Brevi note sui parametri per la concessione dell'affidamento in prova ai servizi sociali

AutoreAntonio Bana
Pagine369-370

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  1. - Con ordinanza del 3 dicembre 1999 il Tribunale di sorveglianza di Milano rigettava l'istanza di affidamento inPage 370 prova al servizio sociale presentata da Rusconi Enrico, disponendo invece l'ammissione al beneficio della detenzione domiciliare.

    Il tribunale motivava affermando che: - il Rusconi che sercitava, a far data dal 20 gennaio 1998, attività imprenditoriale in qualità di consigliere di amministrazione della società «Beta Transport», poteva svolgere tale attività perché, soltanto per il ricorso al rito del patteggiamento, aveva evitato la misura della inabilitazione, all'esercizio di imprese commerciali di cui all'art. 217, comma 3 l. fall. Tale attività - pure lecita a seguito della ricordata sentenza di patteggiamento - sarebbe stata in contrasto con l'esigenza della prevenzione propria della misura dell'affidamento in prova:

    - «l'attività attulmente svolta dal Rusconi nel medesimo settore nel quale era operante la società fallita e con i medesimi poteri e nell'ambito di società a responsabilità limitate, quindi con la medesima struttura di quella iniziale società già dichiarata fallita, non consente di ritenere l'affidamento ordinario finalizzato, come indicato nella istanza medesima, alla possibilità per il Rusconi di proseguire nell'attività, misura idonea ed adeguata con particolare riguardo ai reati societari per i quali il Rusconi ha riportato condanna».

    Su ricorso per cassazione del difensore del condannato, che contestava sia il vizio di motivazione (ex art. 606 lett. c), sia la violazione ed erronea applicazione dell'art. 47 L. 354/1975 (art. 606 lett. b), la Corte annullava l'ordinanza impugnata, rinviando per un nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Milano.

    Secondo la decisione in esame, infatti, le varie misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento penitenziario hanno ciascuna caratteristiche proprie e distinte e, pur tendendo tutte (in applicazione del principio del finalismo rieducativo della pena enunciato dall'art. 27 comma 3 Cost.), a risocializzare il condannato, prevedono criteri diversi ed autonomi per la loro concessione.

    Ai fini dell'applicazione dell'affidamento in prova, il disvalore ontologicamente connesso all'esistenza stessa del reato non può essere assunto - se non in casi di estrema gravità - come esaustivo e totalizzante elemento di giudizio (che risulterebbe sempre sfavorevole) sulla personalità del recluso, ma va integrato con altri dati conoscitivi...

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