Omesso controllo del direttore ed estensibilità della querela

AutoreRoberta Chicone
Pagine876-879

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@1. Il caso

Il tribunale di Caltanissetta ha condannato il direttore responsabile di un periodico per il reato di omesso controllo ex art. 57 c.p., a seguito della pubblicazione di una lettera aperta diffamatoria, sebbene la persona offesa avesse presentato querela per il solo reato di diffamazione a mezzo stampa (art. 595 c.p.). La tesi su cui si fonda tale decisione, confermata altresì dai giudici di appello e, soprattutto, dalla Suprema Corte di Cassazione, è quella secondo cui “la querela proposta nei confronti dell’autore dell’articolo diffamatorio si estende al direttore responsabile del reato di omesso controllo sulla pubblicazione a norma dell’art. 57 c.p.. purché la reale volontà del querelante sia intesa a chiedere comunque la punizione anche di quest’ultimo, a nulla rilevando che nell’atto di querela manchi un espresso riferimento alla predetta norma incriminatrice”.

La pronuncia segna, rispetto alla precedente giurisprudenza di legittimità, un inaspettato revirement non facilmente condivisibile.

@2. Le due fattispecie di reato: in particolare, il reato di omesso controllo di cui all’art. 57 c.p.

Il reato di diffamazione è commesso da chi “comunicando con più persone offende l’altrui reputazione ...”: nel caso di diffamazione a mezzo stampa, frequentemente il direttore del periodico concorre con l’autore dell’articolo diffamatorio ex artt. 110 e 595 c.p..

L’omesso controllo di cui all’art. 57 c.p., invece, consiste nella condotta del direttore o vice-direttore responsabile che, ‘’fuori dei casi di concorso, ... omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati ...”.

La fattispecie, originariamente strutturata come responsabilità oggettiva o di posizione, reinterpretata dalla Corte Costituzionale1 di modo da configurare una ipotesi di responsabilità personale per omissione di controllo, era stata modificata con L. 4 marzo 1958 n. 27, che le ha attribuito l’odierna connotazione2. In base alla nuova formulazione, il controllo che il direttore responsabile è tenuto ad esercitare si esplica “non solo prima della «composizione del pezzo», ma anche (e se mai in maniera più puntuale e rigorosa) dopo di essa, prima che lo scritto pervenga al vasto pubblico dei lettori. È pacifica, difatti, la natura colposa della responsabilità del direttore: essa si concreta non nella generica negligenza, imprudenza o imperizia, ma nell’inosservanza del precetto dell’art. 57 c.p., che impone di attuare il dovuto controllo, al fine di impedire che siano commessi reati col mezzo della pubblicazione”3.

In altri termini, la condotta incriminata è quella del direttore che, omettendo negligentemente il controllo sul contenuto dell’articolo, rende possibile la pubblicazione illecita, senza però aver la consapevolezza di partecipare all’altrui azione criminosa.

Il reato integra una tipica fattispecie colposa d’evento: nel caso in cui occorra la pubblicazione diffamatoria4, che ne rappresenta l’evento5.

Questa sorta di cooperazione al fatto doloso di un terzo consente di incriminare condotte che non avrebbero altrimenti rilevanza penale: non potrebbero difatti integrare ipotesi di concorso nel reato di diffamazione poiché, conformemente all’opinione della prevalente dottrina e giurisprudenza, non può esserci concorso colposo in reato doloso6.

Alla considerazione che l’espressione “a titolo di colpa” si riferisce alla natura della responsabilità e non meramente al trattamento sanzionatorio applicabile - come da taluno sostenuto7 - può giungersi anche per successive esclusioni. Difatti, non potendosi configurare nel caso un’ipotesi di responsabilità oggettiva, l’unica alternativa sarebbe tra la responsabilità per dolo e quella per colpa. Tuttavia, ove si riconoscesse natura dolosa al contributo del direttore, la condotta di omesso controllo integrerebbe una tipica forma concorsuale ex art. 110 c.p.8 tale che l’art. 57 c.p. sarebbe, di fatto, oggetto di una irragionevole interpretatio abrogans.

La norma de qua non avrebbe alcuna ragion d’essere se non la riduzione di pena, tra l’altro irragionevole posto che l’art. 110 c.p. prevede l’applicazione, per la condotta del compartecipe, qualunque essa sia, la pena edittale prevista per il reato in cui si concorre.

Inoltre, non può prescindersi da quanto dichiarato dalle Sezioni Unite della Cassazione, ovvero che il titolo e il fondamento della responsabilità penale, sebbene indichino concetti profondamente differenti, solo eccezionalmente non coincidono9.

Pertanto, affinché il direttore sia responsabile ex art. 57 c.p., è necessario che questi abbia posto in essere una condotta contraria a norme cautelari10, finalizzate all’impedimento di condotte lesive poste in essere da al-Page 877tri11; in altri termini la sua responsabilità deve essere necessariamente di natura colposa.

Tale caratteristica rappresenta il discrimine principale rispetto alla diversa ipotesi di diffamazione ex art. 595 c.p. che è, invece, una responsabilità di natura dolosa.

A ciò si aggiunga che, dal punto di vista oggettivo, la fattispecie ex art. 57 c.p., contempla expressis verbis solo le ipotesi non altrimenti sussumibili in norme incriminatrici che prevedano reati più gravi: essa è costruita in modo tale da evitare qualsiasi intersezione con il reato presupposto, ovvero quello di diffamazione.

Non è dubbio, dunque, che siamo di fronte a due fattispecie strutturalmente autonome e differenti l’una dall’altra12.

@3. Il quadro normativo di riferimento: in particolare, l’estensibilità della querela (art. 123 c.p.)

Il delitto di diffamazione, anche nella forma aggravata dall’utilizzo del mezzo della stampa, è sottoposto alla condizione di procedibilità della querela della persona offesa, ovvero del soggetto la cui reputazione sia stata aggredita dalla...

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