Occupazione abusiva di immobili: stato di necessità o rigoroso rispetto delle regole

AutoreAndrea Gentile
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Con la prima sentenza che si annota, la Corte di legittimità ha accolto il ricorso di una imputata, sola e con un figlio a carico, condannata dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Roma per il reato di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell'IACP ex art. 633 c.p.

Secondo la ricorrente, non era stata svolta dai giudici di merito, «alcuna indagine specifica» sulle sue condizioni di indigenza che non le permettevano «alcuna possibilità di rivolgersi al mercato libero degli alloggi» ed, inoltre, non era stato considerato che aveva agito «in stato di necessità» con riferimento «al diritto all'abitazione ed al diritto alla salvaguardia della sua salute e del figlio».

Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha, all'esito del giudizio, riscontrato una totale carenza di motivazione, volta a verificare lo stato di necessità invocato dalla imputata, ed ha annullato la sentenza impugnata, rinviando gli atti alla Corte d'Appello, invitando i giudici di merito a verificare con «una più attenta e penetrante indagine giudiziaria», lo stato di povertà della ricorrente.

La statuizione risulta di particolare interesse poiché sembra fare chiarezza sulla portata ermeneutica di un requisito basilare su cui poggia l'articolazione normativa relativa alla disciplina dello stato di necessità: il danno grave alla persona.

Il primo comma dell'art. 54 del codice penale disciplinante lo stato di necessità recita, infatti «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo».

Il vero nodo problematico relativo al requisito del «danno grave alla persona» consiste nell'individuazione di un criterio che consenta di selezionare, all'interno dell'ampia gamma degli interessi di natura personale, quelli suscettibili di tutela ex art. 54 c.p.

Se, infatti, è opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza1 che la nozione di «danno grave alla persona» si riferisce non solo ai beni della vita e dell'integrità fisica, ma anche ad altri beni di natura personale, come ad es. la libertà personale e la libertà sessuale, sussistono interpretazioni contrastanti in merito agli altri beni potenzialmente suscettibili di rientrare nel campo di applicazione dell'esimente.

Autorevole dottrina2, infatti, muovendo dalla considerazione che l'azione necessitata, pur non essendo punibile, può ledere comunque il diritto di altri e può turbare la pace sociale, propone un'interpretazione restrittiva della clausola riferendola a quei soli beni la cui lesione è caratterizzata dalle note dell'irreparabilità ed inestimabilità pecuniaria, e pertanto ai soli beni più strettamente connessi alla persona fisica (come la libertà sessuale e la libertà. di locomozione), mentre la giurisprudenza di merito e in parte la stessa Suprema Corte propendono per una tesi più estensiva conferendo, a contrario, rilievo alla tutela di qualsiasi diritto inviolabile della persona, riconosciuto espressamente dalla Costituzione, ovvero riconducibile alla clausola generale di cui all'art. 2 Cost., giungendo anche a conferire forte valenza al bisogno di un alloggio, quale bene giuridico ricondotto ad una autonoma posizione di diritto inviolabile della persona.

La soluzione proposta dalla Suprema Corte nel primo caso opta decisamente per un'interpretazione di tipo estensivo, senza chiaramente rinnegare un'attenta e penetrante indagine giudiziaria volta a...

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