La responsabilità penale del direttore di stampa periodica è dolosa

AutoreLaura Terzi
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1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale penale di Catania ha preso in esame la nota questione della responsabilità del direttore di giornale per omesso controllo in tema di reati di stampa, offrendo rilevanti spunti di interesse e giungendo a conclusioni innovative ed effettivamente coerenti con il principio della responsabilità penale personale e colpevole.

Nel caso di specie, sottoposto all’esame della Corte, il giornalista ed il direttore responsabile di un quotidiano sono stati querelati per aver rispettivamente redatto ed omesso il controllo di un articolo, il quale falsamente informava di una richiesta di proroga d’indagine per i reati di turbativa d’asta, abuso d’ufficio ed associazione a delinquere contestati ad alcuni amministratori comunali e professionisti locali. In realtà la notizia riportata era solo parzialmente veritiera poiché, nell’atto giudiziario posto a fonte dell’articolo, non vi era alcuna menzione del reato di cui all’art. 416 c.p.

Partendo dall’assunto che l’erronea attribuzione del reato di associazione a delinquere ha un autonomo effetto diffamatorio, il giudice ha dichiarato: il giornalista colpevole del reato di cui all’art. 595 c.p. poiché l’ordinaria diligenza richiesta avrebbe imposto a lui “prima di riferire in ordine al contenuto di un atto giudiziario di prenderne adeguata cognizione e pubblicarne fedelmente il tenore”ed ha assolto il direttore di periodico per carenza dell’elemento soggettivo del reato “che resta pur sempre normativamente connotato dal dolo”. La sentenza in commento, mostrando peraltro un encomiabile spirito pragmatico, ha stabilito che non può non riconoscersi alla figura di controllo un legittimo spazio d’affidamento nella professionalità del giornalista in merito ai dettagli dell’articolo, non potendo pretendere dal direttore “un livello di penetrazione nel contenuto di ciascun pezzo che, duplicando senza differenze soggettive l’onere di rispetto dei canoni giornalistici, vanificherebbe le finalità dell’organizzazione aziendale rendendo anche inattuabili i tempi di edizione del quotidiano”.

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Questa conclusione ci appare largamente condivisibile e d’altra parte a voler ritenere diversamente, si graverebbe l’attività giornalistica di eccessive cautele tali da incidere su aspetti essenziali al suo svolgimento, rimanendo inammissibilmente sacrificato il fondamentale diritto all’informazione.

2. Per comprendere appieno la portata di questa pronuncia, è necessaria una breve digressione su quella che è stata la storia dell’art. 57 c.p.

La sua formulazione originaria elaborata dal legislatore del ‘30, prevedeva che colui il quale rivestisse la qualifica di direttore o vice-direttore responsabile rispondesse «per ciò solo» di omesso impedimento dei reati commessi a mezzo stampa, salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione. Bastava, quindi il fatto oggettivo di una omissione di controllo da parte dei soggetti indicati a prescindere dalla prova del carattere doloso o colposo dell’omissione.

Per alcuni autori si trattava di una vera e propria responsabilità per fatto altrui o di «posizione», per altri invece si trattava di una responsabilità per fatto proprio omissivo anche incolpevole e quindi sostanzialmente di responsabilità oggettiva.

Questa originaria formulazione rifletteva l’ideologia dell’epoca lasciando chiaramente trasparire il ruolo che veniva assegnato, all’interno di un regime totalitario, alla libertà di stampa: non più una libertà al servizio della democrazia, ma un organismo di propaganda e di influenza della pubblica opinione; da qui il passo è breve per comprendere come questa norma fosse funzionale a garantire comunque un “capro espiatorio” lì dove l’autore dello scritto non potesse esser punito per mancanza di dolo1.

La Consulta, investita della questione di legittimità...

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