Struttura logica delle norme, onere della prova e defeasibility del ragionamento giuridico

AutoreGiovanni Sartor
Pagine119-165

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Nel presente contributo si esamina il rapporto tra alcune strutture logiche del linguaggio normativo e la c.d. defeasibility (invalidabilità) del ragionamento giuridico.

Dapprima si presenta la tradizionale concezione della norma come enunciato condizionale che subordina un effetto giuridico ad una fattispecie totale, cioè ad una condizione sufficiente.

Quindi, si afferma la necessità di distinguere, in ogni fattispecie totale, due categorie di elementi che chiamiamo rispettivamente «antecedenti da accertare» (a.d.a.) e «antecedenti da non confutare» (a.d.n.c). L'accertamento degli a.d.a. è necessario per derivare l'effetto giuridico della fattispecie: chi sia interessato a derivare tale effetto ha l'onere di «provare» gli a.d.a. L'accertamento degli a.d.n.c. non è necessario a tal fine, basta che non risulti accertato il fatto complementare: chi sia interessato ad impedire la derivazione dell'effetto ha l'onere di confutare gli a.d.n.c. Alla distinzione tra a.d.a. e a.d.n.c. corrisponde il rapporto tra regole ed eccezioni

Questa fondamentale struttura logica del linguaggio giuridico determina la c.d. defeasibility del ragionamento giuridico, defeasibility che può essere più esattamente caratterizzata come non monotonicità: le conseguenze derivabili da un insieme di premesse giuridiche e fattuali possono essere invalidate da informazioni ulteriori (atte a confutare un a.d.n.c. o a soddisfare la fattispecie di un'eccezione).

La defeasibility fonda il carattere dialagico dei procedimenti giuridici, e svolge una funzione euristica: il tentativo di invalidare le conseguenze delle informazioni disponibili spinge alla ricerca di nuove conoscenze, Essa riveste, quindi, un ruolo fondamentale nel ragionamento giuridico, e specialmente nel ragionamento giudiziario. Inoltre, il riferimento alla defeasibility consente di affrontare in modo nuovo la distinzione tra regole e principi.

Solo recentemente la logica si è occupata del ragionamento non monotonico, specialmente nell'ambito delle ricerche di intelligenza artificiale, chePage 120 hanno condotto allo sviluppo di numerosi metodi formali per derivare conclusioni invalidabili Alcuni di questi formalismi, sui quali ci si soffermerà nell'appendice, sono di particolare interesse per la teoria del diritto, in quanto consentono di comporre il conflitto tra le due «logiche» del discorso giuridico e morale: la logica simbolica (formale) e la teoria dell'argomentazione. Quei formalismi infatti, possono soddisfare tanto l'aspirazione al rigore e alla controllabilità, che ha ispirato le applicazioni giuridiche della logica simbolica, quanto l'esigenza dell'aderenza alla dialettica del discorso giuridico, da cui muovono, invece, le teorie dell'argomentazione.

@1. Le norme condizionali

Le norme giuridiche, o almeno la maggior parte di esse, hanno una struttura condizionale: esse subordinano un effetto giuridico ad una fattispecie.

Per effetto giuridico, in un senso ampio, possiamo intendere qualsiasi qualificazione stabilita da una norma giuridica: l'ascrizione non solo di modalità deontiche (obbligatorio, permesso...), ma anche di status (come la qualità di cittadino, di genitore, di coniuge...), di qualifiche professionali (medico, avvocato, magistrato, professore...), di altre qualità giuridiche di persone (incapace, interdetto, fallito, delinquente abituale...) o di cose (bene mobile, immobile, demaniale...).

Per fattispecie, in un senso ampio, intendiamo qualsiasi condizione cui sia subordinato un effetto giuridico.

Chiamiamo norme condizionali perfette le norme che collegano un effetto giuridico ad una condizione sufficiente, e chiamiamo fattispecie totale quella condizione (cfr. Falzea [1965] 1985, 462s). Di regola, gli enunciati appartenenti ai testi normativi non esprimono norme condizionali perfette. Come risulterà dagli esempi illustrati nel seguito, una norma siffatta può costruirsi solo combinando, o ponendo in relazione, diversi enunciati legislativi, e anzi, la sua compiuta formulazione rappresenta un obiettivo limite, mai compiutamente realizzato. Tuttavia è opportuno che la nostra disanima muova dalla considerazione della struttura logica di tali norme. Più avanti vedremo come le norme condizionali perfette possano essere tradotte in combinazioni di regole ed eccezioni.

La formalizzazione più immediata di una norma condizionale perfetta è costituita da un enunciato condizionale (un'implicazione). Il conseguente di tale enunciato indica l'effetto stabilito dalla norma; l'antecedente indica la fattispecie totale cui l'effetto è subordinato. Qui ci limitiamo ad esaminarePage 121 norme il cui effetto possa essere rappresentato con un letterale1, e la cui fattispecie possa essere rappresentata con una congiunzione di letterali, che chiamiamo elementi dell'antecedente, o semplicemente antecedenti Pertanto, le norme qui considerate sembrano formalizzabili, prima facie, come condizionali del tipo2.

[ NO INCLUDE FORMULE ]

dove E è l'effetto e A1, ..., An sono gli antecedenti.

Questa rappresentazione - un effetto giuridico è condizionato ad una condizione sufficiente, costituita da una congiunzione di letterali - corrisponde alle formalizzazioni usualmente proposte dalla teoria del diritto e dalla logica giuridica, ma non coglie un aspetto fondamentale del contenuto delle norme condizionali perfette. Tale rappresentazione, cioè, non rende conto dell'uso di tali norme nella derivazione di conclusioni giuridiche.

Infatti, il diritto conferisce a determinate autorità (in primo luogo, alla magistratura) il potere di stabilire autoritativamente la soluzione dei conflitti giuridici. I giudici debbono accertare la situazione giuridica esistente tra le parti, e statuire il risultato di tale accertamento con una decisione che preYale sulla situazione giuridica reale, se in contrasto con essa. È vero che l'accertamento di ogni effetto giuridico deve essere effettuato (o almeno motivato) in base al diritto, cioè applicando norme giuridiche ai fatti dei caso3.

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Tuttavia, affinchè i giudici debbano dichiarare un effetto giuridico, non è necessario l'accertamento di tutti gli elementi di una fattispecie totale cui l'effetto sia subordinato. Il giudice ha il dovere di considerare soddisfatta una fattispecie totale e, quindi, accertato l'effetto di questa, qualora:

  1. risultino accertati alcuni elementi di tale fattispecie, elementi che chiamiamo antecedenti da accertare (abbreviato in a.d.a.);

  2. non risulti accertato il complemento4 degli altri elementi della fattispecie, elementi che possiamo chiamare antecedenti da non confutare (abbreviato in a.d.n.c.)5. (Dire che un letterale A compare come a.d.n.c, in una certa fattispecie, significa dire che, per la soddisfazione di quella fattispecie, non è necessario che A risulti accertato, basta A non risulti confutato, cioè basta che non risulti accertato il suo complemento A).

Ogni norma condizionale perfetta ha, pertanto, la struttura seguente;

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dove gli A1 ..., Ai sono a.d.a (antecendenti che debbono essere accertati, affinchè la fattispecie possa considerarsi soddisfatta) e gli (Aj),..., (An) sono a.d.n.c. (antecedenti che non debbono essere confutati, affinchè la fattispecie possa considerarsi soddisfatta): la qualità di a.d.n.c è indicata dalle parentesi ad angolo ().

La partizione degli elementi dela fattispecie nelle due categorie appena prospettate determina il ruolo che compete a ciascun elemento della fattispecie ai fini della derivazione - o, meglio, della giustificazione della derivazione - dell'effetto giuridico della stessa fattispecie. Infatti, la derivazione di un effetto giuridico può considerarsi giustificata, rispetto ad un determinato contesto giustificatorio, se l'effetto è il conseguente di una norma (accolta in quel contesto) la cui fattispecie risulti soddisfatta. E la fattispecie deve considerarsi soddisfatta se tutti gli a.d.a, che essa comprende risultano derivati, e nessun a.d.n.c previsto in tale fattispecie risulti confutato, sempre rispetto a quel contesto.

È opportuno precisare che la distinzione tra a.d.a. e a.d.n.c. riguarda tutti'gli antecedenti contemplati in norme giuridiche, non i soli fatti daPage 123 «provare» in senso stretto (i fatti «empirici», che debbono essere verificati adducendo mezzi di prova), ma anche i fatti che non debbono essere provati (perché ammessi, non contestati, notori, ecc.), e anche gli antecedenti che esprimono qualificazioni giuridiche. Questi ultimi non possono essere oggetto di una diretta prova empirica (gli effetti giuridici non sono realtà empiriche), ma possono essere derivati qualora risulti soddisfatta la fattispecie di una norma che li stabilisca6. L'incidenza della distinzione tra a.d.a. e a.d.n.c sugli aspetti probatorii in senso stretto è, anzi, solo un riflesso della funzione che compete a tale distinzione nella (giustificazione della) derivazione di conclusioni giuridiche,

Inoltre, va chiarito la stessa distinzione non coincide con la regola che esclude pronunce di non liquet, o più esattamente non coincide con il principio secondo cui il giudice.» qualora non risulti soddisfatta la fattispecie da cui dipende il diritto vantato dall'attore, deve respingere la domanda, negando l'esistenza del diritto.

Infatti, tale principio si limita'ad indicare la decisione da adottare qualora la fattispecie condizionante il diritto dell'attore non risulti soddisfatta, ma non stabilisce quando tale fattispecie debba considerarsi soddisfatta. A ciò provvede, appunto, la distinzione tra a.d.a. e a.d.n.c. Pertanto, tale distinzione sarebbe rilevante anche in ordinamenti giuridici nei quali il giudice, non risultando soddisfatta la fattispecie, dovesse limitarsi a chiudere il processo allo stato degli atti. Essa sarebbe allora il criterio per la scelta tra due alternative: (a) sentenza favorevole all'attore e (b) pronuncia di non liquet.

Il divieto di non liquet trasforma il contenuto dell'alternativa (b) in una sentenza a...

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