Nuovi poteri istruttori del gup e regola di giudizio

AutoreStefano Giordano
Pagine977-983

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  1. «È finito il tempo delle norme scolpite nel marmo. Gli italiani le consumano a ritmo febbrile: non s'era mai visto un codice così fluido e deperibile; Consulta, Governo, Camere, lo riscrivono e niente garantisce esiti relativamente definitivi. La procedura riedita elabora molte novità. Alcune dissonano dal sistema, a supporre che ne esista ancora uno: fiorisce l'ibrido; e come talvolta avviene nel laboratorio genetico, i restauratori hanno incrociato i difetti, moltiplicandoli; riappare l'istruttore; evocata al dibattimento, ogni parola detta al P.M. o alla polizia diventa prova; cognizione onnivora; e uno si domanda a cosa serva quell'assillante formalismo del pleading. Siamo già in epoca postaccusatoria» 1. Queste pregnanti affermazioni, al di là del loro espresso ed inequivoco riferimento alle modifiche del '92, rimangono di sconcertante quanto induscutibile attualità, laddove l'interprete, con un minimo di ponderatezza e di buon senso, si soffermi a passare in rassegna le significative e stravolgenti novità introdotte dalla c.d. legge «Carotti». Novità, che, per un verso - è facile il prevederlo - daranno la stura a spinosi problemi ermeneutici ed attuativi all'interprete (specie in mancanza di qualsivoglia norma transitoria che risolva ardue questioni di diritto intertemporale, con conseguenze che, talora potranno risultare devastanti); per altro verso - maggiormente significativo sul piano sistematico - «ridisegnato» in toto talune parti del previgente rito penale, con la conseguenza (non si sa quanto consapevole) della creazione, attraverso emozionali e frammentari interventi legislativi, di un modello giuridico processuale difforme e, sovente, agli antipodi rispetto a quello voluto dal legislatore del 1988.

    Tale «rivoluzione copernicana» è ancor più evidente laddove ci si soffermi, con sufficiente spirito analitico, ad esaminare la nuova disciplina dell'udienza preliminare che, in definitiva, «esce» dalla novella legislativa del tutto stravolta nella sua struttura e ratio originarie e nelle sue conseguenze pratiche e processuali; e più in particolare ove si considerino le norme che prevedono poteri istruttori o di sollecitazione istruttoria da parte del giudice dell'udienza preliminare.

    Sembrerebbe paradossalmente, e ciò senza voler anticipare frettolose conclusioni, che il legislatore della «Carotti», nell'intento di accrescere le garanzie riservate all'imputato, abbia dovuto far ricorso a schemi e principi lontani dall'impostazione accusatoria che aveva ispirato la nascita del nuovo codice. Facendo, così, riemergere, in modo non propriamente occulto, schemi inquisitori propri del sistema misto, che sono apparsi probabilmente più idonei a salvaguardare il cittadino da imputazioni frettolose, se non addirittura azzardate da parte di taluni pubblici ministeri, prima incontrastati domini delle indagini preliminari (preoccupazione, questa, non completamente peregrina). Tutto ciò sostanzialmente «depotenziando» di fatto, come vedremo, la fase dibattimentale, originario fulcro e cardine di ogni processo che possa essere definitivo squisitamente accusatorio.

    Il legislatore, dunque, per un verso identifica il «giusto processo» nel modello accusatorio, attraverso la sacrosanta modifica dell'art. 111 Cost., e d'altronde, fa intendere, con un atteggiamento decisamente schizofrenico e tutto italiano, che è meglio non arrivare al dibattimento, perché il processo accusatorio è lungo e costoso (anche in termini di economia processuale), con ciò rivivificando (anche troppo) l'istituto dell'udienza preliminare e incoraggiando maggiormente i riti premiali, per ragioni dichiaratamente deflattive.

  2. - Premesso tutto questo, sarà bene senz'altro, cominciare ad esaminare, con maggior dettaglio, le nuove norme ed i relativi problemi che esse via via vanno ponendo, concentrando, come si è peraltro anticipato, l'attenzione, su quelle che finiscono con lo sconvolgere maggiormente il pregresso assetto dell'udienza preliminare; vale a dire, il nuovo art. 421 bis, introdotto proprio dalla L. 16 dicembre 1997 n. 479, e l'art. 422 nel testo modificato. Le suddette norme conferiscono, tra l'altro, nuovi poteri al giudice dell'udienza preliminare, rispettivamente di sollecitazione istruttoria (art. 421 bis) ed istruttori in senso stretto (art. 422, nuovo testo), affidando al suddetto giudice poteri di acquisizione probatoria molto più ampi rispetto al rito previgente.

    Prima di addentrarci, però, nella trattazione non ci si può astenere dal rilevare come il nuovo assetto normativo e funzionale dell'udienza preliminare e le sue diverse strutturazioni e finalità (che trovano il loro fulcro innovativo nelle norme che di qui a poco ci accingeremo ad esaminare), siano però in qualche modo «anticipati» da alcune norme che cronologicamente disciplinano la fase anteriore al suo eventuale inizio. È stato invero correttamente sottolineato - sia pure con qualche sbavatura terminologica concernente l'improprio utilizzo del termine «prova» - come «il significato della discovery anticipata introdotta con l'art. 415 bis (che richiama molto da vicino l'art. 372 del vecchio codice), sia da individuarsi proprio in relazione a tale nuova funzione dell'udienza preliminare, alla quale si giunge non già con una prova cristallizzata nei limiti delle scelte del pubblico ministero (sulla base delle quali la difesa doveva modellare il suo comportamento in funzione del dibattimento, luogo deputato alla formazione della prova), ma con una prova possibilmente completa. E ciò perché, se completa non fosse, sarebbe il giudice nell'udienza preliminare, a completarla» 2. In buona sostanza, il legislatore ha voluto, con un intervento di ispirazione garantistica, ma dagli effetti pratici senz'altro induscutibili, che il giudice dell'udienza preliminare si trovi di fronte ad un quadro indiziario il più possibile esaustivo, permettendo che esso venga integrato anche da apporti difensivi (memorie, documenti, investigazioni del difensore), che, refluendo nel fascicolo del pubblico ministero, possano mettere il giudice dell'udienza preliminare nelle condizioni di decidere prontamente (e salvi i successivi poteri di integrazione probatoria, di cui si dirà in seguito) anche in senso favorevole all'imputato, rendendosi talora superfluo un dibattimento, che con le vecchie norme si sarebbe dovuto necessariamente celebrare. E ciò giacché una seppur minima sollecitazione od investigazione difensiva condotta in tempi ragionevoli, e non nell'angusto spazio riservato alla «vecchia» udienza preliminare, potrebbe, secondo la condivisibile ratio legislativa, mettere in crisi un assunto accusatorio che si riveli ex post fragile, seppur supportato da una valanga di carte processuali. L'intento deflattivo è evidente: ed è ancor più evidente, nella nostra ottica, come l'udienza preliminare, già da un approssimativo sguardo a questa norma, diventi sempre più momento centrale nell'accertamento della verità e sempre meno «sparti-Page 978acque tra la fase preprocessuale, caratterizzata dalla ricerca delle fonti di prova, e quella processuale vera e propria, diretta alla formazione della prova» 3.

    Quest'ultimo assunto trova un'ulteriore conferma ove ci si soffermi a scandagliare la ratio dell'introduzione, nel titolo che regola l'udienza preliminare, degli articoli 420 bis, 420 ter e 420 quater. Senza volersi intrattenere su queste ultime novità normative (che meriterebbero, da sole, una separata e più articolata trattazione, che esula, però, dal nostro tema) ci si limita a segnalare come esse, in definitiva, «estrapolino» il contenuto degli artt. 485-488 c.p.p. (oggi abrogati dall'art. 39 cpv. della nuova legge), relativi agli atti introduttivi del dibattimento, immettendo le garanzie e le procedure tipiche del procedimento contumaciale nella fase introduttiva della nuova udienza preliminare. Questa anticipazione del pieno realizzarsi del contraddittorio - ivi compreso il rinvio per legittimo impedimento del difensore - ad una fase anteriore rispetto a quella del «giudizio» vero e proprio costituisce un ulteriore, inequivoco, segnale di una diversa e più complessa strutturazione funzionale della udienza preliminare. La quale, come si vedrà, costringerà l'interprete alla risoluzione di ardui problemi in ordine, per esempio, alla terzietà del giudice che la dirigerà, alla «regola di giudizio» che dovrà applicarsi per la pronuncia del provvedimento conclusivo della medesima, ed alla stessa natura giuridica di tale provvedimento, che entrerà sempre più nel «merito» della regiudicanda conseguente alle imputazioni formulate dall'organo requirente. Problemi, questi, di cui si cercherà di tener conto, seppur con considerazioni che non potranno non risentire (vista la novità del provvedimento legislativo) di una qual certa accademica astrattezza, ma che solo una prassi ben orientata potrà tentare di risolvere, salvo, naturalmente, la non peregrina ipotesi di un repentino ripensamento legislativo (i revirement, e i nevrotici cambi di tendenza da parte del legislatore non costituiscono oggigiorno di certo una sorpresa!).

  3. - Non ci appare, prima facie, rilevante invece, in quest'ottica, la nuova previsione dell'art. 420, quarto comma, che conferisce la facoltà, anche su richiesta di parte, di redigere il verbale non soltanto in forma riassuntiva, ma anche «attraverso la riproduzione fonografica ed audiovisiva, ovvero la redazione con la stenotipia». Invero, la nuova norma si limita a recepire le indicazioni cogenti della Consulta, che con la sentenza n. 529 del 3 dicembre 1990, tipica pronunzia manipolativa, aveva, per contrarietà alla leggedelega, dichiarato incostituzionale il quinto comma di detto articolo nella parte in cui prevedeva dopo la parola «redatto» il termine «soltanto», anziché «di regola in forma riassuntiva». Si segnala, peraltro, come nei processi con maggior numero di imputati la «regola» fosse ormai, nella prassi operativa diventata quella opposta, ovvero...

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