Continuità e diversità mafiosa. Il delitto di associazione mafiosa ed il «ne bis in idem»

AutoreDomenico Seccia
Pagine433-436

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Le decisioni della Suprema Corte in rassegna pongono la questione relativa alla mutazione della compagine associativa, con i problemi che essa comporta per la sua conformazione giuridica.

La disamina della decisione è incentrata sul dualismo «diversità associativa mafiosa - successione associativa mafiosa», nel senso o della frattura associativa, con genesi di altro organismo mafioso (e nuova contestazione associativa), con la conseguente necessità di comparare i caratteri e gli elementi strutturali del reato nella tensione temporale e nello sviluppo dinamico che connota il reato permanente, soprattutto con le questioni che comporta alla fattispecie l'applicazione del principio del ne bis in idem. O della sua continuità evolutiva (la qual cosa non pone problematiche contestative o di imputabilità di nuove fattispecie associative).

In realtà l'analisi siffatta semplifica l'approccio argomentativo, stabilendo in canoni esegetici riduttivi della reale ampiezza del fenomeno e degli aspetti multiformi che lo svolgimento del fenomeno mafioso prospetta.

La nozione della «successione» è importata da altre materie. Non ha una valenza processualistica.

Il suo significato non è, però, inscrivibile nell'ambito della continuità identificativa del fenomeno.

Si succede, infatti, nei diritti, negli obblighi e nelle situazioni giuridiche che fanno capo al soggetto estinto, escludendo ogni possibilità di contemplare il fenomeno giuridico con i diritti personalissimi.

La nozione non è adattabile, così resa, a fenomeni criminali complessi che si connotano per la loro durata, per la loro territorialità e per la loro estensione. E non è un caso che la giurisprudenza sovente, in proposito, richiami il termine «diversità», meno tecnico, ad esso contrapposto.

Sfugge a questa nozione successoria, la comprensione storica ed evolutiva dell'organismo mafioso; il suo «essere» e il suo divenire che prospettano la necessità di modulare il fenomeno successorio in forma ancipite.

Da un lato, quale successione identificativa, quale vero e proprio continuum mafioso, inscritto nelle forme e nei modi del sodalizio originario.

Dall'altro esso palesa la necessità di verificare se tale forma evolutiva abbia comportato una trasfigurazione del modello e della compagine rendendo un nuovo modo successorio, questa volta non identificativo, ma modificato e tale da ingenerare un sodalizio che non presenti più le caratteristiche originarie.

In tal caso, spetta all'interprete, verificare la presenza di un nuovo sodalizio con la necessità di nuova contestazione associativa ex art. 416 bis c.p., o accertare la presenza di un organismo che pur modificato e trasfigurato si attui e si svolga secondo le forme ed i parametri di quello originario.

Un organismo mafioso modificato e non diverso.

L'appendice di un corpo.

È quella situazione che la prassi motivazionale e l'esperienza giudiziaria mafiosa descrive nella sua consistenza sociale, quale «batteria» del gruppo; o clan federato al sodalizio mafioso storico ed originario.

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La manifestazione associativa mafiosa risente storicamente di passaggi dinamici che ne contrassegnano l'ampiezza.

Le scissioni, i contrasti interni ed esterni ne segnano mutamenti fisionomici tali da comportarne, per l'interprete, la lettura e la traduzione in contestazioni efficaci, duttili e tali da sottrarsi a paradigmi ripetitivi convergenti nell'applicazione dell'improcedibilità sancita dall'art. 649 c.p.p.

Fatto è che spetta all'interprete verificare questa multiformità attuativa del sodalizio mafioso.

Chiedendosi se la diversità, o il mutamento modificativo sia manifestazione esternalizzata, o mutamento interno della compagine mafiosa, ovvero una miscellanea delle due manifestazioni indicate.

La qual cosa rimanda all'analisi circa la ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie, riassunti non solo nella identità degli elementi costitutivi del reato, ovvero, nella condotta, nell'evento e...

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