Il delitto di doping nella giurisprudenza di legittimità

AutoreLuigi Fadalti
Pagine434-437

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@1. Nota introduttiva.

Nuovi spunti di riflessione hanno - di recente - arricchito il dibattito sorto a commento della legge 376/2000, introduttiva del delitto di doping (in tale genus ricomprendendosi le multiformi fattispecie di cui all'art. 9, commi 1 e 7). Dopo alcuni - mirati - interventi dottrinari, le nuove norme incriminatrici sono pervenute al vaglio interpretativo della Corte di cassazione.

È parso opportuno, dopo un primo compendio 1, tornare sull'argomento.

@2. La nozione di doping.

Il concetto di doping - preliminarmente - merita una precisazione. Ne integrano la nozione i «farmaci» o le «sostanze biologicamente o farmacologicamente attive» ovvero «l'adozione o sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psico-fisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti» 2. Si è in dottrina ritenuto che nell'ampia categoria delle sostanze dopanti rientrino anche i c.d. integratori 3. Il punto merita particolare considerazione.

Il legislatore esige che si tratti di sostanze biologicamente attive; occorre, altresì, che la loro assunzione sia suscettibile di migliorare la prestazione agonistica. È noto che l'alimentazione - in quanto tale - influenzi le funzioni biologiche dell'organismo e non manchi di produrre effetti sulla performance atletica. È altrettanto noto che il fabbisogno nutritivo dell'atleta (per quantità ed apporto di nutrienti essenziali) vari in funzione di diversi fattori (tipo di sport praticato, caratteristiche fisiche dell'atleta, frequenza degli allenamenti) 4. Si può fondatamente affermare - perPage 435 esemplificare - che un aumentato apporto proteico, mediante l'assunzione di appositi integratori, indirettamente influisca sulla prestazione atletica. Ciò malgrado, non possono essere condivisi gli argomenti che tendono ad equiparare gli integratori proteici (o glucidici o lipidici) a preparati farmaceutici che, per quantità e qualità, sortiscono effetti assolutamente imparagonabili 5. Peraltro, la composizione degli integratori dietetici, in vendita in qualsiasi erboristeria, deve essere comunicata al Ministero della salute.

Dal punto di vista tecnico-giuridico, poi, (in chiara analogia con la disciplina degli stupefacenti), la latitudine della nozione è strettamente connessa con l'esercizio del potere regolamentare del Ministero della salute. Compete al Ministro 6, infatti, l'emanazione del decreto - da aggiornarsi periodicamente - che elenca le sostanze proibite. Questo elenco è tassativo e tale tassatività - che esclude ogni apprezzamento soggettivo ad addendum - non può essere messa in discussione. Prescinderne equivarrebbe a spogliare la norma incriminatrice della più elementare determinatezza 7. Tra le sostanze vietate non compare alcuno degli integratori «classici». Qualche dubbio solleva l'inclusione della caffeina, sostanza d'uso quotidiano (anche se, spesso combinata con l'efedrina e l'acido acetilsalicilico, la caffeina - in dosi elevate - costituisce un potente stimolante e un efficace lipolitico).

@3. Doping e agonismo: i delitti di assunzione, somministrazione, cessione.

Sotto un diverso profilo, la nozione - giuridicamente rilevante - di doping è, per sua stessa essenza, funzionalmente qualificata: è tale la sostanza - biologicamente o farmacologicamente attiva - suscettibile di «alterare le prestazioni agonistiche degli atleti».

A contrario, è logico ritenere (ancorché la legge non definisca compiutamente la nozione di «atleta» o quella di «agonismo») che l'assunzione (o cessione o somministrazione), se circoscritta in un contesto non agonistico, sia penalmente indifferente 8. Non vi è norma, infatti, nel nostro ordinamento, che vieti gli atti di disposizione del proprio corpo (e, per esteso, della propria salute), purché non si traducano in una diminuzione permanente dell'integrità fisica 9. In particolare, penalmente indifferenti sono le pratiche (sportive e non) che rechino danno alla propria salute (fatta salva, ovviamente, la regola alterum non laedere).

Va chiarito, preliminarmente, che tale nesso funzionale non è altro che oggettivizzazione dell'elemento psicologico del reato. Nell'esperienza pratica non si tratterà di apprezzare se tra il fatto del soggetto attivo del reato e l'alterazione delle prestazioni agonistiche corra un rapporto di causa/effetto, tale per cui l'assunzione (et similia) di farmaci sia stato antecedente causale necessario di migliori prestazioni in gara. Una simile impostazione «obiettivistica», infatti, sottrarrebbe a sanzione penale l'agente in tutte le ipotesi in cui la prestazione atletica, per le più disparate ragioni, non sia de facto migliorata per effetto dell'assunzione di doping. Questa costruzione - in ultima analisi - colliderebbe con la lettera della legge che punisce la condotta in quanto tale, a nulla rilevando che la performance dell'atleta ne abbia - in concreto - beneficiato 10.

La sussistenza di questo nesso funzionale va colta e valutata sotto un diverso profilo. In specie, occorre verificare se il soggetto attivo del reato avesse coscienza del fatto che il doping sarebbe stato usato in competizioni agonistiche ed avesse volontà di contribuire al conseguimento dell'illecito scopo di alterare i risultati delle gare.

Il rapporto di strumentalità tra il fatto dell'agente e l'alterazione delle prestazioni agonistiche dell'atleta (o la modificazione dei risultati dei controlli sull'uso delle sostanze dopanti), onde integrare il delitto di doping, non è sempre indispensabile. È imprescindibile, in particolare, per la configurazione della fattispecie di cui al primo comma dell'art. 9 della L. 376/2000. Infatti, non commette il delitto in parola chi procuri ad altri, somministri, assuma o favorisca l'utilizzo di doping per uso amatoriale e non agonistico. In questo senso si è pronunziata la...

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