Ordinanze di rinvio alla Corte costituzionale

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@TRIBUNALE MILITARE DI TORINO Ord. di rinvio 12 gennaio 1999. Pres. Saeli - Est. Benigni - Imp. Martino.

Tribunali militari - Procedimento - Richiesta - Motivazione - Omessa previsione - Questione di legittimità costituzionale.

Non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 260 c.p.m.p., nella parte in cui non prevede che la richiesta di procedimento debba essere motivata. (C.p.m.p., art. 260) (1)

    (1) Nel senso della esclusione di ogni obbligo motivazionale in ordine alla richiesta di procedimento, v. Cass. pen., sez. I, 12 agosto 1998, Di Fazio, in questa Rivista 1999, 125 e Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 1997, Gargiulo, ivi 1997, 663.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Nel presente procedimento, il collegio, preliminarmente, ha verificato la presenza in atti di due richieste di procedimento penale da parte del comandante della Scuola di telecomunicazione FF.AA di Chiavari estremamente concise e prive di qualsiasi motivazione che permetta di conoscere in base a quali considerazioni e sulla base di quali presupposti il comandante abbia ritenuto di dovere proporre tale richiesta.

Queste modalità, peraltro, sono consentite dall'art. 260 c.p.m.p. che prevede, per la perseguibilità di tutti i reati per cui la legge stabilisce la pena della reclusione militare superiore nel massimo a sei mesi, la semplice richiesta del comandante di corpo, o di altro superiore da cui il militare dipenda.

Il collegio ritiene di dover sollevare d'ufficio questione di legittimità costituzionale di tale articolo con riferimento agli articoli 97 e 3 della Costituzione nella parte in cui non prevede l'obbligo di motivazione della richiesta di procedimento.

La proposizione di tale questione implica necessariamente la preventiva qualificazione giuridica della richiesta di procedimento che ha dato luogo ad un ampio e approfondito dibattito dottrinale.

La Corte di cassazione ha affermato costantemente la natura processualistica di tale istituto assimilandolo alla querela.

Questa impostazione comporta l'esclusione di ogni obbligo motivazionale, in quanto, nell'esercizio di questo potere, si avrebbe un livello di discrezionalità tanto pieno «da non incontrare limiti né imposizioni giuridiche altrui, né nell'esigenza di rendere conto dell'operato ad altra Autorità amministrativa» (così espressamente Cass. 28 luglio 1990; tra le tante si possono poi citare Cass. 24 maggio 1989 e Cass. 6 dicembre 1996). La richiesta sarebbe quindi un equivalente della querela e si ispirerebbe allo stesso principio di valutazione di proporzionalità tra pregiudizio prodotto dal reato e quello prodotto dal processo.

Da ciò ne conseguirebbe che non vi sarebbe disparità di trattamento tra il militare imputato di un reato militare perseguibile a richiesta e il non militare imputato di un reato comune perseguibile a querela e, quindi, nell'una e nell'altra ipotesi, il negozio giuridico processuale non abbisognerebbe di specifica motivazione.

Questo collegio, invece, ritiene che non si possa ricondurre ad un'unica natura gli istituti della richiesta di procedimento e della querela in quanto aventi peculiarità strutturali e presupposti funzionali del tutto divergenti tra loro.

La querela infatti è la privata manifestazione di volontà con cui il soggetto passivo di un reato per cui non si debba procedere d'ufficio, chiede che si proceda in ordine allo stesso. Le ragioni di politica criminale che hanno indotto il legislatore a condizionare la procedibilità risiedono, in questo caso, in una valutazione di prevalente rilevanza della dimensione privatistica dell'illecito commesso in quanto i suoi effetti si ripercuotono esclusivamente nella sfera patrimoniale di un soggetto (si pensi ad esempio ai reati di sottrazione di cosa comune e di truffa semplice), o perché rimangono circoscritti nell'ambito familiare (si pensi ad alcune ipotesi di violazione degli obblighi di assistenza famigliare, o alla sottrazione consensuale di minorenni), oppure perché è ritenuto comunque opportuno che sia l'offeso a decidere se instaurare un processo il cui costo sociale sarebbe maggiore dell'interesse leso o messo in pericolo (si pensi ai reati di ingiuria e diffamazione).

La querela è dunque un atto essenzialmente facoltativo che persegue interessi privatistici, rinunciabile e revocabile (in questo senso la giurisprudenza consolidata: Cass. 6 maggio 1982; Cass. 27 novembre 1984; Corte app. Roma 1/3). Non a caso, partendo da questa premessa, la giurisprudenza ritiene che, in caso di ambiguità della dichiarazione, l'effettiva volontà del soggetto deve essere ricercata utilizzando i criteri ermeneutici indicati negli articoli 1362 e 1372 c.c. (in...

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