n. 35 SENTENZA 6 dicembre 2017- 21 febbraio 2018 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nel testo anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), promosso dal Tribunale ordinario di Busto Arsizio nel procedimento penale a carico di C. N., con ordinanza dell'11 novembre 2016, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 dicembre 2017 il Giudice relatore Franco Modugno. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza dell'11 novembre 2016, il Tribunale ordinario di Busto Arsizio ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nel testo anteriore alle modifiche operate dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui, con riguardo al delitto di indebita compensazione ivi descritto, «indica il limite di punibilita' in 50.000 euro annui anziche' in 150.000 euro». Il giudice a quo riferisce di essere investito del processo nei confronti di una persona imputata del reato previsto dalla norma censurata, per aver omesso di versare somme dovute a titolo di imposte sui redditi per l'anno 2009 dell'importo complessivo di euro 125.214, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonche' di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), crediti per imposta sul valore aggiunto (IVA) risultati inesistenti. Il rimettente rileva come sia applicabile alla fattispecie, ratione temporis, l'art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000 nel suo testo originario, che richiamava - con la medesima tecnica utilizzata nell'art. 10-ter a proposito del delitto di omesso versamento dell'IVA - la disposizione dell'art. 10-bis dello stesso decreto legislativo, ai fini della determinazione tanto del trattamento sanzionatorio (reclusione da sei mesi a due anni), quanto della soglia di punibilita' (euro 50.000 per periodo di imposta). Tale formulazione risulta, infatti, piu' favorevole all'imputato di quella successivamente introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015, che - fermo restando l'ammontare della soglia di punibilita' - descrive in modo autonomo la fattispecie, distinguendo l'ipotesi dell'utilizzazione in compensazione di crediti non spettanti, per la quale la risposta punitiva e' rimasta invariata (comma 1 dell'art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, come novellato), da quella dell'utilizzazione di crediti inesistenti - considerata piu' grave - per la quale la pena e' stata invece notevolmente aumentata (reclusione da un anno e sei mesi a sei anni: comma 2 del nuovo art. 10-quater). Discutendosi, nel caso di specie, della compensazione di crediti in assunto inesistenti, i principi generali in tema di successione di leggi penali, di cui all'art. 2 del codice penale, imporrebbero di applicare la norma incriminatrice nella versione d'origine, che prevede il trattamento sanzionatorio piu' mite. Cio' posto, il giudice a quo rileva, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, che con la sentenza n. 80 del 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo, per contrasto con l'art. 3 Cost., l'art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, puniva l'omesso versamento dell'IVA, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38. La Corte ha ritenuto, in specie, lesiva del principio di eguaglianza la previsione, per il delitto di omesso versamento dell'IVA, di una soglia di punibilita' (euro 50.000) inferiore a quelle stabilite per la dichiarazione infedele e l'omessa dichiarazione dagli artt. 4 e 5 del medesimo decreto legislativo (rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.468,53), prima della loro modifica in diminuzione ad opera del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148;

modifica operante, per espressa previsione normativa, in rapporto ai soli fatti commessi dopo il 17 settembre 2011. In questo modo, infatti, veniva riservato un trattamento deteriore a comportamenti di evasione tributaria meno insidiosi e lesivi degli interessi del fisco, attenendo l'omesso versamento a somme di cui lo stesso contribuente si era riconosciuto debitore nella dichiarazione annuale relativa all'IVA. Il rimettente ricorda altresi' come, a seguito di tale pronuncia, i Tribunali ordinari di Lecce e di Palermo abbiano sollevato una similare questione di legittimita' costituzionale inerente al delitto di indebita compensazione. Riguardo ad essa, la Corte costituzionale ha peraltro disposto, con l'ordinanza n. 116 del 2016, la restituzione degli atti ai giudici a quibus per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza alla luce dei sopravvenuti mutamenti del quadro normativo, conseguenti all'entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015. A questo proposito, il rimettente osserva come la novella del 2015 abbia modificato l'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, elevando la soglia di punibilita' del delitto di dichiarazione infedele, riferita all'imposta evasa, a 150.000 euro. Trattandosi di modifica favorevole al reo, tale nuovo limite di punibilita' deve ritenersi applicabile anche ai fatti anteriormente commessi. Allo stato attuale, pertanto, il contribuente che, dopo aver presentato la dichiarazione IVA, abbia utilizzato in compensazione crediti non spettanti o inesistenti, omettendo il pagamento dell'imposta per un ammontare superiore a 50.000 euro, e' assoggettato a sanzione penale, mentre il contribuente che abbia presentato una dichiarazione infedele, esponendo elementi passivi fittizi od omettendo di indicare elementi attivi, con una evasione di imposta superiore a 50.000 euro, ma non a 150.000 euro, resta esente da pena. Ad avviso del Tribunale rimettente, tale assetto violerebbe l'art. 3 Cost. per contrasto con il «principio di eguaglianza formale e sostanziale», in quanto due condotte che appaiono, anche sotto il profilo sanzionatorio, quantomeno di pari gravita' verrebbero trattate in modo ingiustificatamente differenziato. Il reato di dichiarazione infedele e', infatti, punito con la pena della reclusione da uno a tre anni, piu' elevata di quella prevista dall'art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, nella formulazione applicabile al caso concreto, per il delitto di indebita compensazione. Cio' a dimostrazione del fatto che il legislatore lo ha considerato piu' grave. Sul piano del disvalore, in ogni caso, le due fattispecie criminose apparirebbero sostanzialmente identiche. In entrambe le ipotesi verrebbe, infatti, punita una condotta commissiva del contribuente a carattere «fraudolento e/o decettivo», atta a creare una falsa rappresentazione documentale della realta': connotazioni che renderebbero le fattispecie stesse piu' gravi, ad esempio, del reato di omessa dichiarazione, la cui condotta e' meramente omissiva. A fronte di cio', la previsione, per l'indebita compensazione, di una soglia di punibilita' nettamente piu' bassa di quella della dichiarazione infedele - il rapporto e' addirittura di uno a tre - risulterebbe palesemente irragionevole. La questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo. Il suo accoglimento porterebbe, infatti, al proscioglimento dell'imputato, al quale e' contestato l'omesso versamento, tramite utilizzazione in compensazione di crediti inesistenti, di una somma inferiore a 150.000 euro. 2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. L'Avvocatura generale dello Stato rileva che la condotta tipica...

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