La Nozione di rifiuto e l'art. 14 del D.L. N. 138/2002: Una questione ancora aperta

AutoreClaudio Busca
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@1. Premessa

L'ampio dibattito dottrinale sull'interpretazione della nozione di rifiuto ha trovato, con l'art. 14 della legge 178/2002, ulteriori occasioni di riflessioni che hanno riproposto tutte le posizioni e le divergenze che caratterizzano il confronto su tali tematiche. Con l'art. 14 il legislatore nazionale ha emanato una norma di «interpretazione autentica» con la quale, come è noto, è stata sancita l'esclusione dal regime dei rifiuti di beni, sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, indipendentemente dal fatto che il riutilizzo sia preceduto o meno da un trattamento preventivo.

In ordine alla conformità di tale norma alla definizione di rifiuto data dalla normativa comunitaria, non si può tacere né della procedura di infrazione (n. C2002 3868) aperta nei confronti dell'Italia per violazione degli obblighi derivanti dalla direttiva 75/442/ CEE come modificata dalla 91/156/CEE, e tanto meno di quanto affermato dalla Corte di giustizia dell'UE nell'ormai nota pronuncia dell'11 novembre 2004 (causa C-457/02, Niselli) 1. In particolare, nella citata pronuncia, la Corte ha affermato che la norma nazionale fornisce un'interpretazione che «si risolve manifestamente nel sottrarre alla qualifica come rifiuto residui di produzione o di consumo che invece corrispondono alla definizione sancita», confermando, pertanto, i dubbi di quella parte della dottrina secondo cui l'art. 14 opererebbe un'illegittima restrizione della nozione di rifiuto, sottraendo dal suo ambito di applicazione una serie di sostanze e materiali che - si afferma - dovrebbero rientrarvi.

@2. Applicabilità dell'art. 14: il giudizio della Cassazione

Ciò nonostante va affermato con chiarezza che l'art. 14 conserva tutta la sua vigenza nell'ordinamento nazionale e in quanto tale non può essere disapplicato, come da taluni affermato proprio a seguito della predetta sentenza della Suprema Corte europea. Di tale avviso è la Suprema Corte di cassazione che sull'applicabilità dell'art. 14 quale norma di «interpretazione autentica» si è pronunciata con sentenza n. 46680 del 12 ottobre 2004 2. Con tale sentenza la III sez. penale della Suprema Corte, accogliendo l'eccezione dei ricorrenti per la mancata applicazione dell'art. 14 da parte del giudice di primo grado (in un giudizio attinente al riutilizzo di residui di attività di demolizioni edili), ha affermato che l'art. 14 «pur modificando la nozione di rifiuto dettata dall'art. 1 della direttiva 91/156/CEE è vincolante per il giudice nazionale, poiché la citata direttiva non è autoapplicabile non avendo le caratteristiche delle direttive cosiddette self-executing (Cass. pen., sez. III, n. 46680 del12 ottobre 2004, Falconi ed altri). La Corte ha così confermato l'orientamento già espresso con sent. 13 novembre 2002, sez. III, Paserotti 3, nella quale aveva affermato che «la nuova disciplina del 2002 - benché modificativa della nozione di rifiuto dettata dall'art. 6, primo comma - lett. a), del D.L.vo n. 22/1997 - è vincolante per il giudice, in quanto introdotta con atto avente pari efficacia legislativa della norma precedente. Essa inoltre - benché modificativa anche della nozione di rifiuto dettata dall'art. 1 della direttiva europea 91/156/CEE - resta vincolante per il giudice italiano, posto che tale direttiva non è autoapplicativa (self-executing) e costituisce obblighi per gli Stati dell'Unione Europea ma non direttamente situazioni giuridiche attive o passive per i soggetti intrastatali, sicché ha necessità di essere recepita dagli ordinamenti nazionali per diventare efficace verso questi...

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