n. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 marzo 2018 -

TRIBUNALE DI CATANIA Seconda Sezione penale Il giudice, dott. Ottavio Grasso, letti gli atti del procedimento n. 98/2017 R.G.App. all'esito della Camera di consiglio di cui all'udienza del 6 marzo 2018;

Osserva Con atto di appello depositato in data 5 aprile 2017 C. D., imputato del reato di cui all'art. 590 codice penale, proponeva impugnazione, anche ai fini delle statuizioni civili, avverso la sentenza del Giudice di pace di Catania n. 72/2017 del 7 marzo 2017 con la quale il medesimo era stato condannato alla pena di euro 400,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede civile, ed alla rifusione (in solido con il responsabile civile HDI Assicurazioni) delle spese legali da quest'ultima sostenute. L'appellante, in particolare, lamentava l'errata valutazione da parte del giudice di prime cure in ordine alla sussistenza del nesso di causalita' tra il sinistro stradale occorso e le lesioni personali riportate dalla parte civile, nonche' l'omessa pronuncia ai sensi dell'art. 35 decreto legislativo n. 274/2000 e, in subordine, domandava pronunciarsi sentenza di assoluzione ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 530 codice di procedura penale e 131-bis codice penale, stante la tenuita' dell'offesa subita dalla persona offesa (trattasi, pii specificamente, di lesioni personali lievi da cervicalgia post-traumatica, giudicate guaribili in giorni otto). La sentenza emessa dal Giudice di pace in primo grado ha sancito la penale responsabilita' dell'odierno imputato sulla base dell'attivita' istruttoria espletata, correttamente ritenendo sussistente il nesso eziologico tra la condotta colposa del medesimo (consistita nella mancata osservanza della distanza di sicurezza mentre si trovava alla guida del veicolo) ed il danno patito dalla p.o. costituitasi parte civile, ma nulla ha statuito in ordine alla possibilita' di una pronuncia ai sensi degli articoli 34 e 35 decreto legislativo n. 274/2000. Riguardo alla doglianza relativa alla mancata applicazione dell'art. 35 cit., giova sottolineare che la giurisprudenza allo stato e' ondivaga in ordine all'applicabilita' del medesimo da parte del Tribunale quale giudice di secondo grado () e che, ad ogni modo, ad avviso di questo Tribunale, anche a voler accedere alla tesi favorevole, sarebbe in ogni caso, preliminare, una valutazione in ordine alla effettivita' applicabilita' nel caso concreto del disposto dell'art. 131-bis codice penale, in conformita' ai principi sanciti dall'art. 129 codice di procedura penale in forza dei quali e' dovere dell'organo giurisdizionale vagliare la possibilita' di addivenire ad una pronuncia di assoluzione nel merito (quale quella di assoluzione ex art. 131-bis c.p.) piuttosto che di mero proscioglimento (quale quella di dichiarazione di estinzione del reato per condotte riparatorie ex art. 35 cit.). Con riferimento al diverso profilo della tenuita' del fatto occorre, invece, rilevare che il Giudice di pace nulla ha osservato in ordine alla possibilita' di addivenire ad una pronuncia ai sensi dell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 durante tutto il corso del procedimento e che, per contro, l'appellante nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado ha postulato una pronuncia di assoluzione ai sensi dell'art. 131-bis c.p. Orbene, alla luce di cio', appare opportuno sottolineare le differenze intercorrenti tra le due disposizioni in questione, id est l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000, da un lato, e l'art. 131-bis codice penale, anche alla luce della recente pronuncia della Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 53683 del 22 giugno 2017. La prima e' norma pensata con particolare riferimento al settore dei reati rientranti nella cognizione del Giudice di pace ed in forza della quale viene attribuito a quest'ultimo il potere-dovere di chiudere il procedimento, sia prima che dopo l'esercizio dell'azione penale, dovendo riscontrare il difetto di una condizione di procedibilita' allorquando il fatto incriminato risulti di «particolare tenuita'» rispetto all'interesse tutelato e tale, per l'effetto, da non giustificare l'esercizio o la prosecuzione dell'azione penale. In ordine al riscontro della sussistenza, in concreto, di un fatto che possa qualificarsi come tenue, il giudicante e' chiamato a valutare l'esiguita' del danno o del pericolo scaturiti dalla condotta del reo, l'occasionalita' della medesima ed il grado di colpevolezza, dovendo addivenire ad una pronuncia in tal senso ogniqualvolta l'esercizio dell'azione penale non appaia alla stregua di tali parametri giustificato ovvero la sua prosecuzione possa recare un pregiudizio alle esigenze di lavoro, studio, famiglia o salute dell'indagato/imputato. L'art. 131-bis codice penale (introdotto nel codice penale ad opera del decreto legislativo n. 28/2015), rubricato «Esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto», generalizzando le acquisizioni gia' fatte proprie dal legislatore con l'art. 34 citato (in materia di processo penale innanzi al Giudice di pace) e con l'art. 27 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/88 (in materia di processo penale minorile), ha dato nuovo vigore al principio di offensivita', costituente pilastro fondamentale del sistema del diritto...

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