Il principio penale tra «teorie» e realtà

AutoreGiovanni Manno
Pagine1065-1069

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Dopo lunghe e articolate dispute, la dottrina sembra ormai pressoché concorde nel considerare la scienza del diritto penale come disciplina essenzialmente definitoria, nella quale il carattere frammentaristico rimane una delle principali caratteristiche. Il diritto penale, «nel provvedere alla protezione di determinate sfere di interessi, "ritaglia" tra le infinite possibili forme di aggressione, solo alcune fra le più significative e caratterizzate» 1. È la stessa essenza della disciplina penalistica a venire investita di questo basilare concetto, per cui persino il reato si riduce a «quel fatto che la legge rende tale mediante la minaccia di una pena criminale» 2. Talché alla caratteristica della frammentarietà necessariamente si accompagna una «definitorietà» che ne diviene conseguenza diretta per cui ammettendo il carattere frammentario del diritto penale, la stessa dottrina penalistica va considerata come scienza eminentemente definitoria. Tanto è vero che, quando si affronta il problema del fatto tipico, si deve attribuire a questo soltanto l'origine di un'azione o di un'omissione capaci di mettere in atto - praticamente - quel fatto umano specificamente descritto dalla norma penale e - attraverso di essa - incriminato.

La «descrittività» della norma penale deve, tuttavia, essere considerata nella sua globalità: nel senso che essa non può venire invocata solamente per ciò che riguarda la descrizione specifica di ogni singolo reato nel suo estrinsecarsi come momento finale di un dato comportamento, ma deve anche risalire a monte, riportarsi all'inizio dell'iter che ha messo in atto il reato stesso. In altre parole, il principio della frammentarietà - in sè ineccepibile - bisogna applicarlo anche alla genesi e non soltanto al risultato ultimo. Come di un blocco di ghiaccio galleggiante in mare aperto si calcola sempre la parte sommersa in relazione di quanto la spinta dell'acqua riesce a fare emergere avendo così un'idea - anche se non esattissima - certo chiara della massa nascosta, allo stesso modo bisogna sempre - com'è noto e universalmente accettato - cercare tutte le componenti necessarie alla definizione ma anche alla qualificazione del reato.

È vero che «il sapere di cui i testi ci informano, non appena ci pieghiamo a seguire dall'interno i loro itinerari, si scompone, si frammenta in una pluralità di saperi che si individuano e distinguono, sulla base di numerosi elementi» 3. Ed è appunto nell'ambito del diritto penale che può (non è detto che debba) perdersi di vista un concetto di estrema coesione quale quello che deve sussistere in seno alla sua natura e soprattutto alla sua fisiologia, perdendisi in troppo frammentati segmenti definitori delle innumerevoli ipotesi cui la complessa realtà della vita umana può dar luogo. È noto che il reato può essere studiato nei suoi minimi elementi costitutivi, ma che non può artificialmente scindersi nelle sue componenti essenziali senza «annullarne essenza e vitalità» 4.

E che a dar vita al reato siano richiesti dallo stesso codice elementi determinati, i quali vengono subito inscindibilmente legati dal nesso di causalità postulato dall'art. 40, è altrettanto evidente. Tale disposizione reca testualmente che non possa esservi punizione per un fatto «preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione».

Il dettato della legge parla qui esplicitamente di «esistenza» del reato, non di «tipo» del reato stesso. Sarebbe, quindi, almeno azzardato ritenere che il codice penale, già di per sè esprimendosi nei termini in cui si esprime, voglia fare esclusivo o prevalente riferimento al fatto di una differenziazione generativa di reati distinguendo fin da quei termini di «dannoso» o «pericoloso» ipotesi di reato con evento (dannosi) e senza evento (pericolosi). Scrive a tale proposito il PANNAIN 5 che «La distinzione va effettuata alla stregua del risultato sul bene, ovvero la diminuzione (o limitazione o restrizione) di un bene».

Ma, in ogni caso, se il reato dipende dall'evento e questo dev'essere per forza «conseguenza» dell'azione o dell'omissione del soggetto, non può dubitarsi del fatto che azione od omissione, cioè - più semplicemente: condotta - per un verso, ed evento, comunque combinati entrino a costituire insieme l'entità reato. È il codice stesso a qualificarli entrambi quali «elementi essenziali» del reato.

Com'è noto, nell'ambito della disciplina del negozio giuridico sono essenziali quegli elementi in mancanza dei quali l'atto - secondo l'articolo 1418 c.c. - è nullo non determinando tra le parti alcun effetto. Tanto è vero che l'azione in virtù della quale si miri a far accertare la validità del negozio stesso non ha alcun fondamento modificativo ma solo la finalità di rendere provata una situazione contrattuale preesistente. E il fatto che la relativa domanda, volta appunto all'accertamento e alla conseguente dichiarazione di nullità dell'atto non sia soggetta, per l'art. 1422 c.c., a prescrizione dimostra l'estrema e decisiva importanza che gli elementi essenziali assumono per l'esistenza stessa del contratto: nessun limite di tempo può frapporsi tra l'esigenza di accertamento e l'effettività dell'efficacia. Tale nullità rimane, di conseguenza, insanabile: sicché, davanti al negozio nullo, tutti gli effetti particolari, ben precisi, tipici, che esso prevede non possono essere realizzati.

Esiste, tuttavia, accanto a questa radicale esigenza di totale inefficienza del negozio, anche la possibilità di una sua relativa «conversione». Per il nostro codice civile, il contratto nullo può produrre gli effetti di un altro contratto, diverso «del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità» (art. 1424).

Deve chiaramente risultare, quindi, che le parti avrebbero accettato di stipulare questo accordo invece dell'altro risultato, poi, nullo.

Sicché, per la conversione occorrono due elementi distinti e separati: a) che il negozio nullo abbia caratteristiche formali e sostanziali di un negozio differente da esso e che le parti non hanno stipulato; b) che esse avrebbero potuto stipulare in luogo di quello nullo.

L'esigenza di venire incontro ai contraenti detta qui il rimedio della conversione del negozio, ma tale conversione è messa in atto attraverso un meccanismo «di scambio» nel quale rimane tuttavia fondamentale l'esistenza degli elementi essenziali necessariamente presenti nel negozio sostituito. E neppure i negozi tipici - per quanto larga in essi possa essere l'autonomia decisionale lasciata alle parti e ampi gli spazi e gli schemi attraverso i quali esse perseguono i loro fini - potrebbero avere validità in caso di mancanza Page 1066 anche di uno solo degli elementi essenziali del negozio. Tutti i rimedi e le tipologie tendenti a dar vita al rapporto giuridico efficace vengono in esistenza avendo sempre di mira il tema centrale della validità e quindi del ruolo precipuo che giocano gli elementi fondamentali nell'ambito delle relazioni giuridiche.

Ma l'art. 40 c.p. può leggersi anche nel senso che la dipendenza dall'evento dannoso o pericoloso stia a dimostrare come basti soltanto l'evento affinché il reato di un tipo o dell'altro si realizzi?

Non va dimenticato che - per unanime parere della dottrina - la posizione di assoluta centralità occupata nella scienza penalistica dalla figura, dall'interpretazione e dalla portata del «fatto tipico» postula che di esso si tengano sempre presenti essenza e contenuto; o più semplicemente causa ed effetti della causa: condotta ed evento.

Fatto tipico

- si sa - è definita quella azione punibile fornita «dei connotati da cui dipende l'ingresso stesso dell'azione nel campo della rilevanza penale» 6. Sarebbe errato interpretare, però, come fatto tipico solo l'azione (o l'omissione) lasciando tutto il resto fuori dallo schema dellatipicità. Tipicità che deve essere mantenuta anche nella valutazione definitoria di tutti gli altri elementi se si voglia evitare il rischio già visto per quanto riguarda la «sanatoria» del contratto mancante di elementi essenziali. In altri termini, il fatto tipico deve essere nel reato quello che presenta tutti gli elementi richiesti dalla legge per la sua esistenza e per la conseguente esistenza del reato. Sicché, mentre tutti i fatti tipici sono certamente fatti, non tutti i fatti possono assurgere alla qualifica di fatti «tipici». È fondamentalmente inutile qualificare come «tipico» un fatto e vedere poi, a parte, se oltre ad essere tipico sia anche tale da meritare la enigmatica qualifica di antigiuridico quando per fatto tipico si definisce quello, e solo quello, che sia conforme a una determinata descrizione normativa completa. La quale descrizione, se è esattamente finalizzata a delineare - in tutte le sue componenti - un fatto tipico, non può che essere esaustiva e comprendere, quindi, anche la pretesa antigiuridicità dello stesso.

Anche se, a seguire l'ottima argomentazione di un lontano studio del TABET 6bis l'antigiuricità non è elemento del reato ma l'essenza stessa di esso, un predicato dell'azione e, più precisamente, un predicato della «relazione» 6ter, resterebbe sempre da dimostrare che - al di là delle deduzioni di scuola - un reato sia «giuridico»...

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