Brevi riflessioni su di un istituto dalle molteplici sfaccettature: la mediazione minorile nei conflitti in famiglia e nel processo penale davanti al Tribunale per i minorenni

AutorePaolo Grillo
Pagine643-648

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@1. Premessa

- È ormai noto a tutti, in ambito giudiziario, che cosa si intenda con il termine «mediazione».

Da molto tempo se ne parla: l'argomento è stato studiato, sviscerato e affrontato pure in chiave comparatistica1. La notorietà dell'istituto, pertanto, esimerà chi scrive dall'addentrarsi in minuziose - e tutto sommato mai troppo gradite - operazioni definitorie. Basterà, infatti, osservare che ci si trova nel settore della giustizia riparativa, e che la mediazione, in generale, è un percorso riparativo-conciliativo che si affronta per cercare di ricomporre un conflitto di qualsiasi specie.

Ciò premesso, evidenziamo ora lo sviluppo di quelli che si ritiene saranno soltanto brevi spunti di riflessione, utili - forse - per tenere a mente la poliedricità dell'argomento in esame e per non dimenticare l'importanza che questa tematica riveste soprattutto nella nostra esperienza processuale penale minorile.

Si è scelto, in questa sede, di concentrare l'attenzione soltanto sulla mediazione relativa ai conflitti che coinvolgono, in qualche misura, i minori, tralasciando l'analisi degli istituti di giustizia riparativa riguardanti altri settori del processo penale.

Per maggiore comodità espositiva, ma anche per fare meglio a duttilità dell'istituto de quo, si è preferito dedicare due distinti spazi alla mediazione: quella svolta nei conflitti familiari ed a quella che si sviluppa nel processo penale a carico di imputati minorenni. La distinzione, lo si anticipa, è dettata soltanto dalla necessità di scandire la trattazione dell'argomento, il cui protagonista principale è sempre lo stesso: il minore.

@2. L'utilizzo delle tecniche mediatorie nei conflitti che coinvolgono i minori

- Esistono molti documenti normativi - sia nazionali, sia extranazionali - espressamente dedicati alla protezione del minore o, comunque, volti ad apprestare una particolare tutela nelle situazioni critiche in cui egli può trovarsi.

Tale speciale attenzione è dovuta, con tutta evidenza, alla necessità di garantire che un soggetto di giovane età, e, quindi, con una personalità ancora in via di formazione, possa subire il minore danno possibile se è coinvolto in una qualsiasi situazione conflittuale.

Tanto per esemplificare, possiamo prendere in considerazione due esempi di apparati normativi dedicati al minore: uno nazionale ed uno sovranazionale.

Il primo è senz'altro il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, che disciplina il processo penale minorile. Esso, com'è noto, ha una finalità protettivorieducativa, così come si può evincere dai «principi generali» contenuti nell'art. 1 dello stesso testo.

Il processo penale minorile è costruito attorno alla necessità di tenere in debita considerazione - rispetto al procedimento penale ordinario - sia la personalità del minore, sia le sue esigenze educative, fra le quali risiede anche quella di comprendere le ragioni etico-sociali delle decisioni adottate dal giudice.

Con riferimento invece al panorama internazionale, basta ricordare la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, ovvero, del medesimo tenore, la Convenzione del 20 novembre 1989 siglata a New York.

Tutti questi corpi normativi hanno una finalità tutelativa nei confronti del minore, che ha maggior bisogno di protezione proprio nel momento in cui si trova coinvolto in una vicenda conflittuale.

Sotto quest'ultimo profilo, si deve evidenziare in questa sede che, le situazioni conflittuali che coinvolgono un minore possono essere numerose: pensare, per restare in tema, al procedimento penale - esempio ormai classico, a causa dei fatti dai quali scaturisce un «conflitto» - nel quale il minore può essere coinvolto nella triplice veste di imputato, persona offesa e testimone.

Una breve parentesi, a questo punto, si impone; dei tre predetti ruoli che il minore può ricoprire in un procedimento penale, quello meno regolato, in maniera specifica, è proprio il ruolo di persona offesa. In tutti gli altri casi, invece, vi sono - com'e noto - norme (o, per il minore imputato, complessiPage 644 di norme) espressamente calibrate sulla specificità del soggetto coinvolto.

Sotto il versante degli altri conflitti nei quali il minore può trovarsi coinvolto, occorre menzionare quelli di carattere familiare. Essi, in una collocazione giuridica generale, attengono per lo più al piano del diritto civile e dovrebbero, pertanto, rimanere fuori da un'analisi di tipo strettamente processualpenalistico.

Tuttavia, proprio perché, come vedremo nel prosieguo della trattazione, l'istituto della mediazione è assolutamente «universale», adattandosi ad ogni genere di situazione critica, i conflitti familiari possono trovare una breve collocazione in questa sede, con esclusivo riferimento all'aspetto mediativo.

È ormai opinione comune che la mediazione è una tecnica o, più correttamente, un approccio culturale, finalizzato alla risoluzione dei conflitti in modo alternativo o complementare alle soluzioni che offre il tradizionale strumento processuale (sia civile che penale).

In dottrina, la mediazione viene genericamente definita come una modalità informale, finalizzata alla risoluzione di una vicenda conflittuale, la quale avrebbe dovuto essere altrimenti sottoposta al giudizio di un magistrato2.

Il percorso mediativo si svolge secondo cadenze assolutamente diverse da quelle dell'accertamento giudiziale e, per questo, esse sono molto meno «formalistiche» e rigide.

Tali cadenze, sin dal momento - secondo alcuni coevo allo svilupparsi della società umana3 - in cui sono state elaborate, non sono state espressamente modellate in relazione all'età anagrafica delle persone coinvolte.

Oggi, invece, si tende a peculiarizzare - proprio sulla base della distinzione della maggiore o minore età - ogni tipo di tutela giuridica, da qui lo studio volto ad affinare le tecniche di mediazione in relazione alla persona del minore.

In ultimo, occorre soffermarsi su quelle tesi secondo cui non esisterebbe una vera e propria mediazione espressamente dedicata al minore, dovendosi - con la locuzione «mediazione minorile» - fare generico riferimento a tutte quelle tecniche di ricomposizione dei conflitti che, in qualche misura, siano destinate ad applicarsi allorquando occorra tutelare un minore nella sua vita familiare, scolastica ovvero - passando all'ambito penalistico - nel contesto di un procedimento penale o nelle esperienze di carattere penitenziario4.

Proprio per tali ragioni, secondo alcuni, sarebbe più corretto parlare di mediazione tout court.

Questa generalizzazione, però, non appare affatto condivisibile sia perché, per effetto di essa, si perdono di vista le peculiarità delle tecniche mediative minorili, sia per le esigenze di sistematizzazione e di approfondimento connesse allo studio di una particolare materia.

Pertanto, conviene, alla luce di quanto appena detto, passare ad una rapida trattazione della mediazione familiare (argomento, come si diceva, di stampo prettamente civilistico), per poi passare ad una più approfondita disamina degli spazi mediativi riservati nel processo penale minorile.

@3. La mediazione familiare: cenni

- Si sente spesso parlare di mediazione familiare. In questa sede, si tenterà di tracciarne le linee caratteristiche principali, per poi individuarne le differenze e le similitudini con la mediazione propria del processo penale. La mediazione familiare è senza dubbio una tecnica di ricomposizione dei conflitti che possono insorgere nell'ambito della vita familiare.

Ancor più in particolare, va rilevato che la modalità mediativa di risoluzione del conflitto in famiglia risulta essere del tutto alternativa al ricorso alla giustizia «ordinaria». Scopo della mediazione, in questi casi, è proprio quello di evitare che possa instaurarsi una lite giudiziaria che finirebbe per «ufficializzare» il conflitto devolvendone la risoluzione a tecnici del diritto quali avvocati e magistrati: ciò potrebbe...

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