L'induzione in errore di pubblico ufficiale al fine di fargli commettere un abuso d'ufficio: la cassazione sancisce l'incompatibilità logica fra gli artt. 48 E 323 C.P.

AutoreMario De Bellis
Pagine188-191

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@1. I termini della questione

Con la sentenza che si annota, la Cassazione affronta per la prima volta in termini espressi il problema dei rapporti fra le norme degli artt. 48 e 323 c.p.

La vicenda di cui si è occupata la Suprema Corte riguarda il caso di un soggetto, proprietario di un terreno non edificabile, il quale, al fine di ottenere una concessione edilizia (rectius: permesso di costruire) su detto terreno, presenta pratica edilizia corredata da planimetrie che attestano falsamente uno stato dei luoghi diverso da quello reale, e così facendo ottiene effettivamente il rilascio del permesso di costruire (atto oggettivamente illegittimo).

Nella sentenza si enuncia il principio secondo il quale non è possibile contestare al privato il reato di cui agli artt. 48 e 323 c.p. in quanto il reato di abuso di ufficio 1) richiede la specifica intenzione del pubblico ufficiale di recare con la propria illegittima condotta un danno o un vantaggio ingiusti a terzi (la norma dell'art. 323 c.p. recita testualmente «... intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio... o arreca ad altri un danno ingiusto...»), e ciò non può avvenire se l'agente sia stato indotto alla condotta illegittima per effetto di un inganno altrui.

Si tratta di una imputazione (quella di cui agli artt. 48 e 323 c.p.) talvolta contestata nella prassi e su cui la Cassazione si era già pronunciata alcune volte (nove per la precisione), senza tuttavia affrontare in radice il tema della sua stessa ammissibilità, come invece nella sentenza in esame.

Nelle citate sentenze infatti la Cassazione aveva dato implicitamente per possibile la contestazione del reato di cui agli artt. 48 e 323 c.p.

In una prima sentenza 2), si esamina la vicenda di un imputato dipendente pubblico che certificando falsamente gli incarichi pubblici di un secondo soggetto aveva indotto altro organo pubblico a conferire al secondo soggetto ulteriori incarichi: la Suprema Corte si è fermata ad esaminare delle questioni di ammissibilità del giudizio di appello, senza entrare nel merito della contestazione.

In una seconda sentenza 3), relativa alla vicenda di un curatore fallimentare che attraverso atti falsi avrebbe indotto il giudice delegato al fallimento a compiere inconsapevolmente abusi di ufficio, la Cassazione si è fermata ad affrontare una questione di competenza territoriale, ovvero se fosse applicabile l'art. 11 c.p.p.

In una terza sentenza 4), relativa alla condotta del titolare di una ditta di prodotti chimici e di un dipendente pubblico che, attraverso atti falsi attestanti che per un dato scopo era disponibile sul mercato un solo prodotto chimico, avevano indotto in errore i superiori gerarchici del secondo imputato, facendo loro avviare una procedura di trattativa privata anziché gare pubbliche, si ammette la sanzionabilità delle condotte descritte ai sensi degli artt. 48 e 323 c.p. in assenza della prova della corruzione.

In una quarta sentenza 5) relativa alla vicenda di due tecnici comunali i quali attraverso false attestazioni della sussistenza dei presupposti per realizzare lavori di somma urgenza, avevano indotto la Giunta municipale a deliberare l'esecuzione di detti lavori, la Cassazione aveva affrontato essenzialmente il problema nascente dalla diversa qualificazione del fatto nella sentenza di merito: ai tecnici comunali era contestato il reato di cui all'art. 323 c.p. (in concorso con i componenti della Giunta municipale); nella sentenza - ritenuta la non colpevolezza dei componenti della Page 189 giunta - i tecnici comunali venivano ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 48 e 323 c.p.: la Suprema Corte ha escluso la violazione dell'art. 521 c.p.p.

In una quinta sentenza 6), relativa al caso di un sindaco che aveva richiesto ed ottenuto dalla Giunta municipale la liquidazione di una indennità non spettantegli, la Cassazione rileva che non basta una mera istanza rivolta ad un organo pubblico per ravvisare il concorso del richiedente nel reato di cui all'art. 323 c.p. eventualmente commesso attraverso l'accoglimento illegittimo dell'istanza, dovendosi provare un accordo fra il richiedente ed il pubblico funzionario, con ciò confermandosi la sentenza di merito che in un passo dell'iter motivazionale aveva astrattamente ipotizzato la configurabilità del reato di cui agli artt. 48 e 323 c.p.

In una sesta sentenza 7) relativa alla vicenda di un esponente politico che aveva indotto attraverso la falsa prospettazione di una certa situazione i superiori gerarchici di un militare a disporne il trasferimento ad altro incarico, e che era stato condannato in primo grado per il reato di cui agli artt. 48 e 323 c.p., la Cassazione si limita a prendere atto dell'avvenuta estinzione del reato per prescrizione, senza entrare nel merito della questione della configurabilità del reato.

In una settima sentenza 8), relativa alla vicenda di un sindaco che, omettendo dolosamente di comuni- care alla Regione l'avvenuto pagamento dei canoni di concessione da parte del titolare di un impianto sciistico, aveva provocato la revoca della concessione da parte della Regione, la Suprema Corte si occupa essenzialmente del fatto che il pubblico ministero in udienza aveva modificato l'originaria contestazione, avente ad oggetto il reato di cui agli artt. 48 e 323 c.p., in quella di cui all'art. 323 c.p.: la Cassazione esclude che vi sia stata contestazione di un fatto nuovo e diverso e che dunque dovesse essere concesso un termine a difesa.

In una ottava sentenza 9) si esamina un provvedimento di riesame avente ad oggetto un sequestro preventivo di un cantiere disposto anche in relazione al reato di cui agli artt. 48 e 323 c.p., osservando che non vi è stata motivazione (da parte del tribunale del riesame) sulla rilevanza del suddetto reato, ai fini della persistenza del sequestro.

In una nona sentenza 10), relativa alla vicenda di soggetti che avevano indotto in errore funzionari pubblici di un ufficio provinciale del lavoro sulla propria qualità di invalidi, ottenendo l'iscrizione presso tale ufficio e l'avviamento al lavoro ex legge 482/86, la Suprema Corte si è limitata ad affrontare questioni di appellabilità della sentenza di primo grado.

La tematica dei rapporti fra gli artt. 48 e 323 c.p. è scarsamente affrontata in dottrina. I pochi autori che l'hanno esaminata 11) hanno tuttavia ritenuto possibile detta contestazione, in contrasto dunque con la sentenza in esame.

  1. L'induzione in errore di un soggetto al fine di fargli commettere un reato. - L'art. 48 c.p. esclude che della commissione di un reato debba rispondere il soggetto che l'ha effettivamente commesso, ma per inganno di altro soggetto, e stabilisce che della commissione del reato debba rispondere il soggetto ingannatore.

    In dottrina 12) e giurisprudenza si è ritenuto che la condotta ingannatrice consista nell'impiego di mezzi fraudolenti, considerati in sostanza assimilabili agli «artifici e raggiri» di cui parla l'art. 640 c.p. 13).

    Si ritiene che detta condotta ingannatrice possa consistere anche in condotte omissive (questione sulla quale invece, in relazione all'art. 640 c.p., si discute in dottrina e in giurisprudenza).

    Si esclude che la fattispecie sia integrata dal mero sfruttamento dell'errore in cui altro soggetto già versi.

    Si ritiene, in dottrina ed in giurisprudenza 14), che il soggetto ingannatore risponda necessariamente a titolo di dolo. Ma in talune sentenze si è affermato che ogni qualvolta, per dolo e per colpa, si determini in altro soggetto un errore che lo porti a commettere un reato, l'ingannatore ne dovrà rispondere a titolo di dolo se il reato commesso contempla solo l'ipotesi dolosa, ed a titolo di colpa, quando venga posto in essere un reato previsto anche come colposo 15).

    Dal punto dell'inquadramento dogmatico della fattispecie, mentre molte sentenze 16) si richiamano alla teoria dell'autore mediato 17) (con ciò escludendo il concorso di persone), in dottrina 18) si è ricondotto l'istituto alla teoria del concorso di...

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