L'Araba Fenice Della R.C.A.; Come la Dignità Umana non Possa Morire Nemmeno nei Tempi Cupi

Pagine781-782
781
Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2015
Varie
L’ARABA FENICE DELLA R.C.A.;
COME LA DIGNITÀ UMANA
NON POSSA MORIRE NEMMENO
NEI TEMPI CUPI
di Donatella Agrizzi (*)
Il danno morale è l’araba fenice degli ultimi quindici
anni.
Infatti, nonostante svariate volte (tra cui nel 2001, nel
2008 e per ultimo nel 2015) sia stato ucciso il danno mora-
le, lo stesso, in qualche modo, è tornato in vita.
Forse perché, nel profondo dell’animo umano, risulta
inaccettabile l’eliminazione della dignità della persona,
del valore del dolore, della libera realizzazione ed espres-
sione, della sessualità, della creatività...
Se queste voci di danno, personalissime nella loro di-
gnità e quantif‌icazione e ricomprese nel danno morale,
fossero eliminate, diventeremmo un mero pezzo di carne,
venduto a peso ed omologato, scomparirebbe la valutazio-
ne della reale varietà del patimento umano e del valore di
tutto quel patrimonio così importante per un popolo civile
ed adulto, che si distingue appunto per questo patrimonio
dal regno animale e da un popolo senza dignità e senza
civiltà.
Ed è storia che la legge 5 marzo 2001 n. 57 sul danno
biologico in r.c.a., nel recepire quasi integralmente l’inco-
stituzionale Decreto Legge 28 marzo 2000 n. 70 (decaduto
in quanto ritirato dal Governo dalla Commissione affari
Costituzionali) ha tolto la lettera C del numero 1 dell’art.
3 che liquidava il danno morale come una percentuale del
danno biologico, riaffermando la dignità e l’autonomia del
danno morale rispetto al danno biologico stesso.
E la successiva giurisprudenza della Suprema Corte tra
cui la sentenza della Cassazione civile, sez. III, 23 maggio
2003, n. 8169 ha ribadito il concetto:
“È censurabile una liquidazione del danno morale ef-
fettuata in una frazione del danno biologico, con un au-
tomatismo che elude l’obbligo di motivazione. La ripar-
tizione del danno morale e del danno biologico, infatti,
rispondono a f‌inalità diverse poiché cedono beni diversi
della persona umana, con la conseguenza che è possibile
che sofferenza e dolore abbiano una valenza di gran lunga
superiore ad una malattia o ad una invalidità”. (Nello stes-
so senso anche la Corte di merito nello stesso periodo tra
cui il Tribunale di Bologna sent. 9 giugno 2003 e Giudice di
pace di Treviso sent. 1201/2006 del 26 giugno 2006).
Così la sentenza Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003,
n. 8828 che continua: “Il danno non patrimoniale di cui
all’art. 2059 c.c. non può più essere identif‌icato (secon-
do la tradizionale restrittiva lettura dell’art. 2059 stesso
in relazione all’art. 185 c.p.) soltanto con il danno morale
soggettivo, costituito dalla sofferenza contingente e dal
turbamento dell’animo transeunte, determinati da fatto il-
lecito integrante reato. Esso deve essere, piuttosto, inteso
come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui
si verif‌ichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla
persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conse-
guano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica,
senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge
correlata all’art. 185 c.p.”.
A ribadire lo stesso concetto sotto una veste diversa
anche la sentenza Sez. III 27 febbraio – 12 maggio 2003
n. 7283 che ha ribadito la risarcibilità del danno morale
anche in caso di colpa presunta ex art. 2054 c.c.
Da questo principio la giurisprudenza di merito più
dignitosa ha continuato ad avvalorare l’indipendenza del
danno morale con autonoma valutazione basata sul caso
reale (tra tutti sent. Trib. di Treviso Dott. Olivotto n.
1419/2004 dell’8 luglio 2004, che ha liquidato il danno mo-
rale in modo dettagliato considerando ogni voce dello stes-
so: “Trauma sofferto nel sinistro lire 3.000.000, lire 80.000
per ogni giorno di malattia compreso i giorni di ricovero
e di immobilizzazione lire 47.600.000, lire 2.500.000 ogni
grado di invalidità (30%) lire 75.000.000, lire 2.000.000 per
ogni operazione chirurgica lire 4.000.000...”).
Solo nel 2008, a seguito delle famose quattro senten-
ze def‌inite “il poker” della Suprema Corte, si sono levate
alcune voci, in dottrina e giurisprudenza, affermanti la
morte del danno morale.
In realtà dopo queste sentenze ci si doveva porre anco-
ra una volta più un quesito di “come” e non di “se” liquida-
re il danno morale, che era stato nuovamente collegato al
danno biologico.
Ma poco dopo ecco la reazione della Suprema Corte
a Sezioni Unite che con la sentenza Cass. civ. SS.UU. 11
novembre 2008 evidenzia che il danno morale in caso di
lesioni mortali, sia del tutto svincolato dal danno biologico
e necessiti di separata valutazione che tenga conto della
intensissima sofferenza patita dalla vittima.

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT