n. 40 SENTENZA 23 gennaio - 8 marzo 2019 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promosso dalla Corte d'appello di Trieste, nel procedimento penale a carico di J.F. C.M. con ordinanza del 17 marzo 2017, iscritta al n. 113 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 gennaio 2019 il Giudice relatore Marta Cartabia. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 17 marzo 2017 (reg. ord. n. 113 del 2017), la Corte d'appello di Trieste ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, nella parte in cui, per effetto della sentenza n. 32 del 2014 della Corte Costituzionale, prevede la pena minima edittale di otto anni anziche' di quella di sei anni introdotta con l'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonche' la funzionalita' dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le questioni sono state sollevate nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto una fattispecie di detenzione di circa cento grammi di cocaina, occultati all'interno di tre condensatori per computer, contenuti all'interno di un pacco proveniente dall'Argentina. Il giudice di prime cure ha ritenuto che la sostanza stupefacente fosse destinata in via prevalente alla cessione a terzi, cosi' escludendo, tenuto conto della quantita' di tale sostanza sequestrata e di altri elementi di contesto, la possibilita' di inquadrare il fatto nell'ipotesi di lieve entita' di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990. In esito a giudizio abbreviato, l'imputato e' stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione e 14.000 euro di multa, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e l'applicazione della diminuente per il rito. 1.1.- L'ordinanza precisa che il difensore dell'imputato, pur non contestando la responsabilita' penale per il fatto ascritto, ne ha chiesto la riqualificazione, ai sensi del citato art. 73, comma 5. In via subordinata, permanendo la qualificazione giuridica del fatto di cui all'imputazione, ha posto in dubbio la legittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990. La difesa privata si duole del fatto che tale disposizione prevede oggi, all'esito di una tortuosa evoluzione normativa, un trattamento sanzionatorio con limite edittale minimo di otto anni di reclusione, pari al doppio del massimo previsto per il reato minore. Infatti, a seguito della sentenza n. 32 del 2014, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost., degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. n. 272 del 2005, come convertito, ha ripreso applicazione l'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo anteriore alle modifiche apportate con le disposizioni dichiarate incostituzionali, cosi' dando luogo a una grave incoerenza sistematica con i commi 5 e 5-bis. 1.2.- L'ordinanza, quindi, riferisce che il difensore dell'imputato, proprio sul presupposto che detto trattamento edittale e' «rivissuto per effetto dell'intervento della Corte costituzionale in un contesto normativo affatto diverso», ha eccepito, sulla scorta di analoghi argomenti gia' posti a sostegno della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale di Rovereto il 3 marzo 2016 (reg. ord. n. 100 del 2016), l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, chiedendo la sospensione del giudizio in attesa della decisione della Corte costituzionale. 2.- Su tali basi, la Corte d'appello triestina ha ritenuto che sussistano i presupposti per sollevare le questioni di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 25, 3 e 27 Cost., dell'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui detta disposizione prevede - a seguito della sentenza n. 32 del 2014 - la pena minima edittale di otto anni di reclusione. 3.- In punto di rilevanza, la Corte rimettente afferma di condividere la qualificazione giuridica del fatto-reato data dal giudice di primo grado corrispondente al delitto di cui all'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, ostando alla sua sussumibilita' nell'ambito della cosiddetta «lieve entita'» una serie di elementi, quali la quantita' di sostanza stupefacente (quasi cento grammi netti di cocaina), rivelatasi, all'analisi tossicologica, dotata di elevata percentuale di purezza (57%) e idonea al confezionamento di ben 375 dosi;

le circostanze del traffico, involgente fornitori d'oltre oceano, con modalita' di trasferimento pianificate per impedire il rinvenimento dello stupefacente;

la condotta dell'imputato, che, dopo essersi procurato, appena un mese prima, oltre cento grammi di cocaina (benche' di peggiore qualita'), accettava di ricevere una nuova consistente fornitura;

il rinvenimento nella sua abitazione di 3.700 euro in contanti, verosimilmente non riconducibili a guadagni e risparmi. 4.- In punto di non manifesta infondatezza, la Corte rimettente ha rilevato il contrasto della norma censurata in relazione a distinti parametri costituzionali. 4.1.- In primo luogo, l'ordinanza denuncia una violazione del principio della riserva di legge in materia penale, di cui all'art. 25, secondo comma, Cost. A tal fine, richiamandosi all'ordinanza della Corte di cassazione, sezione sesta penale, del 12 gennaio 2017, con cui la Suprema Corte aveva a sua volta sollevato un'analoga questione di legittimita' costituzionale (decisa da questa Corte con ordinanza n. 184 del 2017 nel senso della manifesta inammissibilita'), la Corte d'appello rimettente rileva che, proprio in virtu' del citato principio della riserva di legge, gli interventi in materia penale volti ad ampliare le fattispecie di reato o a inasprire le sanzioni appartengono al monopolio esclusivo del legislatore, di modo che in tali casi non vi sarebbe spazio di azione per sentenze manipolative in malam partem della Corte costituzionale. Di qui la questione di legittimita' costituzionale sul vigente art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, volta a ripristinare il piu' mite trattamento sanzionatorio, gia' introdotto nel 2006, da sei a venti anni di reclusione. 4.2.- In secondo luogo, la Corte rimettente evidenzia il difetto di ragionevolezza della dosimetria della pena prevista dal vigente art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, che emergerebbe nel raffronto con il trattamento sanzionatorio previsto per il fatto di lieve entita' (da sei mesi a quattro anni di reclusione) dall'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 e con quello previsto per le cosiddette «droghe leggere» (da due a sei anni di reclusione) dall'art. 73, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990. Il giudice rimettente evidenzia che, nonostante la linea di demarcazione...

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