Una particolare fattispecie di peculato di bene vincolato a servizio di ente pubblico con distrazione a favore di altro ente pubblico

AutoreMario De Bellis
Pagine514-517

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@1. I termini della questione

La Suprema Corte con la sentenza che si annota (Cass., sez. VI, 8 novembre 2006, D'Alterio), affronta la vicenda di un soggetto preposto alla gestione di automezzi utilizzati per la raccolta ed il trasporto a discarica di rifiuti urbani di un dato Comune (per effetto di appalto del relativo servizio), il quale si era appropriato di due degli automezzi di cui aveva la disponibilità per ragione del suo servizio, disponendo che detti automezzi fossero uti-Page 515lizzati per la raccolta e i trasporti di rifiuti di altro Comune. È stata ravvisata in capo all'imputato la qualifica di incaricato di pubblico servizio ed è stata ritenuta sussistente l'ipotesi di peculato «per distrazione»1 ricondotta al secondo comma dell'art. 314 c.p. Pur mancando pronunce esattamente in termini con riguardo alla qualifica del soggetto preposto alla gestione di automezzi utilizzati per la raccolta ed il trasporto a discarica di rifiuti, vi sono precedenti pronunce che, in relazione a casi simili di soggetti che avevano assunto in concessione la gestione di un servizio pubblico, ne ravvisano la qualifica di incaricati di pubblico servizio2.

Più problematica è la questione della riconducibilità della condotta alla fattispecie dell'art. 314 c.p.

La Cassazione, chiamata nella sentenza in esame a pronunciarsi sull'interpretazione delle clausole del contratto di appalto e dunque, in ultima analisi, sui margini di libera disponibilità dei mezzi da parte dell'imputato e sulla possibilità che l'imputato abbia tratto dalle clausole contrattuali l'errato (ma scusabile) convincimento di poter disporre ad libitum dei mezzi, dà per pacifico l'inquadramento normativo.

A parere dello scrivente, bisogna invece preliminarmente interrogarsi sulla configurabilità stessa del reato, per come contestato.

Nella sentenza viene infatti proposta una ricostruzione dogmatica del reato di peculato che appariva ormai definitivamente abbandonata, almeno in giurisprudenza. Bisogna allora chiedersi:

- se sia configurabile il peculato per distrazione;

- se sia configurabile il peculato laddove il profitto è a vantaggio di soggetti terzi rispetto all'agente;

- se sia configurabile il peculato a profitto di enti pubblici.

@2. Il peculato per distrazione

Di peculato per distrazione si parlava sotto la vigenza del testo dell'art. 314 c.p. introdotto nel 1930 (e dunque anteriormente alla riforma del 1990) in quanto al condotta tipica descritta da tale norma era quella di appropriarsi di denaro o cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione o di distrarla a profitto proprio od altrui.

La giurisprudenza aveva dato all'epoca un'interpretazione molto rigorosa del dettato normativo ed aveva conseguentemente ritenuto la sussistenza del reato in ogni caso in cui si fosse dato al denaro, o ad una cosa mobile appartenente alla amministrazione, una destinazione diversa da quella stabilita, anche se si fosse trattato comunque di uno scopo pubblico.

Si era così ritenuto sussistente il peculato in ogni caso di destinazione della cosa al di fuori dei fini istituzionali dell'ente3 e dunque che commettesse peculato il pubblico ufficiale che destinasse somme per cui era prevista una destinazione specifica di bilancio (realizzazione di una data opera pubblica) alla realizzazione di altre opere pubbliche, pur sempre di interesse dello stesso ente4. Si era altresì ravvisato il reato nell'impiego di somme di spettanza di ente statale a vantaggio di una Regione5.

Peraltro, già anteriormente alla riforma legislativa del 1990, un più recente filone giurisprudenziale aveva iniziato ad escludere il peculato per distrazione nel caso in cui le somme sottratte dalla loro specifica destinazione fossero comunque destinate a scopi pubblici6.

In dottrina, alcuni autori7, escludevano la sussistenza del peculato nel caso in cui le risorse della pubblica amministrazione fossero distratte dalla loro destinazione, ma comunque utilizzate per finalità pubbliche. L'opinione prevalente8 riteneva all'opposto che il reato di peculato fosse configurabile in ogni caso di distrazione del denaro pubblico, anche quando lo stesso, una volta distratto dalla sua destinazione istituzionale, venisse comunque utilizzato per altra finalità parimenti pubblicistica.

La riforma legislativa del 1990 intendeva porre chiarezza su tale situazione, come risulta anche dalla stessa relazione del disegno di legge9, limitando il peculato ai soli casi di appropriazione e riconducendo le ipotesi distrattive all'abuso d'ufficio, sempre che sussistessero tutti gli elementi costitutivi di questa fattispecie.

In dottrina tuttavia, anche dopo la riforma del 1990, sono state espresse ancora difformi opinioni sul significato dei termini appropriazione e distrazione, e sulla riconducibilità delle relative condotte alle fattispecie di cui agli artt. 314 e 323 c.p.

Secondo autorevole e prevalente dottrina10, è conforme allo spirito della riforma ricondurre ogni ipotesi di distrazione, tanto a profitto proprio quanto a profitto altrui, alla fattispecie dell'abuso d'ufficio, limitando l'ambito operativo del peculato a condotte di mera appropriazione.

Secondo altro autore11, la distrazione si deve intendere come species del genus appropriazione (ricomprendendo fatti di appropriazione che non siano qualificabili come ritenzione, alienazione o consumazione) e come tale è riconducibile alla sfera di applicazione dell'art. 314 c.p.

Secondo un ulteriore orientamento12, costituisce distrazione riconducibile all'abuso di ufficio la condotta del soggetto pubblico che destini il denaro o la cosa pubblica in suo possesso verso finalità diverse da quelle istituzionali, ma sempre ponendosi «dalla...

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