La logica giuridica nella decisione

AutoreAngelo Flores
Pagine83-100

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Nel problema cattedropoli si allarga sempre la cornice di novelle di stile pirandelliano. Nel saggio di Pietro Polena. Il tempo della Giustizia, si riconosce che non ci sia stato "concorso, nell'ultimo ventennio, nel quale non siano intervenute raccomandazioni o condizionamenti". Il problema si conosce come era noto il problema del finanziamento dei partiti prima del caso Chiesa.

Quando all'"abuso d'ufficio" restino associati la "corruzione" o la "concussione", sono questi delitti, e non l'abuso, ad influenzare la volontà all'esercizio dell'azione penale. Se l'abuso è delitto isolatamente presentato, ovvero (anche) associato a falsità ideologìche, il processo corre il rischio, con frequenze che si conoscono, di insabbiarsi o di perdersi per la tangente del suo diagramma, essendo più facile trovare la giustificazione per una richiesta di archiviazione: via meno faticosa per dimostrare l'assolvimento dell'azione penale. Si evita così, spesso, la soluzione del problema amministrativo sottostante a questioni di logica giuridica, necessaria per risalire al teorema di esistenza del falso e dell'abuso. Non interessa al Giudice che la logica giuridica sia sconosciuta nei piani di studio della facoltà di giurisprudenza - dove si studiano i codici e non il diritto - perché, nell'esercizio della funzione giurisdizionale entra sempre la logica formale di fronte al problema del falso e del vero. Problemi (di logica formale) che, se non riconosciuti, nelle facoltà di giurisprudenza come funzioni che rendono quadri e fertili l'ingegno, entrano d'obbligo negli studi del diritto, per accostare la "verità processuale" alla "verità reale", a beneficio, anche, del problema educativo alla Giustizia e alla certezza scientifica della decisione (nel costituzionale sistema di riferimento della Magistratura).

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Magistrati ed avvocati guadagnano da soli il bene della logica formale, non ereditata dalle università, e il bene della filosofia del diritto che, oggi, tocca problemi di logica deontica.

Si rivolgono doglianze dinanzi al Giudice ordinario, per presunte ingiustizie concorsuali, in presenza di ipotesi di reato, con il vantaggio di vedere risolti problemi di illegittimità (violazioni di leggi e di regolamenti ex art. 323 cod. pen.) anche attraverso prove concrete assunte per indagini approfondite sulle componenti dell'elemento psicologico. Risultati che non è possibile ottenere mediante adesione al Giudice amministrativo (che non ha poteri di interrogatorio delle parti). Queste speranze si perdono quando, tout court, il procedimento di chiude, mediante improvvise richieste di archiviazione, stabilite, ad esempio, attraverso "salti" (natura non facit saltus) di teoremi sul falso ideologico ovvero, senza completo e ragionato esame, sul dolo. In tal modo, si svolge dinanzi al Giudice ordinario, un processo scritto, con l'insoddisfazione che il diritto amministrativo, sottostante al problema della sfera penale rappresentato, salta per aria.

Se le giurisdizioni devono rimanere divise, ed è un grave errore, si segni, nell'iter processuale, la linea di demarcazione precisa, tra la res cogitans del problema amministrativo e la res extensa sottostante al problema di diritto penale, sicché il foris admonet e l'intus docet siano tra loro compatibili nella soluzione del problema penale proposto. Se il Giudice studia, nasce la decisione che forma giurisprudenza ed apre germi di sviluppo alla dottrina; invece, se il Giudice non studia e fa prevalere l'esito della decisione, nel presupposto che il suo "libero convincimento" non riguardi il metodo, scelto per decidere, ma la tesi che egli possa "fare come vuole" (mentre, in natura, non esiste un sistema completamente libero, essendo tutti i sistemi dell'Universo vincolati) la decisione non da la Giustizia. E mancando, nella legge, non tanto la "responsabilità del Giudice" (carenza che viola l'art. 28 della Costituzione), non è possibile scrivere una storia della Giustizia. Una storia che, se si scrivesse, ricorderebbe più sentenze ingiuste (come quelle di Cristo, di Galilei, di Bruno, di Savonarola, dell'Inquisizione, etc.) che sentenze di civiltà giuridica apprezzabile.

Il problema della Giustizia è diventato sempre più inquietante da Diogene, che cercava l'uomo, ad oggi, che le scienze, la letteratura, l'arte, la filosofia, la fisica delle particelle, ci avvicinano sempre più alla fine della fisica: ogni sistema è destinato a finire e, mentre altri nascono nell'Universo, la Giustizia non parte mai.

Gli aspetti penalistici enuclebili dal Decreto (recte Ordinanza?) di archiviazione sono;

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@1. La violazione del princìpio dell'anonimato e, quindi, la violazione del principio cardine (della par condicio) della procedura concorsuale

1.1. Il TAR Campania aveva accertato la violazione dì tale principio ed aveva sospeso la procedura concorsuale, cui non era stata data esecuzione in quanto il Consiglio di Stato aveva accolto il ricorso in appello perché le controparti non sarebbero state avvisate in sede di discussione della sospensiva chiesta dal ricorrente. Sospensiva la cui richiesta, al primo Giudice, sanando il preteso vizio di forma, può essere, ovviamente, ripetuta con la constatazione che un problema della scienza, quello della busta, accusata di trasparenza, in violazione del "principio dell'anonimato", non può subire mutamento. Se la busta è trasparente, resta tale. Est an non est direbbe Seneca. Resta, pertanto, la testimonianza del TAR che le buste, nelle quali venne chiuso il cartoncino delle generalità dei concorrenti erano (indiscutibilmente) trasparenti. Una testimonianza, che dinanzi al Giudice penale, certamente deve avere rilevanza e deve essere presa in serio esame perché le buste in questione, contenenti le generalità, messe dinanzi al flusso luminoso del giorno, o vicino ad una lampadina, consentono la lettura delle generalità del concorrente (fatto accertato oltre che dal Giudice amministrativo, anche dalla Polizia giudiziaria). La fisica (ottica fisica) insegna che i corpi sono opachi ovvero trasparenti e questi sono, a loro volta, diafani (come il vetro comune) ovvero traslucidi (come il vetro smerigliato) e cioè le buste traslucide contenenti le generalità dei concorrenti sono indiscutibilmente trasparenti, onde il principio dell'anonimato non ammette fughe e commenti ed è del tutto pretestuoso chiedere la prova (mai raggiungibile) che la Commissione giudicatrice abbia o no posto alla luce le buste per conoscere il nome dei candidati. Il problema del principio dell'anonimato è potenziale. Comunque non deve esistere la possibilità di conoscere il nome del concorrente prima che le prove scritte non siano state corrette e valutate (comma n. 6 art. 14 DPR 9 maggio 1994, n. 487)

L'uso di buste traslucide rappresenta una aggravante del reato di abuso d'ufficio e consentire, mediante un decreto (od ordinanza) di archiviazione l'uso di buste comuni, come quelle (traslucide) usate dalla commissione, è incoraggiamento alla violazione del principio cardine della procedura concorsuale che, per giunta, mal viene a conciliarsi con le scienze educative. Non è esimente il fatto che alla commissione siano state consegnate quelle buste traslucide dagli uffici amininìstrativi. Sono le commissioni che hanno il dovere di respingere le buste che, comunque, non tutelino il principio dell'anonimato. Peraltro gli uffici amministrativi sanno che il Poligrafico dello Stato mette a disposizione buste schermate, annerite all'interno. Ma, in mancanza, è possibile piegare in due parti ilPage 86 cartoncino delle generalità del concorrente, allo scopo di rendere opaca la busta. I candidati, dinanzi ad un membro della commissione giudicatrice o del commissario di vigilanza, chiudono la busta, di minore formato, contenente le generalità, e, unitamente alla busta, chiudono, nell'altra busta di maggiore formato, la minuta e la buona copia dell'elaborato. È operazione che sì svolge sotto la responsabilità della commissione che, quando riceve i plichi, senza vigilare sulla trasparenza delle buste di minore formato (contenenti le generalità dei candidarti), viola indiscutibilmente il "principio dell'anonimato" e cioè l'ipotesi di reato nasce in quel momento e non in momenti successivi. La negligenza, in questa delicata fase della procedura concorsuale, è significativa ai fini della ricerca di componenti dolose.

1.2. Nel Decreto di archiviazione che si annota, viene esclusa, la consapevolezza ad agire, ai fini della identificazione del reato dell'abuso ex art. 323 cod. pen. Esclusione, fatta priori, senza avvertire l'esigenza di interrogare le parti. Non è illazione rilevare che se due vincitori del dottorato erano, come si legge nel provvedimento, della Sicilia, non dovesse rilevarsi se anche i commissari fossero siciliani e la circostanza sia sfuggita al Decreto di archiviazione. E siccome i dottorati di ricerca sono consociati sarebbe stato anche doveroso indagare su tale circostanza per vedere se, per caso, esistessero intrecci di presenze di commissari e di candidati presenti in concorsi consociati. Nulla di irregolare, nell'ordinamento della materia concorsuale, ma, nel problema della sfera penale, l'indizio è variabile funzionale nel "principio di induzione giuridica". Principio sul quale si dimostrano tanti teoremi di algebra, di geometria, di analisi matematica; principio entrato nella logica giuridica, grazie agli impulsi che l'Istituto di Documentazione Giuridica del CNR ha dato in questi ultimi venti anni. Principio largamente adoperato da emeriti studiosi come Kalinowski, Von Wright, Wroblewski, etc. (cfr. i due Volumi: Deontic Logic, Computational Linguistics and Legal Information Systems e Artificial Intelligence and Legal...

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