Il mobbing nella valutazione del giudice penale

AutoreMaria Rosaria Correra
Pagine1213-1222

Page 1213

Nuove forme di sfruttamento nel mondo del lavoro e ricerca della tutela giuridica. – I rapidi progressi scientifico-tecnologici che hanno investito la nostra società post-industriale, hanno prodotto cambiamenti radicali anche nell’organizzazione del lavoro. Con la terziarizzazione dei settori d’impiego si è accresciuto il ruolo del capitale umano nel mondo del lavoro, ma nel contempo quest’ultimo si caratterizza per un sempre più marcato ricorso alla mobilità, alla flessibilità, ad una esasperante competititività che trasforma la carriera in carrierismo.

L’attuale mercato del lavoro agevola forme di comportamenti vessatori nei confronti dei lavoratori: le statistiche dicono che dove il tasso di disoccupazione è basso, il mobbing è legato soltanto a molestie sessuali, dove è alta la disoccupazione, invece, l’incidenza del mobbing è maggiore.

L’industria, con le grandi privatizzazioni, i processi di fusione e ristrutturazione, ricorre spesso a scelte strategiche nella organizzazione del lavoro e del personale dipendente, che possono essere alla base di pratiche di mobbing. Si parla di mobbing pianificato proprio per indicare quella strategia aziendale di riduzione del personale che si stima in eccedenza, nell’ambito di processi di riqualificazione o «razionalizzazione» del personale (capitale umano). Mobbing strategico o pianificato che è più marcato in Paesi, come l’Italia, caratterizzati dalla rigidità delle tutele contro i licenziamenti e dalla difficoltà di monetizzare l’esodo del personale.

D’altra parte, le statistiche1 rilevano che la percentuale più elevata di persone che subiscono il mobbing è nella pubblica amministrazione. Qui l’eccesso di burocrazia, che fonda l’organizzazione del lavoro sul principio gerarchico, e nello stesso tempo l’introduzione in molti settori (es. sanità, enti locali) di forme manageriali di gestione delle riserve umane e materiali, può agevolare il ricorso a pratiche di mobbing intese a favorire determinate nomine «politiche», dequalificando il personale che svolgeva in precedenza le medesime funzioni, ovvero dirottando all’esterno, attraverso il ricorso sempre più frequente da parte degli enti locali alle consulenze, le funzioni svolte dai tecnici interni all’amministrazione, che per l’effetto, vengono esautorati di ogni competenza.

Il mobbing sui luoghi di lavoro, dunque, si candida a diventare disturbo sociale, che provoca non solo gravi danni all’equilibrio psicofisico della vittima, ma anche conseguenze sul piano sociale, laddove le energie rivolte alla creatività personale ed allo sviluppo dell’impresa vengono dirette all’annientamento dell’altro, alla distruttività, con innegabili effetti collaterali anche sul piano relazionale e familiare (c.d. doppio mobbing).

Ed il rilievo che queste patologie da mobbing assumono nel mondo del lavoro anche in Italia è stato confermato dalla circolare Inail 17 dicembre 20032, annullata nel 2005 dal Tar Lazio, che includeva nelle malattie professionali non tabellate anche i «disturbi psichici derivanti da costrittività professionale sul lavoro», fornendo anche un elenco di costrittività organizzative (rappresentate da marginalizzazione dell’attività lavorativa, svuotamento delle mansioni, mancata assegnazione di strumenti o compiti, ecc.).

Il D.M. 27 aprile 2004, ritenuto legittimo dal Tar Lazio, include nell’elenco delle patologie per le quali è obbligatoria la denuncia da parte del medico le «malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro (costrittività organizzative)», inserendole nella Lista II, di «malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità»3.

Ed è proprio la varietà di comportamenti lesivi attraverso i quali si realizza il mobbing, che porta alla costante ricerca di forme di tutela più flessibili ed adeguate a contrastare il fenomeno.

Esperienze europee a confronto. – La ricerca deve partire dallo ius commune.

Il 16 luglio 2001 la Commissione Occupazione ed Affari sociali del Parlamento europeo vara un’ampia Relazione sul fenomeno del mobbing ed il 20 settembre 2001 il Parlamento Europeo approva la Relazione ed emana la Risoluzione A5-0283-2001, che rappresenta il primo manifesto programmatico in tema di abusi e vessazioni nei confronti dei lavoratori nell’ambiente di lavoro e detta le linee della futura azione comunitaria sul tema.

La Risoluzione mira a ricercare le cause che favoriscono l’espandersi del fenomeno, poi richiama l’attenzione sui danni alla salute fisica e psichica della vittima e della sua famiglia, sull’abbandono del posto di lavoro che consegue in tali casi, sul rischio che false accuse di mobbing ai superiori possano trasformarsi in uno strumento di mobbing ascendente od orizzontale.

Indi la Risoluzione invita gli Stati membri ad adottare una definizione uniforme di mobbing ed a completare la propria legislazione in modo da offrire al prestatore una piena tutela contro gli abusi di qualsiasi tipo perpetrati nell’ambiente di lavoro.

L’invito è stato accolto dalla Francia che con legge 17 gennaio 2002 n. 73 sulla modernizzazione sociale ha disciplinato il fenomeno mobbing e previsto una serie di rimedi sia di ordine civilistico che penale. La legge, infatti, ha novellato il codice delPage 1214 lavoro (Code du travail art. 122-45), inserendo una nozione molto ampia di mobbing, che ricomprende le varie forme di mobbing verticale, orizzontale e ascendente, stabilendo che «Nessun lavoratore dipendente deve subire condotte reiterate di molestia morale, che hanno per oggetto, o per effetto, un deterioramento delle condizioni di lavoro, suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute psicofisica o di compromettere il suo avvenire professionale». Il punto centrale del mobbing è ravvisato nella reiterazione delle molestie e nell’effetto del deterioramento delle condizioni di lavoro.

È stata poi introdotta un’apposita fattispecie di reato nel codice penale (art. 223-32-2 Code penal), nei seguenti termini: «Il fatto di molestare altri attraverso atti ripetuti aventi ad oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibile di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute psichica o fisica o di compromettere il suo avvenire professionale, è punito con un anno di reclusione e 15.000 euro di ammenda».

La Svezia aveva già adottato dal 1993 un’apposita disciplina legislativa del mobbing, prevedendo rimedi civili e penali ed un’apposita malattia professionale da mobbing.

In Germania e in Inghilterra si è seguita la strada di valorizzare il quadro normativo già esistente, come pure in Italia, dove manca una disciplina civilistica o penalistica che contrasti specificamente il fenomeno mobbing.

La tutela giuridica in Italia contro il mobbing. – Il nostro ordinamento giuridico non individua i contenuti e i caratteri che connotano il mobbing, ed anche la Corte costituzionale4 e le Sezioni Unite della Cassazione5 non hanno fornito alcuna definizione del fenomeno. E ciò perché la tutela del soggetto – vittima di pratiche di mobbing in ambito lavorativo è garantita dalle norme civilistiche e penali già esistenti.

Questo comporta che il giudice non dovrà valutare la astratta corrispondenza della fattispecie concreta al fenomeno indistinto (e non definito normativamente), ma dovrà, com’è necessario, accertare la corrispondenza della fattispecie concreta alle norme dettate dal legislatore a tutela dell’integrità psicofisica e della personalità morale del lavoratore.

Al riguardo, va ricordato che il legislatore ha approntato una vasta gamma di norme che impongono limiti all’esercizio dei poteri del datore di lavoro (a titolo di esempio, si richiamano l’art. 7 L.n. 300 del 1970, sui limiti all’esercizio illegittimo del potere disciplinare, l’art. 2103 c.c. sullo ius variandi) e tutele antidiscriminatorie (già previste dall’art. 15 L. n. 300 del 1970 ed oggi dal D.L.vo nn. 215 del 2003 e 216 del 2003. Con i due recenti decreti legislativi si è adottata una nozione più ampia di discriminazione sul luogo di lavoro. Il D.L.vo 216/03, all’art. 2 comma 3, infatti, include tra le discriminazioni vietate «anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati... aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante umiliante od offensivo»).

A queste, si aggiungono i rimedi sanzionatori che operano nel diritto penale.

La tutela penale. – Obiettivamente la natura del fenomeno mobbing, che ricomprende tutte le vessazioni che determinano uno stato di soggezione psicologica del lavoratore, si presta meglio alla tutela civile, che può fa ricorso a norme aperte come l’art. 2087 c.c. o l’art. 2043 c.c. per inquadrare i diversi comportamenti mobbizzanti ed individuare il conseguente danno risarcibile.

Eppure, quando le condotte mobbizzanti ledono beni di rango costituzionale, è del tutto legittimo il ricorso alle norme incriminatrici poste a tutela di tali beni.

Il nostro ordinamento non prevede un «reato di mobbing», come ribadito dalla sentenza della sez. V Cass. pen., n. 33624 del 29 agosto 2007, ma non per questo – afferma la Corte – rimane senza tutela penale una condotta caratterizzata dalla mirata reiterazione di atteggiamenti convergenti nell’esprimere l’ostilità del soggetto attivo verso la vittima, mortificando ed isolando il dipendente nel luogo di lavoro. A tal riguardo la Corte indica come fattispecie penale «maggiormente prossima» ai connotati del mobbing il delitto di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p.

È evidente, allora, come vi sia stata una informazione carente ed approssimativa da parte della stampa all’indomani della pubblicazione della sentenza in questione.

Il ricorso al rimedio penale esiste e può essere in grado di completare quella piena tutela alla libertà, dignità e salute psico-fisica del lavoratore che sempre più spesso viene minata dalle nuove forme di organizzazione del lavoro, come sopra richiamate...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT