Gli atti osceni tra offensitivà e tipicità

AutoreOrnella Zampano
Pagine64-66

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A distanza di quasi un anno, la Suprema Corte torna ad occuparsi di un particolare tipo di spettacolo ´a luci rosseª, la c.d. lap dance, entrata ormai nei costumi della società occidentale ed eseguita normalmente in svariati locali notturni.

A differenza dell'ultimo, recente intervento 1 - riguardante la configurabilità, in riferimento a detto fenomeno, dei delitti di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione - il problema affrontato in questa occasione riguarda la possibilità di ritenere tale forma di intrattenimento un ´atto oscenoª, punibile ai sensi dell'art. 527 c.p. 2, tenuto conto che, com'è noto, durante la stessa si mimano rapporti sessuali e si presuppone il coinvolgimento degli spettatori.

Ciò premesso, la decisione in commento si pone all'attenzione dell'interprete per due ordini di motivi. Anzitutto, essa contribuisce a far chiarezza sul concetto di osceno (concetto su cui il legislatore ha inteso costruire la disciplina delle offese al pudore, di cui agli artt. 527-528 c.p., contenute nel capo II del titolo IX del libro II, dedicato ai ´Delitti contro la moralità pubblica ed il buon costumeª), divenuto, a cagione della sua natura vaga e imperscrutabile, il campo di battaglia di opposte concezioni, tanto da richiedere per ben due volte, nell'arco di un solo quinquennio, l'intervento delle Sezioni Unite 3. In secondo luogo, mentre i giudici di merito si erano interrogati unicamente sulla natura di ´luogo aperto al pubblicoª del circolo in cui si svolgeva la condotta incriminata, pervenendo ad una sentenza di condanna, la Corte incentra il proprio esame sulla capacità offensiva degli atti posti in essere, giungendo ad una pronuncia di segno contrario attraverso un percorso argomentativo particolare, che merita di essere evidenziato anche per il richiamo al principio di offensività, la cui valenza di principio portante dell'ordinamento penale, negli ultimi anni, è stata in più occasioni autorevolmente affermata dalla giurisprudenza costituzionale 4.

Circa le complesse dinamiche interpretative suscitate dalla nozione di oscenità, è opportuno ricordare come il legislatore, nella costruzione della norma, possa avvalersi di termini che identifichino immediatamente una data realtà fenomenologica (c.d. elementi descrittivi), ma anche di espressioni che presuppongono il rinvio ad altra norma, giuridica o extragiuridica (c.d. elementi normativi). All'interno di questa ultima categoria, è altresì possibile il ricorso ad elementi ´valutativiª, i quali non possiedono un contenuto sufficientemente esplicativo, ma si limitano a fornire un parametro di valutazione 5, come il termine ´oscenoª, in quanto il suo significato è destinato a modificarsi a seconda dei tempi e dei contesti, ´assorbendoª, in un certo senso, la morale contingente, soprattutto in una realtà sociale, come l'attuale, in perenne e rapida evoluzione quanto a costumi e concezioni di vita.

L'impiego di siffatti concetti, di regola inevitabile in un ordinamento che, pur a legalità formale, sia aperto ad un confronto e ad una interazione con il sentire collettivo, ha tuttavia fatali ricadute sul piano della determinatezza delle fattispecie, nel senso che queste, pur consentendo il normale processo di sussunzione, possiedono una connaturata genericità. Per questi motivi, sulla definizione di ´oscenoª si è venuto a creare, come si accennava, un forte contrasto giurisprudenziale e dottrinale, all'interno del quale l'unica certezza 6 è data dall'art. 529 c.p., il quale, stabilendo che ´agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudoreª, individua chiaramente il pudore quale bene giuridico protetto dall'art. 527 c.p. 7.

Orbene, su cosa offenda il pudore e, dunque, su cosa possa esser considerato osceno e raggiungere pertanto la soglia dell'illiceità penale, esistono, in linea di estrema sintesi, due contrapposti orientamenti. Il primo, corrispondente ad una ideologia più conservatrice, fa riferimento ad un criterio deontologico che Page 65pretende, in sostanza, di individuare un parametro fisso ed immutabile cui rapportare le offese al pudore; tale parametro sarebbe rappresentato da un'astratta figura di uomo - l'uomo medio, o normale - psicologicamente equilibrato ed eticamente maturo, avulso dallo spazio e dal tempo, nonché portatore di valori etici tradizionali 8. Il secondo orientamento, progressista, adotta invece una concezione storico-statistica della oscenità e tiene conto, ai fini del relativo giudizio, del ´sentimentoª della maggioranza della popolazione o della media dei consociati di un determinato momento storico 9.

La sentenza che si commenta, a sua volta, pare porsi in linea con quella parte della giurisprudenza che, in prospettiva conciliatoria tra le due opposte soluzioni, individua senz'altro, come parametro un ´modelloª di uomo medio, o normale, ma tenendo altresì presente il quadro storico ed ambientale in cui esso, di volta in volta, si colloca 10. Infatti, ad avviso del collegio, il ´comune sentimentoª, di cui all'art. 529 c.p., sarebbe il sentimento ´dell'uomo normale, ossia dell'individuo maturo sul piano etico, alieno dalla fobia o dalla mania per il sesso, che accetti il fenomeno sessuale come dato fondamentale della persona umanaª 11. Nondimeno, la Corte prende in considerazione, da un lato, la realtà attuale, non potendo non riconoscere che la lap dance è divenuta ormai un vero e proprio fenomeno di costume, tanto da essere celebrata anche da film di successo internazionale, dall'altro le circostanze specifiche in cui la condotta incriminata si è svolta. In riferimento a tali circostanze, i giudici osservano che il circolo in cui si tenevano gli spettacoli de quibus - spettacoli peraltro, è bene ricordarlo, adeguatamente pubblicizzati - era appositamente adibito a questo genere di intrattenimento, non avendo altre funzioni, come ad esempio quelle di bar o discoteca, ed inoltre ad esso aveva accesso solo chi, pagando e previo tesseramento, voleva assistervi.

Sulla base di tale considerazione, viene posto in risalto il ruolo del principio di offensività 12, principio che, come ricorda la Corte, opera già al momento dell'astratta predisposizione della norma incriminatrice, quale limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore, sino alla sua specifica applicazione, dovendo il giudice accertare se la fattispecie posta in essere abbia effettivamente recato nocumento, o messo a repentaglio, il bene tutelato 13. Invero, ove la condotta in concreto accertata sia assolutamente inidonea ad offendere il bene protetto, si delineerebbe la figura del reato impossibile, ex art. 49, comma 2, c.p., sulla cui interpretazione, come è noto, non sussiste affatto unanimità di vedute, né in dottrina né in giurisprudenza, non essendo chiaro se esso rappresenti una mera riproduzione ´in negativoª del delitto tentato (art. 56 c.p.), cioè nulla più di un tentativo idoneo, oppure se...

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