L’«errore» dalla dogmatica all’attualità

AutoreCristina Colombo
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1. Introduzione: rapporto tra errore e colpevolezza

L’errore è stato, ed è ancora, un tema discusso sia dal punto di vista dottrinale che giurisprudenziale.

In effetti già dall’esame della “nozione” di errore si può subito evidenziare un’ampia ed annosa problematica riguardante il rapporto tra ignoranza ed errore spesso confusi tra loro ed oggetto di uno dei capitoli più equivoci di analisi interpretativa. In realtà, se pur dal punto di vista pratico le nozioni coincidono, dal punto di vista concettuale non sono la stessa cosa. L’ignoranza è assoluto difetto di conoscenza ed ha un carattere negativo, mentre l’errore ha un carattere positivo ed è dovuto al rapporto di difformità tra lo stato intellettivo e l’oggetto com’è in realtà.1

Esaminando la fonte dell’errore rileviamo poi che essa può essere di due tipi: nel primo caso si tratta di un’errata percezione della realtà (errore di fatto), mentre nel secondo caso consiste in un’errata percezione giuridica (errore di diritto). Inoltre, se l’errore sul fatto costituisce il rovescio della componente conoscitiva del dolo ed il soggetto che è in errore non si rappresenta o non vuole tutti gli elementi che compongono l’oggetto del dolo, l’esame dell’errore di diritto risulta più complesso: quest’ultimo si distingue infatti in errore sul precetto penale (art. 5 c.p.) ed errore su norma extrapenale (art. 47 ultimo comma c.p.) che scusa nel caso si risolva in errore sul fatto.

Bisogna ricordare a proposito che se prima della sentenza n. 364/88,2 che ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 5 c.p., si affermava il principio dell’ignorantia legis non excusat - argomentato mediante il ricorso all’obbligatorietà della legge penale, al dovere di conoscenza della legge e alla presunzione assoluta di conoscenza della legge - mentre l’inescusabilità dell’error iuris rifletteva una scelta ideologica che trascurava ogni motivazione individuale volta ad incidere sulla origine della condotta criminosa, ora viene individuato un momento importante e significativo per il principio di colpevolezza - presente sia nella Carta Costituzionale che nel Codice penale, statuisce nel primo caso che la responsabilità penale è personale (art. 27, primo comma, Cost.)3 e nel secondo che l’ignoranza della legge non può scusare (art. 5 c.p.)4 - e precisamente il superamento dell’inescusabilità dell’«ignorantia legis». L’art. 5 c.p. è stato, così, dichiarato anticostituzionale proprio nella parte in cui non attribuisce rilevanza scusante alla buona fede.5 La decisione di riconoscere efficacia scusante all’errore sulla legge penale è stata motivata dalla Corte per mezzo di una complessa ricostruzione dell’art. 27 Cost.. Innanzitutto, se si accettasse il principio dell’assoluta irrilevanza dell’errore sul divieto si sosterrebbe una piena prevalenza della tutela dei beni giuridici 6sulla libertà e la dignità della persona, nonostante l’impossibilità di ravvisare nel fatto di reato un concreto atto di “contrasto” del soggetto nei confronti dell’ordinamento.

Pertanto, qualora non sia possibile muovere all’agente alcun addebito, neppure in termini di colpa, verrebbe meno l’opportunità d’infliggere la pena (pur rieducativa!). Il giudizio di rimproverabilità quindi, va rapportato anche alla possibilità di conoscenza da parte del soggetto del disvalore del fatto commesso. L’errore inevitabile, che esclude la colpevolezza, sarà allora quello a cui non si poteva sfuggire neppure attraverso l’adempimento dei doveri di informazione. La Corte ha fornito a questo proposito indicazioni per individuare i parametri che presiedono alla individuazione dei doveri di conoscenza: si tratterebbe, in sostanza, di applicare il criterio dell’homo eiusdem professionis et condicionis, il campo di applicazione dell’art. 5 c.p. sembrerebbe assai circoscritto e l’errore visto come una ipotesi eccezionale. Quanto, poi, al cattivo funzionamento delle fonti di informazione la Corte ha riconosciuto efficacia scusante all’errore derivante da “assoluta oscurità” del testo legislativo: all’obbligo del cittadino di adempiere ai doveri di conoscenza si contrappone l’obbligo del legislatore di formulare norme chiare e in grado di garantire l’effettiva riconoscibilità dei doveri giuridici. La parziale scusabilità dell’error iuris si ricollega così anche al principio di determinatezza.

Considerando il caso in cui l’errore sia rilevante e scusabile esso verrebbe ad escludere il carattere colpevole del fatto tipico ed antigiuridico assumendo un ruolo primario nell’ambito dell’esame della colpevolezza,7elemento fondamentale nel diritto penale moderno 8e criterio della struttura del sistema, oltre che terzo elemento costitutivo del reato.

Da queste prime considerazioni appare come la tematica dell’errore, a primo acchito di quasi esclusivo stampo dogmatico, sia fortemente di grande attualità. L’errore rientra nella quotidianità del diritto in relazione alle norme penali in bianco, agli elementi normativi, alla colpevolezza, ai reati omissivi propri e impropri (solo per citare alcune realtà riconoscibili anche dal comune cittadino, si possono ricordare i casi riguardanti la responsabilità medica, le fattispecie commesse dallo straniero, le falsità in atti, le cause di giustificazione, ecc.).

L’importanza dell’errore e del suo esame appare, allora, fondamentale e determinante per lo studio attuale del diritto penale.

1.1. Le differenze tra gli artt. 5 e 47 c.p.

L’esame dell’errore ed in particolare quello dell’errore di diritto riguarda e coinvolge - in forza di quanto già sotto-

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lineato - l’ampia tematica della colpevolezza. In effetti se rilevante e scusabile l’errore dell’agente esclude il carattere colpevole del fatto pur tipico ed antigiuridico, salvo approfondire su quale elemento della colpevolezza l’errore incida, elidendolo direttamente.

La formula “errore di diritto” fa parte di una dicotomia accolta nel nostro sistema che contrappone all’errore di diritto l’errore di fatto, tendenzialmente irrilevante il primo, scusante tipica, escludente il dolo, il secondo. Pertanto, la dottrina tradizionale privilegerebbe, dandogli pieno riconoscimento nell’art 47, primo comma, c.p., l’error facti, per limitare invece al minimo la rilevanza dell’error iuris.

Rispetto a questo l’unica apertura era rappresentata (fino alla sentenza n. 364/88) dalla controversa norma di cui all’art. 47, terzo comma, c.p. accompagnata e “limitata” però dalla norma di sbarramento di cui all’art. 5 c.p. Da qui la difficoltà per la legge “extrapenale”, su cui l’art. 47, terzo comma, c.p. consente l’errore, di rendersi autonoma dalla legge penale: la conseguenza è che a lungo, soprattutto da parte della giurisprudenza, questa disposizione è stata condannata all’irrilevanza fino ad una tacita abrogazione.

La situazione in realtà è cambiata dopo la citata sentenza della Corte Costituzionale, che non solo ha inciso sul principio dell’«ignorantia legis non excusat», ma ha ridisegnato i rapporti all’interno del sistema fra i diversi tipi di errore. Consentendo così di far emergere con chiarezza una serie di aporie che già prima, a ben vedere, rendevano questa tradizionale distinzione insufficiente ad inquadrare in modo sistematico l’influenza dell’errore nel nostro sistema. In questa prospettiva l’errore di diritto acquista una valenza “molteplice”. Per inquadrarne la disciplina è opportuno partire dall’art. 5 c.p. nella sua attuale versione e analizzarla nella struttura proprio perché l’errore di diritto ha ad oggetto esclusivamente la norma, per poi verificare quale spazio residui per un particolare errore di diritto quale è l’errore su legge extrapenale.

Ora, nella norma penale vi sono elementi descrittivi (naturalistici) e normativi; quando si parla di elementi descrittivi si fa riferimento a quei requisiti della fattispecie di reato che rispecchiano i dati della realtà esterna, percepibili dall’uomo in via diretta ed immediata; gli elementi normativi, invece, “rappresentano il risultato di una qualificazione giuridico-etico-sociale operata alla stregua di una norma diversa da quella incriminatrice”.9È importante sottolineare come per parte della dottrina 10gli elementi normativi non sono solo quelli che ricavano la loro qualificazione dalle norme giuridiche, ma anche da quegli elementi oggetto di valutazione da parte di norme extragiuridiche. In entrambi i casi è possibile individuare il rinvio della disposizione incriminatrice a sistemi normativi estrinseci - giuridici e extragiuridici - per la definizione di un elemento della stessa fattispecie. Così l’elemento oggetto del rinvio è inserito nella fattispecie criminosa come dato già avvalorato da una norma diversa da quella penale incriminatrice.

Per quanto finora riportato appare chiara la presenza nel nostro ordinamento di due differenti disposizioni riguardanti la disciplina dell’errore: l’art. 5 c.p. e l’art. 47, terzo comma, c.p.. Se l’art. 5 c.p. nella formulazione originaria - sostenendo il principio di inescusabilità sia dell’ignoranza, sia dell’errore incidente sulla norma penale - disponeva “Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale” con l’intervento della Corte Costituzionale si è sancita l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non escludeva, dal principio dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale i casi in cui l’ignoranza fosse inevitabile e pertanto scusabile.

Sulla base della “ridefinizione dei confini” indotta dalla giurisprudenza, si può così affermare che l’art. 5 e l’art. 47, terzo comma, c.p. incidono su due elementi diversi dal concetto di colpevolezza: il primo esclude la coscienza dell’illiceità, il secondo il dolo.

Ma, non tutti gli errori su frammenti normativi extrapenali delle fattispecie incriminatrice penale sono rilevanti.

In proposito si distingue fra: a) Norma extrapenale integratrice di una norma penale in bianco; b) Norma extrapenale definitoria; c) Elementi normativi in senso stretto.

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