Legalità formale e legalità convenzionale, ex art. 7 CEDU in materia penale

AutoreGloria De Santis
Pagine884-891
884
dott
9/2013 Rivista penale
DOTTRINA
LEGALITÀ FORMALE
E LEGALITÀ CONVENZIONALE,
EX ART. 7 CEDU IN MATERIA
PENALE
di Gloria De Santis
SOMMARIO
1. Legalità penale e “diritto giurisprudenziale”. 2. Il principio
di legalità “nazionale”: brevi cenni. 3. CEDU e ordinamento
penale italiano: la “riscrittura” del sistema delle fonti di
produzione in materia penale. 4. Retroattività in mitius: fon-
damento e limiti.
1. Legalità penale e “diritto giurisprudenziale”
La tensione tra Richterrecht e legalità, immanente
all’ordinamento penale italiano, fondato per Costituzione
sulla legalità formale o mista è di “bruciante attualità” alla
luce delle ricadute del principio di legalità della Conven-
zione Europea (art. 7 CEDU) sulle garanzie interne.
È un dato di realtà che il valore formale di legge della
norma penale sia legato a f‌ilo doppio con l’interpretazio-
ne ed applicazione che ne fanno i giudici, il c.d. diritto
vivente (1).
La problematica in parola è stata affrontata di recente
dalla Corte Costituzionale con la sentenza 230/2012, nel-
l’ambito della quale i Giudici costituzionali affermano con
chiarezza che non è costituzionalmente illegittima l’irre-
vocabilità del giudicato penale di condanna (sentenza,
decreto penale e sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti) al sopraggiungere di un overruling
giurisprudenziale, determinato da una decisione delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in base al quale il
fatto giudicato non è previsto dalla legge come reato.
A ben vedere la complessità del sistema delle fonti è un
dato di realtà in materia penale ed ha ricadute applicative
molto forti (2).
Soprattutto in forza del diritto sovranazionale, infatti, si
sono determinati e si prospettano signif‌icativi mutamenti:
la frantumazione delle fonti ha trasformato la tradizionale
piramide kelseniana in un sistema reticolare, in cui il di-
ritto sovranazionale da diritto interpotestates è divenuto
un diritto superpotestates che attribuisce capacità di di-
ritto internazionale anche ai singoli individui ed è capace
di vincolare gli Stati (3).
Lo scenario del diritto penale, dunque, a seguito del
processo di integrazione sovranazionale, risulta profon-
damente mutato: da una scienza penale impermeabile ad
ogni inf‌iltrazione esterna in ossequio al dogma della lega-
lità, per il tramite del diritto europeo ed internazionale
si sono gettate le basi per una revisione della tradizione
legicentrica in “materia” penale (4).
Emblematico in tal senso è il sistema CEDU il cui tratto
distintivo e, al contempo, punto di forza è la predisposizio-
ne di un giudice (la Corte EDU) che, da un lato, si muove
secondo procedure giudiziarie (ex multis contraddittorio,
motivazione) e, dall’altro, controlla che gli Stati rispettino
gli impegni assunti con l’adesione alla Convenzione.
Si tratta, dunque, di un controllo esterno che sottrae la
“materia” dei diritti umani fondamentali alla competenza
degli Stati.
In altre parole: ogni individuo è titolare di diritti fonda-
mentali al di là dei singoli Stati, poiché il modo di muover-
si della “materia” dei diritti fondamentali è divenuto molto
articolato, “multilivello” (5).
Al vertice della piramide delle fonti, dunque, non vi è
più solo la carta fondamentale nazionale cui il legislatore
deve guardare, tanto per individuare i limiti cui attenersi
nell’esercizio dell’attività di criminalizzazione, quanto per
selezionare i valori degni di protezione penale: o meglio,
il sistema delle garanzie in materia penale si è dischiuso
verso un nuovo protagonista, la CEDU, che assume un
ruolo di primo piano.
Lo scarno articolato della Convenzione, a lungo con-
siderato “fonte-fatto” dell’ordinamento e trattato come
“sussidiario” rispetto alle garanzie offerte dalla Costitu-
zione, nel tempo è stato valorizzato attraverso la copiosa
giurisprudenza della Corte di Strasburgo le cui decisioni
delineano ed arricchiscono di signif‌icato i singoli diritti in
riconosciuti nella Convenzione.
Ricadute immediate della metamorfosi in progress
sono, da una parte, il nuovo ruolo di “tribunali delle fonti”
che sono chiamati ad assolvere i singoli tribunali costitu-
zionali, vale a dire il compito di chiarire quale vincolati-
vità è riconosciuta ad una certa fonte nell’ordinamento
giuridico; e, dall’altra parte, la centralità della dimensione
giurisprudenziale, poiché dinanzi alla complessità del
sistema delle fonti il giudice diviene co-protagonista del
panorama legislativo.
Pertanto, non è fuor d’opera ripercorrere, in primo
luogo e senza pretese di esaustività, i caratteri essenziali
del principio di legalità penale nazionale; procedere, in
seconda battuta, alla ricostruzione della rilevanza dell’art.
7 CEDU nell’ordinamento penale nazionale; per giungere,
inf‌ine, ad affrontare il nodo problematico dell’eff‌icacia
nel tempo dei mutamenti giurisprudenziali (favorevoli
o sfavorevoli) sopravvenuti al fatto, con riferimento alla
pronuncia costituzionale citata.
2. Il principio di legalità “nazionale”: brevi cenni
In materia penale, il principio di legalità assume valen-
za centrale, costituendo la pietra angolare dell’edif‌icio del
diritto penale moderno.
La base normativa del principio in parola si rinviene
tanto nella Costituzione, quanto nella normativa primaria,
nonché nella Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

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