ma soltanto modelli di riferimento 5.

Dopo aver svolto le indagini in conformità alle indicazioni ricevute, il pubblico ministero si presenta nuovamente di fronte al giudice - nell'ambito di un'udienza preliminare già fissata con l'ordinanza che ha disposto l'integrazione investigativa - per esibire gli elementi raccolti e ottenere una pronuncia in ordine alla sua originaria richiesta. I suddetti elementi dovranno comunque essere vagliati dal giudice, non potendo prescindere, l'udienza preliminare, dal principio di «legalità della prova» e quindi dal controllo di legittimità su qualsiasi atto investigativo ivi introdotto.

Il legislatore del 1999 non ha poi precisato cosa succede nell'ipotesi in cui il pubblico ministero non abbia accolto il suggerimento del giudice e il procuratore generale non sia intervenuto a disporre l'avocazione delle indagini.

Nonostante taluno abbia affermato che il giudice, nell'ambito della nuova udienza, possa emanare un'altra ordinanza per l'integrazione delle indagini 6, reputiamo più equilibrata, per motivi di economia processuale, una soluzione che imponga una decisione fondata sul materiale precedentemente acquisito.

Così strutturata, la previsione contenuta...

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