Il concetto unitario di promessa

AutorePorzia Teresa Persio
Pagine907-915

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@1. Le ragioni dell'indagine.

Dai tempi nei quali il Legislatore del '30 aveva saldamente fissato la distinzione fra corruzione propria e corruzione impropria sulla natura illecita o no dell'atto posto in essere dal pubblico ufficiale nell'esercizio del suo ufficio, molta acqua è passata sotto le arcate del ponte Cavour.

Di recente l'acqua è diventata torbida fino al punto che un'attenta dottrina ha avvertito l'esigenza di denunciare apertamente lo «slittamento progressivo dalla obiettiva contarietà al dovere, alla contrarietà interiorizzata dall'autore» 1. Tanto, in sincronia con una generalizzata reazione della dottrina che ha sottoposto i reati di corruzione ad analisi strutturali serrate ed allargate al più ampio contesto di ordinamenti giuridici europei ed extra europei in un clima di rinnovato interesse per lo ius condendum 2.

Il grimaldello adoperato dalla Cassazione per forzare la distinzione codicistica è costituito - com'è noto - dall'esautoramento del contenuto dell'atto concreto posto in essere (o da compiere) dal pubblico ufficiale 3 realizzato attraverso l'ampliamento e la dilatazione delle fonti del comportamento dovuto, rendendo - conseguentemente - inutile l'accertamento di esso.

Di qui, al risultato di commisurare la contrarietà al dovere ai motivi dell'atto, il passo è stato breve ed in certo senso obbligato 4.

In posizione fortemente critica nei confronti degli effetti di tale indirizzo, consistenti nella sostanziale eliminazione della linea di demarcazione fra corruzione propria ed impropria, a vantaggio della prima, la dottrina ha denunciato lo svilimento - così attuato - dell'oggetto del dolo di corruzione propria ed impropria 5 ed il conflitto con i principi di determinatezza ed offensività 6.

L'orientamento teso alla ristrutturazione delle fattispecie di corruzione (con riferimento anche a quella di cui all'art. 322, secondo comma, c.p.) è sicuramente sottoscrivibile 7, ma deve misurarsi con la prospettiva politico-criminale, tenacemente portata avanti dalla giurisprudenza, intesa ad una rigorosa repressione di ogni manifestazione di intento corruttivo 8.

In questo ambito, se non può che suscitare preoccupazione il disinvolto abbandono - da parte della giurisprudenza - del metodo ermeneutico, occorre - tuttavia - considerare che il sistema normativo delineato dal Legislatore negli artt. 318-322 c.p., contiene settori che «favoriscono» interpretazioni del giudice svincolate dal quadro assiologico delineato dal Legislatore.

Si pensi al concetto normativo di «atto contrario ai doveri d'ufficio», frequentemente utilizzato dalla giurisprudenza per eludere problemi di prova in relazione all'accertamento concreto dell'atto dell'ufficio, autenticamente speculando sulla dilatabilità del concetto stesso.

Invano una parte autorevole della dottrina ha - anche di recente - posto il dito sulla esigenza di circoscrivere le fonti del dovere di ufficio al fine di «dare senso» alla distinzione fra corruzione propria e corruzione impropria 9.

Il medesimo ordine di problemi si pone, com'è facile intendere, per le fattispecie di corruzione connesse, segnatamente per quelle di cui agli artt. 319 ter, 320, 321, 322, 322 bis c.p., i cui limiti dipendono dall'ambito operativo assegnato alla fattispecie base.

Problemi analoghi si pongono, anche, ove si consideri la distinzione fra concussione e corruzione propria. Posto - invero - che, quantomeno nell'ipotesi di concussione per induzione il comportamento speso dal pubblico ufficiale è retto dal fine di trarre un vantaggio (o altra utilità), esattamente come avviene per l'ipotesi della corruzione propria e posto - come l'os servazione della casistica impone di ritenere - che le modalità del comportamento del pubblico ufficiale si rivelano - nelle due ipotesi - sostanzialmente analoghe, la linea di distinzione tra concussione e corruzione propria si rivela estremamente problematica. Riprova ne è l'attuale ipertrofia applicativa della corruzione propria da parte della giurisprudenza.

Individuato nei termini sopra succintamente ricordati il contenuto del conflitto fra dottrina e giurisprudenza in subjecta materia, sembra consequenziale la conclusione che esso rischia di radicalizzarsi.

Una riflessione finalizzata a tentare di individuare nuovi profili di indagine strutturale nell'ambito dei contesti normativi in esame o ad approfondire (nella medesima ottica) quelli già individuati, può rivelarsi via percorribile e sperabilmente fruttuosa nel tentativo di evitare il perpetrarsi del negativo effetto indicato.

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@2. La promessa, da «scatola vuota» a condotta tipica.

Nella prospettiva enunciata vale la pena di prendere in considerazione un elemento di fattispecie, presente in tutte le ipotesi criminose a struttura - lato sensu - sinallagmatica, nei confronti del quale non sembra sia stata - sinora - rivolta particolare attenzione in dottrina: la promessa. Contenuto e requisiti di essa - infatti - sono stati indagati, per così dire, incidenter tantum in sede di analisi di talune fattispecie all'interno delle quali esso è presente ed in particolare di quelle di concussione e corruzione.

La promessa ha finito così per essere considerata come un mero atto-dichiarazione, una sorta di scatola vuota, caratterizzata da un evidente deficit di determinatezza, presa in considerazione - quasi esclusivamente - ai fini della fissazione del momento consumativo del reato di concussione o corruzione.

Nelle pagine che seguono si tenterà di costruire un concetto unitario di promessa dopo averne enucleato i contenuti dalle singole fattispecie all'interno delle quali è inserita, per poi utilizzarlo nei casi problematici dei quali sopra è cenno.

Nella prospettiva appena indicata, metodologicamente corretto sembra individuare preliminarmente le cause della su denunciata scarsa considerazione del rapporto fra promessa e principio di determinatezza trattandosi di una costante nella interpretazione delle fattispecie in esame.

Muovendo dalla osservazione delle ipotesi che possono essere considerate centrali, anche perché applicativamente più ricorrenti e cioè delle fattispecie di concussione e corruzione, si può fondatamente ritenere che le cause si riducano a tre: 1) ragioni di politica giudiziaria; 2) influenza del concetto civilistico di promessa unilaterale; 3) costruzione del requisito della promessa penale come momento effettuale di fattispecie.

La prima (ragioni di politica giudiziaria), si inquadra agevolmente nel più ampio contesto della duttilizzazione dei requisiti di struttura del reato, strumento ampiamente adoperato in giurisprudenza per ragioni di superamento delle difficoltà probatorie insite nella ricostruzione degli elementi dell'illecito penale e per il conseguimento di scopi di innalzamento del limite di intervento penale 10.

La materia de qua si presta particolamente all'opera appena ricordata condizionata com'è da esigenze socio-politiche, da esigenze di moralizzazione della pubblica amministrazione, dalla difficoltà, infine, di sussumere nei modelli normativi in vigore non pochi aspetti del fenomeno della corruzione nelle sue moderne articolazioni 11.

Quanto alla seconda causa (influenza del concetto civilistico di promessa unilterale), sembra necessaria qualche puntualizzazione.

Ampiamente datato, il metodo di considerazione di diversi istituti penalistici in un'ottica pancivilistica, può dirsi - oggi - definitivamente superato alla stregua di una netta presa di coscienza da parte della dottrina penalistica della diversità delle esigenze di tutela poste a base dell'illecito penale rispetto a quello civile. È ampiamente condivisa - ormai - l'esigenza di autonomizzazione degli istituti penalistici dal punto di vista interpretativo 12.

La materia in discussione si presta - tuttavia - alla riproposizione del problema poiché la promessa, già specificamente prevista da diverse disposizioni di legge civile, è oggetto di particolare attenzione da parte della dottrina privatistica onde il riferimento ai termini essenziali della relativa elaborazione ed a talune conclusioni in tale sede prospettate, è consequenziale da parte della dottrina penalistica.

Ciò sembra essere alla base del sostanziale disinteresse alla elaborazione autonoma dei contenuti e dei requisiti della promessa penale nonostante la crescente preoccupazione mostrata per il delinearsi di profili di conflitto con il principio di determinatezza a seguito degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza. L'opera di raccordo fra concetto civilistico e concetto penalistico di promessa si è sostanzialmente tradotto nella opinione secondo cui, inerendo la promessa penale ad un accordo illecito, non sarebbe necessario, anzi sarebbe preclusa, la possibilità di indagarne i contenuti.

L'opzione ermeneutica non può essere condivisa.

Proprio perché, infatti, la promessa civilistica attiene ad un rapporto obbligatorio riconosciuto, e quindi lecito, mentre la promessa penale inerisce ad un rapporto illecito, essa va ricostruita autonomamente ed il suo assetto tipico non può che essere delineato a seguito di individuazione, raccordo e interpretazione delle note interne che caratterizzano lo schema della fattispecie penale nel cui contesto la promessa è inserita come requisito.

La corretteza dell'opinione appena espressa è confermata dalla osservazione, per così dire, comparata dell'accordo privatistico o dell'accordo penalistico.

Ed infatti, l'accordo privatistico è caratterizzato da due manifestazioni di volontà che, nello schema ordinario, sono la proposta (o l'offerta) e l'accettazione alle quali l'Ordinamento riconnette effetti obbligatori. Di ciò il codice civile si dà carico con l'art. 1326 che fa coincidere la conclusione del contratto col momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte.

Per quel che qui rileva, la situazione non muta ove dalle ipotesi di negozio bilaterale si passi alle ipotesi di negozio unilaterale la cui efficacia -...

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