La parte civile e la riforma del sistema delle impugnazioni

AutoreCarlo Maria Zampi
Pagine605-608

Page 605

Dal 9 marzo 2006 è in vigore la legge 20 febbraio 2006 n. 46, c.d. legge Pecorella, dal cognome del suo proponente.

La pessima fattura della legge ha immediatamente cagionato seri problemi agli interpreti, risultando malamente coordinata, a volte esageratamente criptica e palesemente incongrua soprattutto nella disciplina transitoria.

È noto che la legge n. 46 del 2006 è stata approvata al termine della legislatura, attraverso una corsa contro il tempo che suscita stupore, posto che il Parlamento era rimasto inerte per quasi cinque anni, salvo poi ritenere la assoluta necessità di una siffatta riforma e cercare di porvi rimedio con una disciplina ambigua e scoordinata, che non poteva non risentire della sua frettolosa elaborazione (nel messaggio presidenziale si afferma testualmente che la legge approvata nella prima occasione aveva «carattere disorganico e asistematico» prevedendo la conseguenza di «un insostenibile aggravio di lavoro, con allungamento dei tempi del processo», e la legge approvata in via definitiva accentua tali problemi).

In questo contesto si è inserito, assai opportunamente a sommesso parere dello scrivente, il Presidente della Repubblica, il quale con un articolato messaggio del 20 gennaio 2006 ha rinviato la legge alle Camere evidenziando vari profili di illegittimità costituzionale.

Il Parlamento, ormai deciso a portare a compimento l'opera, senza porsi il problema della necessità di una valutazione più approfondita della riforma ed eventualmente della acquisizione di pareri da parte di altri organi, pur in presenza di una novella che avrebbe stravolto il regime delle impugnazioni, creato seri problemi alla Corte di Cassazione e modificato pesantemente il rapporto tra le varie parti processuali, ha marginalmente adattato il testo ad alcuni rilievi, ha completamente pretermesso altre osservazioni ed ha infine varato la novella, promulgata con legge 20 febbraio 2006, n. 46.

Tra i molti interrogativi aperti dalla riforma del sistema delle impugnazioni, la posizione della parte civile appare estremamente difficile da decifrare, come dimostrano le opposte interpretazioni offerte da numerosi commentatori al contenuto dell'art. 576 c.p.p. e al silenzio serbato dalla norma transitoria in relazione a detta parte processuale.

Giova delineare brevemente la evoluzione della regolamentazione dei poteri di impugnativa della parte civile, muovendo dalla disciplina elaborata dalla legge originaria.

Il D.D.L. approvato definitivamente al Senato il 12 gennaio 2005 non toccava in nessun modo la posizione della parte civile, mantenendo quindi invariata la regola generale di cui all'art. 576 c.p.p. che parificava i poteri di impugnativa di questa a quelli riconosciuti al P.M.

L'unico inciso espressamente dedicato alla parte civile era contenuto nell'art. 4, in relazione alle sentenze di non luogo a procedere, riconoscendo alla persona offesa il potere di proporre ricorso per Cassazione nei soli casi di nullità previsti dal settimo comma dell'art. 419 c.p.p. e alla persona offesa costituita parte civile (la inadeguatezza del legislatore si ravvisa anche da queste sfasature, sfuggendo completamente il dato che la parte civile non si identifica necessariamente con la persona offesa, bensì con il "danneggiato" dal reato ex art. 74 c.p.p.) la facoltà di ricorrere per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p.

Va ricordato che la posizione della parte civile era stata oggetto di uno specifico rilievo nel messaggio del Capo dello Stato del 20 gennaio 2006. Il quale, dopo avere premesso che la riforma alterava la parità delle parti, determinando una asimmetria tra accusa e difesa che travalicava i limiti dettati dall'art. 111 Cost., aveva sottolineato come fosse «parte del processo anche la vittima del reati, costituitasi parte civile, che vede compromessa la possibilità di far valere la sua pretesa risarcitoria all'interno del processo» ed aveva ancora segnalato la contraddittorietà nel nuovo regime dell'art. 577 c.p.p., che «continua a prevedere la impugnazione delle sentenze di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione, senza specificare se esso riguardi anche l'appello».

Quest'ultima osservazione, invero, appariva facilmente superabile: se, infatti, la parte civile può impugnare soltanto nei casi e nei modi del P.M. e se il P.M. può appellare soltanto avverso le sentenze di condanna (art. 593 c.p.p., come modificato dall'art. i D.D.L. approvato il 21 gennaio 2005), è evidente che la persona offesa costituita parte civile per i reati di ingiuria e diffamazione (qui il riferimento alla sola persona...

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