Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine321-332

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@TRIBUNALE DI LA SPEZIA 14 gennaio 2009, n. 21. Est. De Bellis - Imp. Albani

Violazione di domicilio - Studio medico - Configurabilità - Fondamento - Studio di proprietà di società di servizi - Configurabilità del reato - Limiti.

Sebbene, ai fini dell’art. 614 c.p., lo studio medico possa essere qualificato luogo di privata dimora con la conseguenza che l’indebito ingresso in tale luogo integra il reato de qua, qualora lo studio sia di una società di servizi, il singolo professionista il quale si appoggi a tale struttura come luogo di visita dei pazienti non può ritenersi titolare dello ius excludendi rilevante ai fini dell’art. 614 c.p. (C.p., art. 614) (1).

    (1) In aggiunta al precedente citato in motivazione Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 1997, Lo Cicero, in questa Rivista 1997, 669, si veda Cass. pen., sez. V, 26 ottobre 1983, Lo Giudice, in Cass. pen. 1985, 119, secondo cui deve intendersi per privata dimora qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente alla esplicazione della vita privata o delle attività lavorative. Il concetto di privata dimora viene, pertanto, considerato più ampio di quello di casa di abitazione, rientrando in esso ogni altro luogo, diverso dalla casa di abitazione, dove la persona si sofferma per compiere, anche in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata (di commercio, di lavoro, di studio, di svago, ecc.).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. – Con decreto di citazione in data 7 agosto 2007 il Pubblico Ministero disponeva la citazione a giudizio di Albani Nives quale imputata dei reati descritti in epigrafe (artt. 614 e 494 c.p.).

All’udienza, previa verifica della regolarità della notifica del decreto di citazione, e non ammessa preliminarmente la costituzione di parte civile di Luigi Omiccioli, alla presenza dell’imputata veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti avanzavano le rispettive richieste di prova.

Si procedeva poi all’istruttoria dibattimentale mediante escussione dei testimoni indicati dal P.M. e dalla difesa ed ammessi con ordinanza. L’imputata rendeva esame.

Il Pubblico Ministero ed il difensore concludevano come da verbale.

All’esito questo Giudice pronunciava sentenza in ordine ai reati ascritti, alla stregua delle risultanze processuali.

Dall’istruttoria sono infatti emerse le seguenti circostanze.

Sono del tutto pacifiche le seguenti circostanze:

– l’imputata è suocera di tale Moira Ronzoni, la quale era stata in passato cliente del medico dentista Luigi Omiccioli;

– la Ronzoni riteneva che il dr. Omiccioli la avesse mal curata ed aveva proposto causa civile nei suoi confronti;

– era sta più volte inutilmente tentata la notifica all’Omiccioli dell’atto di citazione a giudizio, senza mai trovarlo;

– l’imputata aveva allora deciso di fissare un appuntamento con il dr. Omiccioli, come se dovesse curarsi i denti;

– ricevuto l’appuntamento, il giorno dei fatti oggetto di contestazione si era recata presso lo studio medico, aspettando il dr. Omiccioli;

– nel frattempo l’imputata aveva avvertito l’ufficiale giudiziario che in quella data ed ora avrebbe sicuramente trovato il dr. Omiccioli presso lo studio medico ed avrebbe potuto eseguire la notifica;

– entrato l’ufficiale giudiziario nello studio medico, una impiegata aveva affermato che il dr. Omiccioli non era presente;

– era allora intervenuta l’imputata che aveva iniziato ad aprire le varie porte dello studio, fino a trovare il dr. Omiccioli, che si era adirato intimandole di uscire;

– l’ufficiale giudiziario era tuttavia a questo punto riuscita ad eseguire la notifica all’Omiccioli;

– l’imputata non è avvocato.

In questo contesto si inseriscono i fatti specificamente oggetto della contestazione.

Si contesta cioè all’imputata di essersi illegittimamente introdotta e trattenuta nello studio medico (art. 614 c.p.) e di essersi illegittimamente qualificata come avvocato (circostanza affermata da due testi del P.M. e parzialmente disconosciuta dall’imputata che ha dichiarato di avere invece detto: “Potrei essere un avvocato ...”).

È pacifico in giurisprudenza che anche lo studio di un professionista possa essere luogo di privata dimora, e che dunque l’indebito ingresso in tale luogo integri il reato di cui all’art. 614 c.p. (si veda ad esempio Cass., sez. V, 27 novembre 1996, Lo Cicero: «Deve ritenersi pienamente configurabile il reato di violazione di domicilio, nel caso di abusiva introduzione (o abusiva permanenza) nei locali dello studio di un libero professionista il quale eserciti compiti che si inseriscono in un’attività procedimentale di rilevanza pubblicistica, ed invero, l’esercizio ditali compiti, da parte del libero professionista, non comporta la perdita della qualità di luogo non aperto indiscriminatamente al pubblico del suo studio professionale e non priva il professionista stesso del diritto di escludere dall’in-Page 322gresso dei propri locali – o di invitare ad allontanarsene – le persone che ritenga di non ammettere, per qualunque motivo non contrario alla legge».

Tuttavia nel caso di specie è emerso dalle dichiarazioni testimoniali che lo studio medico ove sono avvenuti i fatti non è del dr. Omiccioli (la parte offesa querelante) bensì di una società di servizi, e che il dr. Omiccioli, come altri medici, si appoggia a tale struttura come luogo di visita dei pazienti.

Non può dunque ritenersi – a parere del Tribunale – che i singoli medici che si avvalgono dei locali della società di servizi siano titolari dello ius excludendi rilevante ai fini dell’art. 614 c.p., ovvero – detto in altri termini – gli stessi non possono ritenersi titolari del diritto di querela.

Deve conseguentemente pronunciarsi sentenza di proscioglimento dell’imputata – relativamente al reato di cui all’art. 614 c.p. – in quanto l’azione penale non poteva essere esercitata per difetto di legittimazione del querelante.

Relativamente al reato di cui all’art. 494 c.p. che si assume commesso attraverso la falsa dichiarazione fatta dall’imputata di essere avvocato, appare preliminare – rispetto all’esame delle questioni relative al fatto se l’imputata abbia effettivamente detto che era un avvocato – la circostanza che l’art. 494 c.p. è norma del tutto residuale fra quelle che puniscono le false affermazioni sulla propria identità personale.

Ed in effetti l’art. 498 comma 2 c.p. (fattispecie divenuta mero illecito amministrativo dal 1999) sanziona la condotta di chi falsamente si arroghi qualità inerenti a professioni per le quali occorre una speciale abilitazione dello Stato, quale è sicuramente quello dell’avvocato (così Cass., sez. III, 16 dicembre 1999, Leonetti).

La condotta dell’imputata, se ritenuta sussistente, integra dunque gli estremi di un mero illecito amministrativo.

L’imputata deve essere pertanto assolta dall’imputazione di cui all’art. 494 c.p. – correttamente riqualificata in quella di cui all’art. 498 comma 2 c.p. – in quanto il fatto non è previsto dalla legge come reato. (Omissis).

@TRIBUNALE DI FOGGIA 12 gennaio 2009, n. 1185. Est. Talani - Imp. P.I

Locazione - Obbligazioni del conduttore in genere - Posizione di garanzia del locatore - Contenuto - Obbligo evitare che le fonti di pericolo presenti nell’appartamento causino danni a terzi - Fattispecie in tema di omicidio colposo.

La locataria di un immobile deve essere individuata come titolare di una posizione di controllo avente ad oggetto tutti i pericoli scaturenti potenzialmente dall’immobile e dall’azione dei minori presenti nell’abitazione. Tale vincolo di tutela deriva dal rapporto qualificato che l’affittuaria ha con l’immobile locato, nonché dalla condizione della stessa di unica persona maggiorenne all’intero del suo nucleo familiare. In virtù di tali qualità la medesima ha l’obbligo di approntare tutte le cautele atte ad evitare che le fonti di pericolo scaturenti dall’appartamento da lei abitato, sebbene conseguenti alle azioni dei minori, possano provocare danni a terzi. (Il caso di specie riguardava un evento mortale cagionato dalla caduta, sulla pubblica via, di un manubrio dal davanzale della finestra dove era stato maldestramente apposto da un minore per sostenere la serranda rotta della finestra al fine di consentire a luce ed aria di filtrare nella stanza). (C.p., art. 589) (1).

    (1) Nulla in termini.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con decreto del 5 ottobre 2006 il G.u.p. del Tribunale di Foggia disponeva il rinvio a giudizio dell’odierna imputata davanti al Giudice monocratico di Foggia per il reato ascrittole in rubrica.

Nel corso del dibattimento, dichiarato aperto in data 13 febbraio 2007, venivano escussi numerosi testi e, in quanto atti irripetibili, venivano acquisite le annotazioni della P.G. operante e il verbale dei rilievi tecnici e fotografici della Polizia Scientifica. Su accordo delle parti processuali venivano acquisite le s.i.t. rese dal teste M.D. Ai sensi dell’art. 512 c.p.p. venivano acquisite le s.i.t. rese da R.R. nel frattempo deceduto, come risulta dal relativo certificato di morte in atti.

Venivano altresì acquisite al fascicolo dibattimentale la relazione del C.T. del P.M., ing. P.P., con i relativi allegati, elaborata al termine dell’accertamento tecnico non ripetibile, svolto nelle forme di cui all’art. 360 c.p.p. e diretto ad accertare la possibile dinamica del sinistro, nonché la relazione della dott. ssa S.D.D.

In data 5 ottobre 2006 si costituivano le parti civili, I.G.T., T.L.T., F.P.D.S., rispettivamente germani – i primi due – e marito della vittima.

All’odierna udienza le parti rassegnavano le seguenti conclusioni: il P.M. chiedeva, riconosciute le attenuanti generiche, la condanna dell’imputata ad anni uno e mesi sei di reclusione; la parte civile si riportava alle conclusioni scritte ed alla nota spese depositate; la difesa, infine, chiedeva l’assoluzione con la formula «il fatto non costituisce reato» ed, in subordine, il minimo della pena ed i benefici di legge.

Al termine, il Giudice decideva come da...

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