Massimario di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1011-1035

    I testi dei documenti qui riprodotti sono desunti dagli Archivi del Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione. I titoli sono stati elaborati dalla redazione.


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@Abusivo esercizio di una professione - Professione sanitaria - Attività di optometrista - Misurazione della vista

Non è configurabile il reato di abusivo esercizio della professione medica nella condotta dell'optometrista che abbia effettuato una correzione prismatica, in quanto si tratta di un'attività consistente nella semplice misurazione della potenza visiva con prescrizione di lenti correttive, che non implica necessariamente una diagnosi medico-oculistica diretta ad individuare malattie o imperfezioni dell'occhio per fini terapeutici (nel caso di specie, la Corte ha annullato l'ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva confermato il sequestro probatorio di documentazione da cui risultava l'effettuazione di correzioni prismatiche da parte dell'indagato).

    Cass. pen., sez. VI, 4 settembre 2003, n. 35101 (c.c. 24 giugno 2003), Sarti. (C.p., art. 348; c.p.p., art. 253). [RV226598]


@Abuso d'ufficio - Elemento oggettivo - Violazione di norme interne relative al procedimento - Esclusione del reato

Il reato di abuso di ufficio connotato da violazione di norme di legge o di regolamento non è configurabile allorché la condotta tenuta dall'agente sia in contrasto con norme interne relative al procedimento che non abbiano i caratteri formali ed il regime giuridico della legge o del regolamento (in applicazione di tale principio la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata con la quale era stato ravvisato il delitto di cui all'art. 323 c.p. nei confronti di funzionari di un Ufficio Iva per aver violato, nella evasione di pratiche per il rimborso di crediti di imposta, «norme interne al procedimento»).

    Cass. pen., sez. VI, 8 agosto 2003, n. 34049 (ud. 20 febbraio 2003), Massari ed altri. (C.p., art. 323). [RV226748]


@Abuso d'ufficio - Elemento psicologico - Dolo - Concomitante perseguimento di un interesse pubblico

In tema di abuso di ufficio, nella formulazione dell'art. 323 c.p.p. introdotta dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, l'uso dell'avverbio «intenzionalmente» per qualificare il dolo ha voluto limitare il sindacato del giudice penale a quelle condotte del pubblico ufficiale dirette, come conseguenza immediatamente perseguita, a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad arrecare un ingiusto danno. Ne deriva che, qualora nello svolgimento della funzione amministrativa il pubblico ufficiale si prefigga di realizzare un interesse pubblico legittimamente affidato all'agente dell'ordinamento (non un fine privato per quanto lecito, non un fine collettivo, né un fine privato di un ente pubblico e nemmeno un fine politico), pur giungendo alla violazione di legge e realizzando un vantaggio al privato, deve escludersi la sussistenza del reato (in applicazione di tale principio la Corte ha ravvisato l'assenza dell'elemento soggettivo nella condotta del sindaco di un comune che aveva rilasciato un'autorizzazione sanitaria ad un ristoratore non abilitato allo scopo di perseguire il fine pubblico di far fronte ad una situazione emergenziale in occasione di un importante evento turistico del Comune).

    Cass. pen., sez. VI, 5 agosto 2003, n. 33068 (ud. 6 maggio 2003), Cangini. (C.p., art. 323; c.p., art. 43; L. 16 luglio 1997, n. 234). [RV226566]


@Abuso d'ufficio - Violazione dell'art. 97, primo comma, Cost. - Configurabilità del reato - Esclusione

In tema di abuso d'ufficio, la norma di cui al primo comma dell'art. 97 della Costituzione, secondo la quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo da assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, non ha carattere precettivo ed ha valore meramente programmatico, sicché tali principi per il carattere generale che li distingue non sono idonei a costituire oggetto della violazione che può dar luogo alla integrazione del reato previsto dall'art. 323 c.p. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che non si potesse configurare il reato di abuso d'ufficio a carico di un amministratore per non aver ritenuto come redatti da soggetto non abilitato alcuni progetti e per non essersi astenuto dal procedere oltre nell'iter burocratico pur in difetto di un presupposto essenziale).

    Cass. pen., sez. VI, 4 settembre 2003, n. 35108 (ud. 8 maggio 2003), Zardini. (C.p., art. 323). [RV226706]


@Acque pubbliche e private - Realizzazione di opere nell'alveo dei fiumi - Autorizzazioni necessarie - Individuazione

Non configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 93 del R.D. 25 luglio 1904 n. 523, realizzazione di opere nell'alveo dei corsi d'acqua senza autorizzazione, l'attraversamento provvisorio di un torrente effettuato nel corso della esecuzione di un ponte regolarmente autorizzato, atteso che il provvedimento originario presuppone l'apprestamento di strutture provvisorie di cantiere finalizzate all'esecuzione dell'opera principale, a condizione che il regime dell'alveo del corso d'acqua sia assicurato e l'eventuale restringimento o rialzo dall'argine sia temporaneo, e consenta alla forma originaria di riprendere la propria consistenza.

    Cass. pen., sez. III, 12 novembre 2003, n. 43145 (ud. 7 ottobre 2003), Berti. (R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 93). [RV226590]


@Appello penale - Decisioni in camera di consiglio - Patteggiamento in appello - Motivazione sul mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p

In tema di c.d. patteggiamento in appello il giudice d'appello nell'accogliere la richiesta avanzata a norma dell'art. 599, comma 4, c.p.p., non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per taluna delle cause previste dall'art. 129 c.p.p. né sull'insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità della prova, in quanto a causa dell'effetto devolutivo, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi d'impugnazione, la cognizione del giudice deve limitarsi ai motivi non rinunciati, essendovi peraltro una radicale diversità tra l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e quello disciplinato dal citato art. 599 c.p.p.

    Cass. pen., sez. VI, 4 settembre 2003, n. 35108 (ud. 8 maggio 2003), Zardini. (C.p.p., art. 599; c.p.p., art. 129). [RV226707]


@Appello penale - Decisioni in camera di consiglio - Richiesta delle parti - Cosiddetto patteggiamento in appello

L'istituto del cosiddetto «patteggiamento in appello» di cui all'art. 599 c.p.p. non è ammissibile al giudizio speciale disciplinato dagli artt. 444 ss. c.p.p., che per la sua specificità, è caratte-Page 1012rizzato da regole del tutto atipiche rispetto a quelle del procedimento ordinario. Ne consegue che ad esso, in assenza di espresso rinvio, non è estensibile la disposizione di favore stabilita dall'art. 445, secondo comma, c.p.p., in base alla quale la sentenza di cui all'art. 444, secondo comma, c.p.p. non può essere titolo valido per la revoca della sospensione condizionale in precedenza concessa.

    Cass. pen., sez. VI, 13 agosto 2003, n. 34244 (ud. 7 luglio 2003), Faycal. (C.p.p., art. 599; c.p.p., art. 444; c.p., art. 168; c.p.p., art. 445). [RV226752]


@Appello penale - Decisioni in camera di consiglio - Richieste concordemente formulate dalle parti - Obbligo di motivazione

In tema di «patteggiamento in appello», il giudice, nell'accogliere la richiesta avanzata a norma dell'art. 599, quarto comma, c.p.p., non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per taluna delle cause previste dall'art. 129 c.p.p., in quanto a causa dell'effetto devolutivo, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di impugnazione, la sua cognizione è limitata esclusivamente ai motivi non rinunciati (nella specie, il motivo non rinunciato era attinente alla misura della pena).

    Cass. pen., sez. VI, 16 settembre 2003, n. 35557 (ud. 11 giugno 2003), Mele. (C.p.p., art. 129; c.p.p., art. 599; c.p.p., art. 609). [RV226698]


@Appropriazione indebita - Somme trattenute dal datore di lavoro sulla retribuzione del dipendente e destinate a terzi - Omesso versamento - Configurabilità del reato

Le somme «trattenute» dal datore di lavoro sulla retribuzione del dipendente e destinate a terzi a vario titolo (per legge, per contratto collettivo, o per ogni altro atto o fatto idoneo a far sorgere nello stesso datore di lavoro un obbligo giuridico di versare somme per conto del lavoratore) fanno parte integrante della retribuzione spettante al lavoratore come corrispettivo per la prestazione già resa; tali somme non appartengono più al datore di lavoro, che ne ha solo una disponibilità precaria, posto che esse hanno una destinazione precisa, non modificabile unilateralmente in maniera lecita ma vincolata ad un versamento da effettuare entro un termine previsto a garanzia del terzo e del lavoratore. Ne consegue che commette il reato di appropriazione indebita il datore che scientemente lascia trascorrere il termine per il versamento, manifestando così la volontà di appropriarsi di una somma non sua e di cui solo provvisoriamente dispone. (Fattispecie relativa ad omesso versamento di contributi in favore della Nuova Cassa Edile).

    Cass. pen., sez. II, 17 luglio 2003, n. 30075 (ud. 27 giugno 2003), Vecchio. (C.p., art. 646). [RV226684]


@Atti e provvedimenti del giudice penale - Correzione di errori materiali - Omessa condanna alle spese giudiziali sostenute dalla parte civile - Inapplicabilità della procedura di correzione

Non può essere rimediata da un provvedimento di correzione di errore materiale, ai sensi degli artt. 130 e 547 c.p.p., l'omessa pronuncia in ordine alla condanna delle spese giudiziali in relazione al rapporto civile tra le parti definito con sentenza, che costituisce omissione di carattere concettuale e sostanziale. Il vizio di omessa pronunzia sulle spese giudiziali è deducibile in cassazione come error in procedendo e...

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