Solidarietà passiva dell"assicuratore e del danneggiante nei confronti del danneggiato

AutoreEdgardo Colombini
Pagine271-277

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È pacificamente riconosciuto che l'innovazione introdotta nel nostro ordinamento giuridico dalla L. 990/1969 - attraverso la quale è attribuita al danneggiato la facoltà di agire direttamente nei confronti dell'assicuratore per il conseguimento del risarcimento del danno subito - abbia stabilito l'esistenza di una solidarietà passiva fra il danneggiante e la sua compagnia di assicurazione.

Da questa premessa consegue - per concorde orientamento, soprattutto giurisprudenziale - l'applicabilità alla situazione di specie del dettato dell'art. 1304 c.c., secondo il quale la transazione fra il creditore ed uno dei condebitori in solido produce effetti nei confronti degli altri solo se costoro dichiarano di volersene avvalere, di talché la transazione conclusa dall'assicuratore con il danneggiato non è automaticamente efficace nei confronti dell'assicurato-danneggiante ove manchi l'anzidetta manifestazione di volontà.

Recita, infatti, una decisione della Corte di cassazione (sez. III, 1 ottobre 1994 n. 7979) che «la transazione produce i suoi effetti estintivi nell'obbligazione solidale nei limiti dell'obbligazione stessa e nei confronti di tutti i debitori solidali che dichiarano di volerne profittare».

Fa ovviamente da corollario a questa impostazione la successiva indicazione dei supremi giudici secondo i quali tale transazione «non estende i suoi effetti a quella parte della obbligazione non solidale perché dovuta esclusivamente da uno dei debitori».

Si è cioè ritenuto - ed era ovvio - che della transazione stipulata fra l'impresa assicuratrice del danneggiante ed il danneggiato il primo potesse beneficiare solo nei limiti di quanto dovuto dall'assicuratore (in pratica, del massimale garantito dal contratto), restando il danneggiante stesso direttamente esposto per quella parte di danno esondante dal limite della prestazione assicurativa.

Tutto chiaro, tutto pacifico verrebbe a questo punto da dire.

Vi è però chi, nelle maglie di questa strutturazione del rapporto a tre soggetti introdotto in materia di risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti dalla L. 990/1969, si insinua talora qualche tentativo di stravolgimento di corretti rapporti intersoggettivi che ci spinge a prospettare l'opportunità di una qualche riflessione su una eventuale rimodulazione del dettato legislativo in questo specifico settore e, comunque, nel frattempo, su una generalizzata più incisiva politica volta a contrastare qualsiasi ingiustificata ulteriore pretesa risarcitoria, a tutela degli interessi dei propri assicurati, da parte delle compagnie di assicurazione, atteso che qualche volta si riscontra l'esistenza di formulazioni insufficienti a tale scopo in taluni atti di transazione e/o quietanza.

Ci riferiamo ad episodi non eccezionali di iniziative anche giudiziali intraprese da qualche danneggiato per conseguire un ulteriore risarcimento dopo quanto già percepito dalla compagnia assicuratrice del danneggiante: iniziative che talora finiscono col trarre vantaggio vuoi da qualche non del tutto accorta impostazione difensiva da parte dell'autore del danno, vuoi da non idonea formulazione, da parte della compagnia di assicurazione, dei testi degli atti di transazione e/o quietanza che finiscono con il non essere in grado di prevenire queste spiacevoli situazioni.

Ulteriore risarcimento - si badi - non rispetto ad un massimale completamente esaurito, ma ad una liquidazione per importo inferiore al massimale medesimo.

Ne è riprova, ad esempio, il fatto che è a monte di una sentenza n. 4005 della Corte Suprema (sez. III, 20 marzo 2001, in Arch. giur. circ. e sin. stradali 2001, pag. 455).

Si dava infatti il caso, in quella situazione, che - in presenza di un massimale di lire 25.000.000 - dopo il pagamento di una provvisionale di lire 6.000.000, fosse stata raggiunta una transazione con i genitori di una persona investita e deceduta nell'incidente attraverso il versamento di ulteriori lire 14.000.000 (non meravigli l'entità modesta, in relazione alla realtà monetaria attuale, delle cifre in gioco trattandosi di fatto risalente al 1980, quando le somme correnti nel campo del risarcimento dei danni erano più contenute rispetto a quelle cui siamo abituati al giorno d'oggi).

Nonostante la definizione avvenuta pacificamente su un importo inferiore al massimale assicurato, nonostante l'assenza di qualsiasi ipotesi di mala gestio da parte della compagnia di assicurazione (di cui nessuno ebbe a lamentarsi) i danneggiati evocarono in causa l'assicurato chiedendo un ulteriore risarcimento danni.

In prime cure il tribunale condannò il danneggiante al pagamento di una ulteriore consistente somma e la compagnia, chiamata in garanzia, a rimborsargli il residuo massimale di lire 5.000.000 (il che confermava la esclusione di qualsiasi imputazione di mala gestio a carico dell'assicuratore che sarebbe altrimenti stato obbligato a versamenti in supero anche rispetto al massimale assicurato).

La corte di appello, in riforma della sentenza del tribunale, rigettò invece la domanda degli attori sul rilievo che la transazione da loro conclusa a suo tempo con la compagnia assicuratrice del danneggiante aveva prodotto i suoi effetti anche nei confronti dell'assicurato.

La Cassazione, sull'ineccepibile - allo stato - riferimento all'art. 1304 c.c., nel rilievo di una difesa del danneggiato basata essenzialmente ed esclusivamente sulla tesi della efficacia automatica della transazione nei propri confronti - anziché su una pronta dichiarazione di volontà di approfittare della transazione - non potè fare a meno di accogliere il ricorso degli aventi causa dall'infortunato.

Altro - qui - che distinzione fra il credito gravante su ambedue i coobbligati (compagnia di assicurazione del danneggiante e danneggiante medesimo) fino al limite del massimale garantito - come verrebbe da pensare - e il credito gravante, in esubero rispetto al massimale ridetto, sul solo autore del fatto dannoso, come si poteva leggere nella sentenza dianzi citata della Corte di cassazione n. 7979 dell'1 ottobre 1994.

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Nell'esempio appena illustrato, tenuto conto del fatto che per «l'azione diretta attribuita al danneggiato dalla legge n. 990 del 1969 nei confronti dell'assicuratore il fondamento (rectius l'oggetto) dell'obbligazione di quest'ultimo (consistente - come testualmente si esprime la legge - nel risarcimento del danno) corrisponde esattamente a quello della obbligazione del danneggiante» (Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2001, n. 4005 in precedenza citata), le nostre perplessità si incentrano sulla entità di un danno - e, quindi, di una obbligazione - che era stata determinata transattivamente (e cioè di comune accordo) in una cifra che era all'interno del massimale assicurato: l'entità delle due obbligazioni coincideva, nelle intenzioni delle parti, al momento della transazione.

Non si era cioè di fronte ad un'area comune (massimale di polizza) insufficiente a coprire l'intero danno, per cui si può individuare una parte di credito gravante su di un solo soggetto (in questo caso, il danneggiante). Né risulta che vi fossero state riserve di ulteriori richieste ed azioni nei confronti del danneggiante, (percorso improprio - anche se talora riscontrabile, come vedremo -) quando la liquidazione avvenga con importo inferiore al massimale assicurato. E neppure si trattò di una azione intrapresa, al raggiungimento della maggiore età, esclusivamente da un minore per il quale avevano agito i genitori in proprio e quali legali rappresentanti del medesimo: no: qui, insieme al minore divenuto nel frattempo maggiorenne, agiva ancora uno dei genitori superstiti per un ulteriore ristoro dei suoi propri danni!

Il vincolo rappresentato dall'art. 1304 c.c., collegato a una qualche ingenuità difensiva di taluni danneggianti, può finire cioè, come abbiamo visto accadere, col consentire, anche dopo una liquidazione risarcitoria con importo inferiore al limite del massimale assicurato in polizza, a qualche danneggiato di tentare - riuscendovi - di riaprire i giochi e di ottenere ulteriori versamenti direttamente dall'autore del danno, nel pieno rispetto delle forme, ma non in quello di un corretto rapporto interpersonale.

Possono giocare poi a volte a favore di cosiffatte distorsioni gli stessi testi degli atti di transazione e/o quietanza predisposti dalle compagnie di assicurazione.

Se si scrive, infatti - come qualche volta ci è stato dato di leggere - pur dopo che il danneggiato ha dichiarato di accettare in via transattiva il risarcimento di tutti i danni subiti con l'importo concordato, che il percipiente «non ha null'altro a pretendere dalla compagnia di assicurazione», non si può negare che ci si trova di fronte ad una vistosa lacuna in questa parte del testo: se si ha cura di cautelarsi contro ulteriori pretese risarcitorie viene da chiedersi perché questa cautela non venga estesa anche all'assicurato: quest'ultimo è pur sempre - anche in regime di assicurazione obbligatoria - colui che paga il premio, colui che stipula un contratto che lo tenga indenne di quanto egli, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, debba pagare ad un terzo in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto, giustappunto come recita l'art. 1917 c.c.

Né ci pare possa essere sufficiente - quanto nell'atto di transazione e/o quietanza si inserisca la dichiarazione di null'altro avere a pretendere nei termini appena indicati - la preliminare indicazione di accettazione di una determinata somma a tacitazione di tutti i danni subiti perché delle due l'una: o l'impegno a non avere null'altro a pretendere viene considerato del tutto pleonastico in presenza della precedente dichiarazione di risarcimento conseguito di ogni danno e allora ci si chiede la ragione dell'inserimento di questo impegno di null'altro avere a pretendere (dal solo assicuratore, però), oppure si tratta di formulazione dal valore essenziale e allora...

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