n. 45 SENTENZA 10 - 13 marzo 2014 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promosso dal Tribunale di Catanzaro, sezione del riesame, nel procedimento penale a carico di D.L.A. con ordinanza del 6 novembre 2012, iscritta al n. 40 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2013. Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2014 il Giudice relatore Giuseppe Frigo. Ritenuto in fatto Con ordinanza depositata il 6 novembre 2012, il Tribunale di Catanzaro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, 27, secondo comma, e 32 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dello stesso articolo non si applicano quando si procede per il delitto di cui all'art. 74 del medesimo decreto (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope). Il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, che con ordinanza del 14 dicembre 2009 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva sottoposto a custodia cautelare in carcere una persona gravemente indiziata, tra l'altro, del delitto previsto dal citato art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990. Dichiarato colpevole di tale reato dal Giudice dell'udienza preliminare del medesimo Tribunale, l'imputato aveva chiesto a quest'ultimo che la misura cautelare in corso fosse sostituita, ai sensi dell'art. 89, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, con quella degli arresti domiciliari presso una comunita' terapeutica per tossicodipendenti. Pronunciando sull'appello proposto dall'interessato contro il provvedimento di rigetto dell'istanza, il Tribunale di Catanzaro, sezione per il riesame, l'aveva dichiarato inammissibile con ordinanza del 1° settembre 2011, rilevando che, in forza del comma 4 dell'art. 89 del d.P.R. n. 309 del 1990, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo non si applicano quando si procede per uno dei delitti previsti dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), tra i quali e' compreso quello di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti: con la conseguenza che, nel caso di specie, l'operativita' della disciplina invocata dall'appellante rimaneva «preclusa a priori». A seguito di ricorso dell'interessato, la Corte di cassazione aveva annullato con rinvio la decisione, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Catanzaro per un nuovo esame dell'appello alla luce dell'intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2011. Tutto cio' premesso, il Tribunale rimettente - reinvestito del procedimento quale giudice del rinvio - ritiene di dover sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui rende inapplicabile la speciale disciplina dettata dai commi 1 e 2 dello stesso articolo, in tema di «provvedimenti restrittivi nei confronti delle persone tossicodipendenti o alcooldipendenti che abbiano in corso programmi terapeutici», allorche' si proceda per il delitto dianzi indicato. Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che il ricorrente ha documentato la sussistenza dei presupposti richiesti dal comma 2 del citato art. 89 per la concessione degli arresti domiciliari presso una comunita' terapeutica per tossicodipendenti. Non ricorrendo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, la relativa istanza andrebbe dunque accolta, se a cio' non ostasse la preclusione censurata. La decisione che il Tribunale rimettente e' chiamato ad adottare, concernendo un appello de libertate, rimarrebbe, d'altro canto, soggetta al principio «tantum devolutum quantum appellatum». Tale circostanza impedirebbe al giudice a quo di sostituire la misura carceraria con gli arresti domiciliari ai sensi dell'art. 299, comma 2, cod. proc. pen., sulla base della valutazione di una eventuale attenuazione delle esigenze cautelari, trattandosi di profilo non investito dai motivi di impugnazione. Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo rileva come nel sistema delle misure cautelari personali siano rinvenibili plurimi «correttivi» alla disciplina generale circa la scelta della misura da applicare, allorche' la persona interessata versi in particolari condizioni. A norma dei commi 4 e seguenti dell'art. 275 cod. proc. pen., sarebbero infatti richieste esigenze cautelari di «eccezionale rilevanza» per disporre la custodia in carcere nei confronti di una donna incinta o che allatta la propria prole, di un soggetto ultrasettantenne o di una persona che versa in condizioni di salute particolarmente gravi, le quali non consentano le cure necessarie in stato di detenzione (il rimettente evoca, peraltro, con cio', una versione non piu' vigente dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen. e, in particolare, quella anteriore alla sostituzione disposta dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, recante «Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione di procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa»). L'art. 286 del medesimo codice prevede, inoltre, la custodia in un luogo di cura, anziche' in carcere, nell'ipotesi di infermita' totale o parziale di mente;

mentre il successivo art. 299, comma 4-ter, «"chiude" questo assetto sul piano delle indagini medico-legali finalizzate alla verifica della compatibilita' tra le condizioni della persona e la detenzione carceraria». La comune ragion d'essere di siffatte previsioni risiederebbe nella tutela del diritto alla salute dell'imputato rispetto a pregiudizi - potenziali o in atto - derivanti dalla custodia carceraria, la cui finalita' cautelare risulta pertanto cedevole di fronte a situazioni soggettive peculiari, reputate dal legislatore prevalenti, a prescindere dal titolo del reato per cui si procede. Raffrontata con tale disciplina, la norma censurata si rivelerebbe lesiva dell'art. 32 Cost., in quanto accorderebbe al diritto alla salute dei...

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