Obblighi di informazione del medico e responsabilità penale

AutoreCaterina Brignone
Pagine1231-1245

Page 1231

@1. Introduzione

– Ormai da diversi anni, l’espressione «consenso informato» non appartiene più esclusivamente al gergo degli addetti ai lavori – medici, ricercatori o giuristi –, ma è entrata a far parte del linguaggio comune. Alla diffusione del concetto si è accompagnata, però, la sua banalizzazione, perché quella formula icastica – ideata per esprimere il primato dell’autonomia del soggetto della cura rispetto al tradizionale paternalismo medico – si traduce sovente, sul fronte applicativo, in mero adempimento burocratico, nell’apposizione frettolosa e distratta di una firma su moduli prestampati, magari non letti o non compresi. Nel nostro Paese, finanche gli studiosi hanno spesso operato una lettura riduttiva del principio, concentrandosi sull’elemento volontaristico e finendo per considerare pletorico il riferimento alla previa informazione1. Per contro, si deve dare atto alla giurisprudenza civile d’avere cercato di specificare il contenuto delle notizie da trasmettere, anche se con metodo eccessivamente casistico e senza elaborazione di un criterio generale.

Il presente studio vuole concentrarsi proprio su quegli obblighi di informazione del curante che costituiscono il necessario presupposto per l’esercizio consapevole del diritto di autodeterminazione del curato. Si tratta di verificare, prima, come tali obblighi vadano calibrati e, poi, se l’ordinamento disponga di adeguati strumenti sanzionatori per il caso di inadempimento o se non sia il caso di avanzare proposte di riforma.

Il ruolo privilegiato accordato in questa sede alla prospettiva penalitica è giustificato sia dall’alto rango del bene giuridico protetto, che sembra suggerire il ricorso alle forme di tutela più severe ed incisive, sia dalla singolare asimmetria che si registra tra l’indiscussa importanza dell’autodeterminazione terapeutica e la tradizionale cautela – per non dire la riluttanza – del diritto penale, non solo italiano, ad impiegare in quest’ambito le proprie armi. Merita quantomeno riflessione la questione se un tale assetto sia inevitabile, opportuno o da rivedere.

Non si tralascerà, comunque, di allargare lo sguardo ad altri ambiti disciplinati, perché la forza dei diritti inviolabili della persona2 non tollera barriere e perché il principio di sussidiarietà nelle scelte di criminalizzazione legittima il ricorso alla pena sol quando gli altri settori del diritto non siano in grado di assicurare adeguata tutela al bene giuridico.

@2. Gli obblighi di informazione del medico nel diritto italiano

– L’attenzione per la questione informativa è ovunque relativamente recente ed è espressione di un nuovo approccio alla relazione di cura, nell’ambito della quale si chiede al medico non solo di operare nel migliore interesse clinico dell’assistito, ma di coinvolgere quest’ultimo nel processo decisionale. Si insiste, spesso e giustamente, sul fatto che ciò sia dipeso dall’affermazione dei valori autonomistici, ma non è trascurabile neppure il ruolo svolto dal progresso scientifico. In un contesto in cui i rimedi offerti dalla medicina erano pochi o inefficaci, poteva essere giustificato contare sull’effetto placebo di una speranza alimentata dal silenzio, mentre oggi – a fronte del moltiplicarsi e diversificarsi delle possibilità di cura – occorre lasciare al paziente la decisione su quale alternativa risponda meglio alle proprie esigenze; è ovvio, poi, che tale decisione non può prescindere dalla conoscenza dei dati rilevanti. Tuttavia, limitarsi a dire che il consenso debba essere informato non chiarisce il punto essenziale di quale o quanta informazione vada assicurata.

La presa di coscienza di tale aspetto ha fatto sì che persino talune fonti internazionali si siano discostate dal consueto alto livello di astrazione per individuare con metodo analitico gli aspetti da disvelare al soggetto della cura. Si pongono in questo solco la Convenzione di Helsinki, concernente la ricerca medica su soggetti umani, che richiede al medico di «informare pienamente il paziente di quali aspetti della cura sono correlati con la ricerca» (C.4), e la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, che impone di fornire una «informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi» (art. 5, comma 2).

Nel nostro Paese, non si ritrova lo stesso livello di specificità al livello supremo della gerarchia delle fonti, ove, anzi, la volontà consapevole del soggetto della cura non è neppure menzionata. Cionostante, la Corte costituzionale – ravvisato nel consenso informato un «principio fondamentale in materia di tutela della salute che deriva dagli artt. 2, 13 e 32 Cost. – ha riconosciuto che «ogni individuo ha il diritto di (...) ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura ed ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informa-Page 1232zioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione»3. Con questa recente pronuncia, la Consulta, avvicinandosi all’impostazione seguita dal codice deontologico medico4, ha aggiunto un ulteriore elemento – le alternative terapeutiche – al nucleo informativo essenziale già individuato dalla Convenzione di Oviedo ed ha proposto una griglia tematica con funzione orientativa, che vorrebbe superare tanto il tradizionale disinteresse della dottrina penalistica5 quanto gli elenchi, sempre più lunghi ma mai esaustivi, proposti dalla giurisprudenza civile6.

Non può, però, dirsi che sia stato fugato ogni dubbio, restando da chiarire quale sia il livello di approfondimento da assicurare con riguardo a ciascuna questione e se debba aversi riguardo al medesimo standard informativo per escludere la responsabilità sia penale che civile del professionista. Tali aspetti hanno formato oggetto di attenta riflessione in seno agli ordinamenti angloamericani, dando luogo a quella doctrine of informed consent la cui versione vulgata è alla base dell’ampio dibattito sul consenso informato, ma la cui portata effettiva va ben oltre la generica affermazione dell’obligo del medico di instaurare un rapporto comunicativo col paziente sulla gestione della cura. È, dunque, estremamente proficuo allargare lo sguardo oltre i confini nazionali.

@3. La doctrine of informed consent

– La doctrine of informed consent – anche nota come prudent patient test – è stata elaborata dalla giurisprudenza civile statunitense e poi accolta negli altri Paesi di common law per rispondere all’interrogatorio su quale potesse essere il modello informativo ottimale ed effettivamente praticabile nella relazione di cura.

Una compiuta ed ormai classica esposizione della teoria risale al 1972 ed è stata effettuata dalla Court of Appeal del District of Columbia nel caso Canterbury v Spence7. In quella sede, pretendere la full disclosure dei rischi anche più remoti è stato ritenuto proibitivo per il professionista e inutile per il paziente, il quale verrebbe confuso anziché agevolato dalla conoscenza di evenienze con una bassissima probabilità di verificazione. È stato, poi, respinto, per la sua autoreferenzialità e perché non funzionale all’esercizio del diritto di autodeterminazione del soggetto della cura, anche il modello professionale che – a seconda delle prospettazioni – desume quanto dovrebbe essere rivelato dalla good medical practice, dall’uso medico o da ciò che farebbe un reasonable practitioner nelle date circostanze. È stato, infine, affermato che l’obbligo informativo del professionista debba modellarsi sulle necessità dell’assistito, perché lo scopo degli adempimenti comunicativi è quello di permettere all’interessato di adottare determinazioni realmente consapevoli. Per facilitare l’applicazione, il test è stato strutturato in chiave oggettiva: il medico, infatti, non sa quel che un determinato interlocutore reputa importante ma, sulla base della propria formazione ed esperienza professionale, è in grado di intuire ciò cui attribuirebbe rilevanza un modello di paziente medio ragionevole. Vanno, dunque, disvelati i material risks ossia quei rischi che una persona ragionevole nella posizione del paziente concreto vorrebbe conoscere prima ed al fine di decidere se sottoporsi o meno alla terapia.

Dopo quella storica decisione non sono, comunque, mancate caute aperture verso una caratura maggiormente soggettivizzata dell’informazione, che impone di segnalare non solo i rischi cui attribuirebbe rilevanza il paziente medio, ma anche che il professionista sa o dovrebbe sapere essere importanti per il paziente concreto8.

Nel contesto europeo, il diritto inglese – il più simile per struttura e per cultura a quello degli ordinamenti nordamericani – ha seguito una singolare marcia di avvicinamento alla doctrine of informed consent, che non ha portato all’acritico recepimento dell’impostazione d’oltreoceano quanto piuttosto a una contaminazione di modelli.

Più in dettaglio, nel leading case Sidaway del 1985, la House of Lords ha accolto il prudent doctor test, ritenendo adempiuto il duty of disclosure col rispetto dei criteri recepiti dalla medical practice e traendone la conseguenza che il medico non possa considerarsi negligent ove l’omissione informativa sia suffragata dal parere di testimoni esperti in campo medico9. Quella stessa decisione ha, però, gettato il seme per ulteriori discussioni. Infatti, Lord Scarman, nella sua dissenting opinion sul punto di diritto, ha dichiarato di propendere per il prudent patient test; Lord Bridge, invece, ha segnalato – con ciò in parte estendendo l’obbligo informativo – che, in talune circostanze, la rivelazione di un particolare rischio è così ovviamente necessaria per una scelta informata che nessun medico ragionevole ometterebbe di fornirla ed ha chiarito di far riferimento al...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT