Immigrati : dall'accoglienza alla tutela' e i corrispondenti antonimi

AutoreCarlo Morselli
Pagine13-14
13
dott
Rivista penale 1/2013
DOTTRINA
“IMMIGRATI:
DALL’ACCOGLIENZA
ALLA TUTELA” E
I CORRISPONDENTI
ANTONIMI (*)
di Carlo Morselli
Il titolo del Convegno internazionale - cioè “Immigrati:
dall’accoglienza alla tutela” - è condivisibile se si precisa
che lo stesso non ha carattere totalmente descrittivo ma
prevalentemente ottativo, prospettico. Infatti, rispetto ai
valori dell’accoglienza e della tutela, abbiamo sperimenta-
to i corrispondenti antonimi, i disvalori dei respingimenti
in alto mare, la criminalizzazione dell’immigrazione
clandestina e la traduzione in lingua c.d. veicolare per
l’espellendo, e in un contesto che non ha saputo risolvere,
aggravandolo, il problema etico della cittadinanza, conf‌i-
nato nella diade ius soli/ius sanguinis (obiettandosi che
«alla distinzione tra cittadini e stranieri tende a suben-
trare un’altra, basata sulla nozione più alta di “residen-
te”», quale criterio che reinterpreta l’art. 16 comma 1
Cost., secondo la dottrina di R. BIN - G. PITRUZZELLA).
La legislazione varata nel corso della passata esperienza
governativa è apparsa concentrata e impaniata nella re-
ductio ad unum della sicurezza, che pone in un cono d’om-
bra il monito della Corte costituzionale 22 gennaio 2007,
n. 22, secondo cui «il controllo dei f‌lussi migratori e la di-
sciplina dell’ingresso e della permanenza degli stranieri
nel territorio nazionale» attiene ad un «grave problema
sociale umanitario ed economico che implica valutazioni
di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze
generali di ordine pubblico e sicurezza né sovrapponibili
… alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni com-
portamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno
dell’immigrazione» (e quando «la minaccia per l’ordine
pubblico o la sicurezza dello Stato» è stata oggetto di una
presunzione assoluta, la relativa norma è stata dichiarata
incostituzionale, secondo Corte cost., 6 luglio 2012, n. 172,
T.A.R. Marche ed altro, che richiama le sentenze della stes-
sa Corte n. 231 e n. 164 del 2011; n. 265 e 139 del 2010). I
cc.dd. “respingimenti” sono stati condotti nel terreno del
“diritto praticato”, scaduto nella “pratica senza diritto” che
è “terra di nessuno”, in violazione della nota Convenzione
di Ginevra (28 giugno 1951) che all’art. 33 prevede, in ru-
brica, il divieto d’espulsione e di rinvio al conf‌ine. Questa
“odiosa” pratica dei respingimenti (L. FERRAJOLI, sulla
«infamia dei respingimenti in mare, nel corso dei quali mi-
gliaia di persone sono state ributtate, a rischio della loro
vita, nei campi di concentramento libici o nei loro Paesi di
provenienza»), che scavalca indebitamente la regola del
non-refoulement, è stata recentemente censurata dalla
Corte europea che è intervenuta def‌initivamente (Grande
Camera, 23 febbraio 2012, sul caso Hirsi Jamaa e altri) su
tale spinoso settore contro la Repubblica italiana, che si
è ritrovata, “ora per allora” (una sorta di nemesi storica),
sanzionata e condannata a pagare una consistente som-
ma di denaro (lo Stato convenuto è stato condannato a
versare, entro tre mesi, gli importi di € 15.000 per i singoli
ricorrenti; altra recente condanna per l’Italia risale a sez.
II, sent. 17 gennaio-7 febbraio 2012, ric. n. 2447/05, Cara-
Damiani contro Italia). Così, il respingimento si pone agli
antipodi dell’accoglienza, che non è classe eponima se la
normazione imbocca un’altra strada (ancor di più i respin-
gimenti cc.dd. collettivi, vietati).
Pure l’ingresso irregolare lo si è contrastato con il ricor-
so, che dovrebbe essere eccezionale, allo strumento della
repressione penale, modif‌icandosi il Testo Unico sull’im-
migrazione, implementato dell’art. 10 bis. L’ingresso con-
tra ius è reato ma non è delitto (come era originariamente
nelle aspirazioni degli ideatori di questa criminalizzazio-
ne), punito quindi con una ammenda: o troppo o troppo
poco (dall’iperrrepressione alla repressione meramente
simbolica, nella versione contravvenzionale), ma che tor-
na ad essere insopportabile applicandola al c.d. migrante
economico clandestino, che arriva in Italia senza mezzi
f‌inanziari e in condizioni disperate. Si è segnalato, amara-
mente, che «nemmeno il cavalier Mussolini aveva ritenuto
di sanzionare penalmente l’immigrazione clandestina;
evidentemente colmiamo una lacuna» (T. PADOVANI).
All’analisi, risulta un reato “in bianco” quanto al bene
giuridico protetto, che manca e che neppure la Corte co-
stituzionale, con una sentenza “reticente” (C. MORSEL-
LI), ha saputo autenticamente ed obiettivamente trovare
(la decisione “agnostica” 5 agosto 2010, n. 250). Un reato,
dunque, tecnicamente e penalmente “inoffensivo” e quindi
solo “apparente”, mentre proprio la c.d. offesa rappresenta
il fondamento del diritto penale moderno (la necessaria
lesività della condotta, che “offende” uno o più beni giuri-
dici), che giustif‌ica il suo intervento.
Passando al piano del “diritto applicato”, una recente
decisione della Corte si indirizza verso l’obiettivo «di dare
attuazione ai principii del giusto processo di opposizione
alla espulsione … dei quali mostra essersi fatto carico il
legislatore con la espressa previsione, per il procedimento
di protezione internazionale, della presenza di un inter-
prete nella lingua conosciuta o comprensibile (art. 10
comma 4 dell’art. 10 d.l.vo n. 25 del 2008), unitamente
alla previsione della ulteriore lingua veicolare (araba) ne-
gli atti e nelle comunicazioni scritte» [Cass. civ., sez. VI,
sent. 8 marzo 2012, n. 3678, Zheng Lianduo; l’art. 10 cit.
(la cui rubrica s’intitola “Garanzie per i richiedenti asilo”
stabilisce, al quarto comma, primo periodo, che «tutte le
comunicazioni concernenti il procedimento per il ricono-
scimento della protezione internazionale sono rese al ri-
chiedente nella prima lingua da lui indicata, o, se ciò non

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