Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine87-93

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@TRIBUNALE DI PISA Uff. del Gip, Ord. 6 agosto 2008. Est. Murano - Imp. Hachana

Giudizio direttissimo - Presupposti - Arresto in flagranza - Termini - Possibilità di deroga - Esclusione.

I termini stabiliti dall'art. 449 c.p.p. recentemente novellato dal D.L. n. 92/2008 convertito con modificazioni in L. 24 luglio 2008, n. 125, per procedere al giudizio direttissimo previsto dall'art. 14 comma 5 quinquies del D.L.vo 286/98, non soffrono deroghe. (C.p.p., art. 449; D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14) (1).

    (1) Ordinanza ben motivata in punto di diritto.


MOTIVI DELLA DECISIONE. - Hachana Saber Ben Mohamed veniva tratto in arresto in data 15 giugno 2008 per essersi reso inottemperante al decreto di espulsione emesso l'8 agosto 2007 dal Prefetto di Vercelli. L'arresto veniva convalidato da questo Gip in data 18 giugno 2008 e veniva contestualmente emessa nei suoi confronti la misura cautelare custodiale ancora oggi in corso.

Lamenta il difensore il mancato rispetto dei termini stabiliti dall'art. 449 c.p.p. per procedere al giudizio direttissimo previsto dall'art. 14 comma 5 quinquies del D.L.vo 286/98 per il reato ritenuto nei confronti dell'indagato sollecitando l'adesione a quello (meno recente) tra i due filoni giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione che ritiene inderogabili i termini stabiliti per l'instaurazione del giudizio direttissimo poiché costituiscono carattere fondamentale di tale rito.

Chiede, conseguentemente, la revoca o la sostituzione della misura cautelare con altra meno afflittiva considerando l'ampio superamento dei termini per l'instaurazione del giudizio direttissimo e, comunque, in considerazione del lungo tempo trascorso in carcere dall'indagato.

In effetti la giurisprudenza più recente (Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2004, n. 10368 richiamata da ultimo ancora da Cass. pen., sez. I, 30 maggio 2007, n. 27657) differenziando tra «casi» e «modi» per l'instaurazione del rito direttissimo, consente la deroga a quei termini implicitamente considerandoli ordinatori.

Su tale ultimo orientamento - foriero di ingiustificate permanenze in carcere per lunghi periodi di tempo per posizioni che sarebbero ben definibili in tempi ristretti grazie alla previsione del rito direttissimo - questo giudice, già in svariate occasioni in passato, aveva espresso non poche perplessità facendo osservare che la consuetudine dell'Ufficio inquirente di chiedere la convalida e la conseguente applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti dell'arresto, anziché ricorrere al rito direttissimo (così come prescritto per il reato ipotizzato) ancorché legittimo esercizio di una facoltà di scelta consentita dal comma 4 dell'art. 449 c.p.p., ed anche nell'ipotesi di rispetto del termine dei quindici giorni dell'arresto, tradisse lo spirito della previsione normativa la quale si proponeva l'obiettivo di evitare che soggetti perseguiti in sede penale per una violazione eminentemente amministrativa e, quindi, a limitata pericolosità sociale, venissero in contatto con l'ambiente carcerario: quel che si voleva realizzare, invece, era un sistema in cui il giudizio penale si sarebbe dovuto inserire nel procedimento amministrativo di espulsione pervenendo a tale ultimo risultato senza che lo straniero fosse sottoposto a regime carcerario in tutti i casi in cui la definitiva decisione giudiziaria non lo imponesse.

Quella consuetudine, poi, non tiene conto del fatto che, stante il generale obbligo della legalità nel procedimento penale, statuito dall'art. 124 c.p.p., obbligo efficace nei confronti di tutti i soggetti processuali, ivi compreso il pubblico ministero, la natura ordinatoria di un termine previsto dalla legge non può significare che esso possa essere inosservato (in tal senso Cass. pen., sez. VI, 30 ottobre 2006, n. 40675 a proposito del termine di cui all'art. 459, comma 1, c.p.p.).

Il problema posto dall'indirizzo sin qui esaminato si ripropone oggi poiché su di esso impone una riflessione il recente intervento del legislatore che con legge 24 luglio 2008, n. 125 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica» all'art. 2 ha novellato l'art. 449 c.p.p., commi 4 e 5 c.p.p., prevedendo - quando l'arresto in flagranza è già stato convalidato ovvero in caso di reo confesso - l'obbligo (anziché la facoltà) per il pubblico ministero di procedere con il rito direttissimo, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, ed ha esteso da 15 a 30 giorni dall'arresto il termine entro il quale il pubblico ministero deve presentare l'imputato in udienza.

In tenore letterale della disposizione e la stessa ratio dell'intervento normativo lasciano chiaramente intendere la volontà di prevedere strumenti processuali (a cui ricorrere obbligatoriamente) allo scopo di garantire procedure veloci e snelle: vi è da chiedersi, allora, quale senso avrebbe il prevedere come obbligatorio un rito caratteri zzato da particolare immediatezza tra il momento dell'accertamento del reato (arresto in flagranza convalidato o confessione)Page 88 e quello della decisione se i ristretti termini imposti per farvi ricorso fossero da considerare meramente ordinatori potendo essere bellamente disattesi in maniera anche ecclatante: in tal caso l'assenza di sostanziali differenze del rito speciale, rispetto a quello ordinario, farebbero ritenere lo stesso intervento normativo un fuor d'opera.

Tutto ciò detto, occorre precisare che il vaglio circa l'ammissibilità del rito spetta non già a questo giudice, bensì a quello che sarà investito del giudizio direttissimo (che risulta fissato per il giorno 15 ottobre 2008 con atto di presentazione emesso il 25 luglio 2008).

Per quanto in questa sede rileva non può non tenersi conto che, alla luce delle considerazioni in precedenza formulate, vi è la concreta possibilità che il giudice del merito possa dichiarare l'inammissibilità del rito per la sua tardività con conseguenze rilevanti in termini di eccessivo ulteriore prolungamento dello stato detentivo nel quale l'odierno indagato si trova. La circostanza appare, in una valutazione globale e complessiva della vicenda cautelare, influente in relazione alla natura del reato commesso ed alla pena per esso eventualmente irroganda, cosicché il ritardo nella instaurazione del rito imposto per il reato (fissato a distanza di ben quattro mesi dall'arresto) comporta necessariamente una rivalutazione dei presupposti della misura cautelare, e segnatamente del criterio di proporzionalità che deve orientare nella scelta della misura cautelare più idonea e che impone di avere riguardo all'entità del fatto in termini qualitativi.

Per altro verso - e pur non volendo considerare il tempo già trascorso in stato di restrizione (dal 15 giugno 2008) ed il rischio che una eccessiva ulteriore protrazione dello stato di custodia cautelare si traduca in una anticipata espiazione della pena che potrebbe essere inflitta all'indagato - l'esigenza di cautela ritenuta nel provvedimento restrittivo (il pericolo di fuga attraverso la assunzione di false generalità) appare venuta meno nel caso concreto: la registrazione dei suoi dati identificativi in occasione della rilevazione fotodattiloscopica ed al momento del suo ingresso in carcere non possono essere sfuggiti al prevenuto il quale è, oggi, ben consapevole di non poter più ricorrere a quell'espediente al fine di sottrarsi alle ricerche.

Il venir meno delle esigenze cautelari inizialmente ritenute nei confronti dell'indagato impone, quindi, ai sensi dell'art. 299 c.p.p., la revoca della misura cautelare. (Omissis).

@TRIBUNALE DI MILANO Ord. 18 aprile 2008. Pres. ed est. Manfrin - Imp. X

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