Il patteggiamento e la natura giuridica della sentenza: é di condanna? È proprio questo l'amletico dilemma!

AutoreRosario Li Vecchi
Pagine1285-1291

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@1. Introduzione.

Di seguito all'entrata in vigore del nuovo codice di rito penale, la nostra attenzione, che ben presto divenne un'assillante curiosità, fu attratta dai c.d. «riti alternativi» con caratteristica inquisitoria (Giudizio abbreviato, il c.d. Patteggiamento ed il Procedimento per decreto) contenente inattese ed imprevedibili elargizioni, ambite regalie e graziose concessioni promesse ed offerte dal legislatore in veste di buon benefattore, a tutti coloro che, avendo violato la norma penale ed in attesa di giudizio, volessero saldare subito il conto con la giustizia, optando, a seconda dei casi, per uno di tali riti. Il legislatore nell'escogitarli fu, però, guidato da un duplice recondito scopo: da una parte quello di alleggerire il carico giudiziario che era divenuto alquanto gravoso e dall'altra parte quello di portare allo svuotamento delle carceri per eliminarne il sovraffollamento, bloccando, così, l'aumento della popolazione carceraria. Ci si dimenticò, però, di guardare l'altra faccia della medaglia che già mostrava inizialmente molti lati negativi, anche perché la normativa formulata per tali riti apparve subito, data la sua infelice e frettolosa formulazione, irta di complesse problematiche, che, in sede di pratica applicazione, avrebbero dato luogo, specie sotto il profilo ermeneutico, a varie diatribe dottrinali ed a svariati contrasti giurisprudenziali sia presso le Magistrature di merito che, in particolar modo, presso quelle di legittimità.

Emersero subito i vizi, le omissioni, i vuoti creati dalla nuova normativa ed a cui bisognava porre subito dei rimedi. Ai riti alternativi, ma in particolar modo al c.d. «Patteggiamento», dedicammo diversi nostri scritti evidenziandone vizi, difetti e distorsioni e rivolgendogli delle critiche; patteggiamento che definimmo come una vergognosa resa dello Stato dinanzi alla criminalità 1.

@2. Vari interventi legislativi.

Gli interventi richiesti dai Nuovi Riti, specie il giudizio abbreviato ed il c.d. Patteggiamento, necessitavano, anzitutto, di un'oculata programmazione e di meditate scelte, ma il legislatore, sempre pasticcione, frettoloso, sbrigativo e, diciamolo pure, con tanta superficialità e leggerezza, procedeva ai «ritocchi» ed alle «modifiche» che, alla fine, si rivelarono un vero e proprio fallimento in quanto resero la normativa molto più complessa, tortuosa e disastrosa, specie sotto il profilo tecnico-giuridico ed ermeneutico, con la conseguenza di incrementare notevolmente le diatribe dottrinali ed i contrasti giurisprudenziali. Ci si era così accorti che tali riti erano nati infelicemente sotto una cattiva stella ed ebbero come triste e perverso destino quello di essere condannati a vivere nel futuro, così come gli ebrei, senza quiete e senza pace. Adesso, per restare nell'argomento da noi scelto (il Patteggiamento), precisiamo, anzitutto, che all'originario «Patteggiamento», che chiamiamo «comune» oppure «ordinario», a cui potevano accedere tutti coloro la cui pena, con l'applicazione delle attenuanti, non doveva superare i due anni di reclusione soli o congiunti alla pena pecuniaria, venne aggiunto il c.d. «Patteggiamento allargato» la cui pena, con l'applicazione di tutte le attenuanti, non avrebbe dovuto superare gli anni cinque di reclusione soli o congiunti a pena pecuniaria. Un Patteggiamento, questo, pericoloso e nefasto per le conseguenze che ne scaturivano, sempre mirato al recondito scopo, obtorto collo, di alleggerire il carico giudiziario (potevano accedere a questo macabro rito anche coloro che si erano resi responsabili di gravi reati stando a tutti gli sconti di cui potevano godere, sconti transitati dall'ambito commerciale a quello giudiziario) e provocare, abbreviando i termini, lo svuotamento delle carceri, che diverrebbe più veloce ove sopravvenisse, di tanto in tanto, all'italiana, il regalo di un condono o di un'amnistia sempre teoricamente negati dal legislatore, ma sempre concessi per il solito sacrosanto intervento politico! (vedi l'ultimo condono!).

Interventi legislativi, come già detto, che ebbero come oggetto gli artt. 444 e 445 c.p.p. Infatti il primo tentativo veniva effettuato sul comma 2 dell'art. 444 c.p.p. che veniva, a sua volta, sostituito con l'art. 32 della L. 16 dicembre 1999, n. 479, mentre con l'art. 1 della L. 12 giugno 2003, n. 134 veniva sostituito l'originario comma 1 con i commi 1 ed 1 bis; inoltre con la L. 38/2006 veniva, infine, modificato il comma 1 bis dell'art. 444 c.p.p. il quale adesso, in virtù di tutti gli interventi effettuati dal legislatore, risulta del seguente tenore «Applicazione della pena su richiesta»: 1) L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria»; 1 bis)

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Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, commi 3 bis e 3 quater, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, o recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma, del codice penale qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria»; 2) «Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129, il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corretta la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena indicata, ne dispone con sentenza l'applicazione enunciando nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti. Se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda; l'imputato è tuttavia condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale. Non si applica la disposizione dell'art. 75, comma 3»; 3) «La parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l'efficacia alla concessione della sospensione condizionale della pena. In questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non può essere concessa, rigetta la richiesta». Ma neanche l'art. 445 c.p.p. si è salvato dai reiterati interventi legislativi; infatti un primo intervento venne operato con l'art. 2 della L. 27 marzo 2001, n. 27, in virtù del quale veniva «modificato» il comma 1 dell'art. 445 c.p.p., mentre il secondo intervento veniva operato con l'art. 2 della L. 12 giugno 2003, n. 134 in virtù del quale veniva sostituito l'originario comma 1 con i commi 1 ed 1 bis. In virtù di tali modifiche attualmente l'art. 445 c.p.p. risulta del seguente tenore: «Effetti dell'applicazione della pena su richiesta»:

1) «La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non supera i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'art. 240 del codice penale»; 1 bis) «Salvo quanto previsto dall'articolo 653, la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salvo diverse disposizioni di legge la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna»; 2) «Il reato è estinto ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena».

@3. Amletico storico altalenare dottrinale e giurisprudenziale sulla natura giuridica della sentenza.

Tra le tante problematiche emerse dalla normativa concernente il c.d. «Patteggiamento» (id est: «Applicazione della pena su richiesta», art. 444 c.p.p.), che, a sua volta, ha sostituito l'originaria applicazione delle «sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi», di cui al Capo III della L. 24 novembre 1981, n. 689 e che nella Sez. II, nello statuire «l'applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato», con l'art. 77 ne determinava l'ambito e le modalità di applicazione, emerse la problematica più interessante e complessa che si impose subito come un assillante ed angoscioso interrogativo, un vero e proprio nodo gordiano, purtroppo a tutt'oggi ancora non sciolto, ovvero come una piaga ancora aperta. La sentenza con cui viene definito il c.d. «Patteggiamento» costituisce una sentenza di condanna? In proposito vi è stato un continuo accavallarsi e susseguirsi di diatribe e discussioni dottrinali e di variegate decisioni giurisprudenziali che hanno provocato, come vedremo, diversi interventi delle SS.UU. onde far luce su questo «labirinto» giurisprudenziale e legislativo, su questa «selva oscura» del diritto e che, alla fine, si rivelerà come la classica fatica di Sisifo! La prima occasione è stata offerta dalla c.d. Legge di «depenalizzazione» (L. 24 novembre 1981, n. 689), in particolar modo dall'art. 77. A questo punto va fatta inizialmente una precisazione: gli artt. 77, 78, 79 ed 80 della legge de qua sono stati abrogati dall'art. 234 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, a decorrere dall'entrata in vigore del codice stesso).

Poiché la problematica...

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