Mendacio bancario e falso interno: quid juris?

AutoreGiovanna Fanelli
Pagine639-647

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  1. Considerazioni introduttive: norma penale, sistema bancario ed informazione. - Il tema del diritto penale dell'economia, all'interno del quale rientra a pieno titolo il diritto penale bancario 1, interessa vasta parte dell'opinione pubblica e dei cultori di materia.

    A fronte del convincimento della necessità di combattere energicamente ogni forma di devianza in ambito economico, si pone il problema degli strumenti utilizzabili per un'efficace risposta soprattutto con riferimento a quelli penalistici.

    Nel nostro ordinamento, infatti, si assiste, sempre più spesso, al ricorso allo strumento della sanzione penale per soddisfare il bisogno di sicurezza richiesto dai consociati di fronte alle nuove e maggiori minacce che si presentano, tra le quali si annoverano i reati finanziari-economici, oggi sempre più «globalizzati» nella loro manifestazione 2.

    La disciplina penale dell'attività bancaria, quindi, è venuta ad assumere sempre maggiore importanza nell'ambito economico, comportando l'introduzione di un sistema sanzionatorio pubblicistico ampio ed estremamente invasivo nella sua attuazione che spesso mal si concilia con gli interessi coinvolti e con la naturale riservatezza del sistema.

    Numerose sono le norme in materia - solo in parte organizzate all'interno del testo unico del 1993 che, oggi, deve trovare proprio coordinamento anche con il D.L.vo 24 febbraio 1998 n. 58 (T.U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) - e numerose sono di recepimento comunitario, alle quali il legislatore italiano ha approntato presidio penalistico proprio per la particolare rilevanza del sistema bancario: «all'originaria previsione di soli tre titoli di reato, recata nella legge bancaria del 1936-1938, si sostituisce oggi la previsione di tutta una serie di reati, che vanno dall'abusivismo bancario e finanziario alla violazione delle norme in materia di comunicazione della partecipazione al capitale di banche e società finanziarie capogruppo a quelle relative alle comunicazioni degli intermediari finanziari. Oggi è lecito, pertanto, parlare di un diritto penale bancario come di un sistema di diritto penale chiuso ed a largo spettro, laddove in precedenza era possibile soltanto parlare di reati bancari» 3; tra questi anche l'articolo 137 del D.L.vo 1 settembre 1993 n. 385. In quest'ottica si procederà ad un'analisi dell'articolo 137 T.U.L.B. nelle due fattispecie da esso portate, il mendacio bancario ed il falso interno, alla luce della dottrina e delle, in verità, scarsissime applicazioni giurisprudenziali. Attenzione sarà dedicata, altresì, al D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61 che, in vigore dal 16 aprile 2002, ha attuato la riforma della «disciplina degli illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell'articolo 11 della legge 3 ottobre 2001 n. 366», abrogando il primo comma dell'art. 137 T.U.L.B.

    Il regime penale dell'attività bancaria si pone, principalmente, quale articolazione del sistema dei controlli nell'ambito della vigilanza bancaria: la stessa legge bancaria dedica molte disposizioni (artt. 130-143) alle fattispecie incriminatrici, predisponendo, così, un sistema di protezione sia dell'attività di vigilanza, sia, conseguentemente, del regolare svolgersi dell'attività creditizia 4. In particolare la legge bancaria attuale, rispetto a quella del 1936-1938, determina una svolta nei controlli sul credito che, non più di tipo prevalentemente strutturale, divengono di tipo prudenziale. In questa prospettiva, nella quale i controlli non incidono più solamente sulla struttura del mercato, ma tendono a preservare l'attività bancaria dall'esposizione ad una rischiosità eccessiva, incompatibile con l'obiettivo della sana e prudente gestione del credito (art. 5 D.L.vo 385/1993), si iscrive la previsione dei reati di mendacio bancario e falso interno.

    Vi è la consapevolezza che «l'intermediazione finanziaria è importante non solo perché maneggia denaro, ma anche e soprattutto perché maneggia informazioni. (...) La sanzione penale interviene per garantire che gli organi pubblici di controllo del settore possano funzionare, assicurando un flusso adeguato di informazioni da questi operatori agli organi di controllo, l'obiettivo di fondo del nuovo diritto penale in questa materia è garantire che vi sia un adeguato livello di trasparenza di informazione su chi svolge questa attività, su chi gli sta dietro, su come questa attività viene svolta» 5.

    Il diritto penale dell'economia passa, dunque, da una cultura del segreto, alla cultura della trasparenza ed alla cultura della vigilanza 6: ricerca di trasparenza e di informazione con riferimento alla posizione dei soggetti che operano sul mercato ed ai movimenti che si svolgono sullo stesso, unitamente al rafforzamento dei poteri di controllo e dei poteri disciplinari degli organi di settore, adottando sanzioni penali che garantiscano capacità deterrente alle loro prescrizioni.

    Pertanto aspetto peculiare e caratteristica comune del sistema, che emerge dal complesso normativo, è la rilevanza dell'aspetto dell'informazione che sta alla base delle diverse fattispecie, tra cui spicca, naturalmente, l'art. 137 T.U.L.B. che esplica la sua funzione di protezione dell'informazione nel settore del credito.

    L'attività di vigilanza si concretizza in un'attività di raccolta, elaborazione e produzione d'informazioni su, dai e degli intermediari finanziari, finalizzata all'assunzione di decisioni e provvedimenti volti a garantire la stabilità del sistema. «In un sistema economico-finanziario statico, chiuso e poco sviluppato, nel quale l'operatività degli intermediari è limitata, il mercato esprime una modesta domanda d'informazione. (...) In un contesto di mercato dinamico, aperto e competitivo, si accrescono le esigenze informative degli operatori e anche quelle dell'autorità di vigilanza. L'azione di quest'ultima, senza limitare l'autonomia degli enti creditizi, mira a creare le condizioni ottimali per lo sviluppo della loro attività. (...) Il modello di vigilanza adottato è di tipo prudenziale, neutro rispetto alle decisioni organizzative e operative delle imprese bancarie. I controlli riguardano soprattutto i rischi assumibili; l'obiettivo è quello di assi-Page 640curare un soddisfacente grado di equilibrio complessivo nella gestione degli intermediari, imponendo standards di comportamento ritenuti adeguati» 7.

    L'ente creditizio è un gestore di informazioni. L'impresa «banca» deve essere in grado di produrre reddito al variare delle condizioni di mercato; la raccolta e gestione delle informazioni si pone come condizione essenziale al corretto ed efficiente esercizio, di quella particolare attività d'impresa denominata attività bancaria, volta a raccogliere il risparmio onde erogare credito 8: la raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito costituiscono l'attività bancaria. Essa ha carattere d'impresa (art. 10, primo comma T.U.L.B.). Non solo. «All'impresa bancaria il legislatore ha attribuito una funzione di collaborazione nella lotta contro la criminalità organizzata, per il fatto che essa costituisce il centro di riferimento di un complesso qualificato di notizie che, opportunamente elaborate, possono in notevole misura facilitare l'accertamento dei reati. La banca tende così a diventare una banca-dati a disposizione del giudice e della polizia giudiziaria e vede ampliati e trasformati i suoi compiti tipici» 9. Connessa a ciò è la connaturale esigenza di sincerità e correttezza nel rapporto tra il cliente e l'azienda di credito, che giustifica una tutela ulteriore rispetto a quella accordata ad imprese che hanno oggetto diverso dall'intermediazione finanziaria. Il reato di falso interno bancario può essere «immaginato quale nodo di un cordone - composto anche dal mendacio bancario, dall'esercizio del credito, dalle false segnalazioni alla Banca d'Italia e dai reati previsti dalla legge contro il money laundering - che il legislatore penale ha preparato per combattere il pericoloso fenomeno» 10.

    Il profondo mutamento che il sistema creditizio italiano ha subito dagli anni ottanta ad oggi, anche e soprattutto su sollecitazione della normativa comunitaria, ha dunque portato alla globalizzazione dell'attività, con conseguente necessità di approntare nuovi strumenti di vigilanza e tutela che, al contempo, non pongano «catene e vincoli» al naturale sviluppo del mercato ed alla necessaria competitività dello stesso e degli operatori. La forte vocazione europeista della disciplina del credito, ha determinato il legislatore nazionale a porre a fondamento dell'intera materia il «principio della concorrenza». La sua centralità determina che la finalità della vigilanza sia non solo circoscritta alla sana e prudente gestione dell'ente creditizio, ma anche all'efficienza e competitività dell'intero sistema finanziario. Ed uno dei presupposti perché il mercato possa funzionare è individuato dalla libertà dell'utente di accedervi sulla base della propria scelta autonoma, offrendo e ricevendo informazioni corrette e veritiere 11. Tutto ciò a vantaggio dell'intero sistema.

    Il mutato panorama conseguente all'integrazione del sistema ha, altresì, accentuato e moltiplicato i rischi dell'attività: «oltre che dal rischio di credito, le notti dei banchieri sono assillate da incubi quali il rischio di mercato, il rischio di tasso, il rischio di cambio e via seguitando. E se le preoccupazioni degli operatori bancari aumentano, quelle dell'autorità di vigilanza non diminuiscono. Si accrescono, infatti, anche i rischi di sistema e di contagio. Conseguentemente sono stati resi più incisivi alcuni strumenti di controllo» 12.

    La disciplina dell'informazione imposta agli operatori del mercato finanziario, per le operazioni che nello stesso si effettuano, richiede, pertanto, un grado di trasparenza diverso, maggiore, rispetto a quello previsto dal diritto comune 13.

    Brevemente. Un primo profilo della disciplina concerne la...

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