Il condominio: una collettività organizzata

AutoreAntonio Fontana
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dott dott
Arch. loc. cond. e imm. 5/2018
DOTTRINA
5/2018 Arch. loc. cond. e imm.
DOTTRINA
IL CONDOMINIO: UNA
COLLETTIVITÀ ORGANIZZATA
di Antonio Fontana
Quasi tutti gli studiosi che si sono occupati del condo-
minio hanno avvertito la necessità di darne una def‌inizio-
ne. Rileggendoli, a distanza di tempo, è facile notare come
a tal f‌ine si siano avvalsi di due criteri diversi. Il primo,
attenendosi fedelmente alla distribuzione della materia
operata dal Codice, pone l’accento sugli elementi di cui
l’immobile si compone e sui diritti (proprietà individuale,
comproprietà, uso esclusivo, ecc.) di cui possono diventa-
re oggetto, mettendone in evidenza il carattere di realità
che ne costituisce il comune denominatore. Così, ad es.,
DOGLIOTTI (1), premesso che, a suo avviso, è preferibile
considerare “condominio” non l’intero edif‌icio ma soltanto
l’insieme delle sue parti che sono di proprietà comune, lo
def‌inisce una “f‌igura speciale di comunione”, richiamando
il collegamento stabilito, fra i due istituti, dall’art. 1139
c.c.. Un rilievo ancor più evidente al rinvio contenuto in
questa norma è attributo da BIANCA (2), secondo cui “il
condominio è la comunione degli edif‌ici composti da più
unità abitative in proprietà esclusiva” e da FRAGALI (3),
che nella sua voluminosa opera dedicata alla comunione
inserisce altresì un capitolo sul condominio, intitolandolo
“La comunione edilizia”.
Il secondo criterio è quello che pone invece l’accento
sui soggetti che il legislatore ha pur dovuto prendere in
considerazione, nel dettare la disciplina del nostro istituto
e sui ruoli ad essi attribuiti: i singoli condomini, i gruppi
di condomini che traggono utilità da manufatti o impian-
ti destinati a servire solo una parte del fabbricato (c.d.
condominio parziale, cfr. art. 1123, terzo comma, c.c.),
l’amministratore, l’assemblea, ed ora anche il consiglio di
condominio (cfr. art. 1130 bis, secondo comma, c.c. intro-
dotto con la legge di riforma 11 dicembre 2012 n. 220).
Qui il rapporto non è più tra persona e cosa, dato che a
quest’ultima è attribuita solo una rilevanza indiretta, ma
tra persona e persona: si passa così dai diritti reali alle
obbligazioni, e a situazioni giuridiche soggettive quali la
potestà, o droit - fonction per dirla alla francese (4). Fra
quanti ne hanno fatto applicazione spicca il nome di GIU-
SEPPE BRANCA (5) che ha ravvisato nel condominio una
“collettività organizzata”. A questo orientamento non sono
state risparmiate le critiche, tutte, sia pur con varietà di
sfumature, imperniate sull’affermazione che il condomi-
nio è privo di personalità giuridica (6), e quindi non può
avere organi che lo rappresentino.
L’obbiezione non mi sembra decisiva. Si può, intanto,
osservare che la legislazione più recente (penso ancora
alla riforma del 2012, integrata dalla legge 21 febbraio
2014 n. 9) (7) ha introdotto tutta una serie di disposizioni,
alla luce delle quali essa appare, se non proprio superata,
certo assai meno forte di quanto fosse in origine. Mi limito
a citarne una sola, a mo’ d’esempio. Secondo il testo novel-
lato dell’art. 1129, settimo comma, c.c. l’amministratore è
tenuto “ a far transitare le somme ricevute a qualunque
titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi
titolo erogate per conto del condominio, su uno specif‌ico
conto corrente, postale o bancario, intestato al condomi-
nio”; e la violazione di questa norma, se è tale da “generare
possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio
e il patrimonio personale dell’amministratore” costituisce
“grave irregolarità”, per cui è prevista la sanzione massi-
ma della revoca dell’amministratore stesso, che in pratica
equivale ad un licenziamento per giusta causa (cfr. il do-
dicesimo comma, n. 4, anch’esso novellato, del citato art.
1129 c.c.). La dottrina più sensibile ha ben presto avverti-
to la portata innovativa di queste disposizioni, traendone
“il convincimento della progressiva conf‌igurabilità in capo
al condominio di una sia pure attenuata personalità giuri-
dica e comunque sicuramente di una soggettività giuridi-
ca autonoma” (8)
Ad ogni modo, che il condominio sia o non sia dotato
di personalità giuridica, ai f‌ini della mia ricerca importa
poco. Sotto il prof‌ilo che qui interessa, i requisiti neces-
sari, ma anche suff‌icienti, perché ad esso possa e debba
riconoscersi rilevanza per il diritto, sono quelli sintetizzati
dal Branca nella mirabile def‌inizione appena ricordata.
“Collettività organizzata”: quanto si potrebbe scrivere
per illustrare queste due parole, pur così semplici! Ma vi
sono limiti di spazio che devo rispettare. Concludo perciò
con tre rapide osservazioni.
A) I due criteri di cui ho fatto menzione, ben lungi
dall’essere in contrasto, si completano a vicenda. È vero
che, se non vi fossero parti dell’edif‌icio “oggetto di proprie-
tà comune” (art. 1117 c.c.) non vi sarebbe neppure il con-
dominio; ma è altrettanto vero che la “proprietà comune”
presuppone, a sua volta, che i proprietari siano più d’uno,
ossia che formino una comunità. Il secondo criterio ren-
de esplicito ciò che nel primo è implicito; ma siccome il
diritto è fatto per l’uomo, è da ritenere preferibile, a mio
avviso, la formula che pone in maggior rilievo la sua pre-
senza, anziché le cose.
B) L’idea di collettività evoca, nel pensiero di chiun-
que, per una sorta di automatismo, il concetto di interesse
collettivo. Elaborato, in origine, dagli specialisti di taluni
settori (specialmente del diritto sindacale e di famiglia)
esso è riconosciuto ormai come uno strumento di utile ap-
plicazione in tutto il diritto privato. Ma sulla sua def‌inizio-
ne permane ancora qualche incertezza. Personalmente,
non ritengo necessario che si tratti di interessi “preminen-
ti”, o “superiori”, come a tutt’oggi si legge in certe norme
(cfr., rispettivamente, l’art. 144, primo comma, c.c. e 2104,
primo comma, c.c.), che hanno tutta l’aria di reperti ar-
cheologici. Basta che siano comuni a più soggetti, come
nel famoso esempio del capannello di gente che attende
loro rappresentanze, purtroppo) vedono nei Consorzi un
aggravio inutile, invidiano i loro colleghi che non hanno a
che fare coi Consorzi e che – essendosi saputi conservare
i condominii privati – non pagano l’acqua irrigua più cara,
come dove c’è un Consorzio.
Il problema è anche di dignità. Come possono, i Con-
sorzi, impunemente sf‌idare la volontà del Parlamento e
del Governo del (e dal) 2009? Come si può permettere
che, con giri di parole e richiami (comunque) infondati,
i Consorzi possano continuare a violentare i cittadini solo
perché gli stessi sono ricattati dalla minaccia di un’esecu-
zione forzata di espropriazione immobiliare?
Il nuovo Parlamento, e il nuovo Governo, devono farsi
carico di quel problema immane, devono fare chiarezza, e
non voltarsi dall’altra parte come hanno fatto tutti i Gover-
ni succedutisi dal 2010 in poi.
Per una ragione morale (e di salvaguardia delle isti-
tuzioni e della f‌iducia nelle stesse, prima di tutto) e, poi,
anche per una ragione di merito. I Consorzi riscuotono
milioni e milioni (circa 150), da proprietari rustici e ur-
bani. Ricevono poi soldi a tutto spiano dalle Regioni per
eseguire lavori che potrebbero benissimo essere fatti dai
Comuni. Com’è possibile, questo caos e frazionamento di
competenze (che è larga parte, anche, del dissesto idro-
geologico che caratterizza l’Italia, con ricorrenti alluvioni
e disastri)? La situazione va semplif‌icata, è ora di f‌inirla
con carrozzoni succhiasoldi, autoreferenziali, non con-
trollati da alcuno (le loro votazioni sono caratterizzate da
percentuali di votanti da pref‌isso telefonico, tutti i con-
tribuenti essendo rassegnati davanti al loro strapotere). I
nuovi tempi esigerebbero che si passassero le competenze
consortili alle Autonomie locali.

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