Giurisprudenza di merito

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@TRIBUNALE DI ROMA 1 luglio 2003. Pres. ed est. Bresciano - Imp. XY e altri.

Giudizio - Dibattimento - Applicazione concordata della pena - Legge 12 giugno 2003 n. 134 - Disciplina transitoria - Questione di legittimità costituzionale - Non manifesta infondatezza.

I principi costituzionali dell'eguaglianza, della ragionevole durata dei processi, della tendenziale formazione della prova penale nel contraddittorio tra le parti, potrebbero essere stati lesi dagli artt. 1 e 5 della L. 134/03. Questi consentono: 1) a dibattimento già iniziato, un esito pattizio della causa, nell'inosservanza della ratio deflativa che giustifica il ricorso ai riti speciali; 2) una sospensione obbligatoria del dibattimento già in corso, con decorenza dalla prima udienza utile anziché dalla data di pubblicazione della legge; 3) la definizione consensuale del processo penale in un catalogo amplissimo di reati, anche di estrema gravità, in violazione del principio-cardine del contraddittorio. Essendo rilevanti e non manifestamente infondati, i dubbi di legittimità costituzionale devono essere sottoposti al giudice delle leggi. (C.p.p., art. 444).

(Omissis). - Gli odierni imputati sono stati rinviati a giudizio, dopo l'udienza preliminare, per rispondere dei reati sopra indicati e meglio descritti nei capi d'imputazione.

Vi è stata costituzione di parte civile.

Il processo era oggi fissato per la sola discussione. All'odierno dibattimento l'imputato, Tizio tramite difensore munito di procura speciale, ha chiesto la sospensione del processo ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134; i difensori degli altri imputati, privi di procura speciale, hanno chiesto ugualmente la sospensione del processo ai sensi della norma citata; considerato in diritto che:

  1. - L'art. 5, della legge 12 giugno 2003, n. 134, stabilisce che:

    1) L'imputato, o il suo difensore munito di procura speciale, e il pubblico ministero, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, in cui sia prevista la loro partecipazione, possono formulare la richiesta di cui all'art. 444 del codice di procedura penale, come modificato dalla presente legge, anche nei processi penali in corso di dibattimento nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulti decorso il termine previsto dall'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, e ciò anche quando sia già stata presentata tale richiesta, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero o la richiesta sia stata rigettata da parte del giudice, e sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizione della precedente.

    2) Su richiesta dell'imputato il dibattimento è sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l'opportunità della richiesta e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare.

    3) Le disposizioni dell'art. 4 si applicano anche ai procedimenti in corso. Per tali procedimenti la Corte di cassazione può applicare direttamente le sanzioni sostitutive.

    Questo tribunale dubita della legittimità costituzionale della norma per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione.

    La norma non appare ragionevole sotto diversi profili in particolare:

    a) in relazione al disposto del comma 1, che consente di formulare la richiesta anche oltre il termine fissato dall'art. 446, comma 1, c.p.p.;

    b) in relazione al disposto del comma 2, che impone, su richiesta dell'imputato, una sospensione di 45 giorni, fissando il termine di decorrenza dalla prima udienza utile successiva alla data di pubblicazione;

    c) in relazione al disposto del comma 3 che dispone applicarsi le disposizioni dell'art. 4 della medesima legge anche ai processi in corso.

  2. - In primo luogo, in relazione al contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. si osserva che l'istituto della pena concordata è stato introdotto nel codice di rito vigente per determinare un effetto deflattivo del procedimento penale. In sostanza si è concesso alle parti di concordare la pena per evitare i costi in termini di tempo, di risorse umane e finanziarie determinate dalla complessità dell'udienza preliminare o del dibattimento; in cambio di tale risparmio, l'imputato gode di uno sconto di un terzo della pena.

    Tale principio è stato affermato anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 129 del 1993, laddove afferma, con riferimento ai riti speciali, che «l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti a tali giudizi in tanto rileva, in quanto egli rinunzia al dibattimento e venga perciò effettivamente adottata una sequenza procedimentale che consenta di raggiungere l'obiettivo di una rapida definizione del processo». Il carattere premiale del rito previsto dall'art. 444 c.p.p. è stato ancora confermato dall'ordinanza n. 172 del 1998 di codesta Corte.

    Ne consegue che lo sbarramento previsto dall'art. 446 comma 1 c.p.p. per l'introduzione del rito ha una sua logica ferrea ed ineludibile, altrimenti verrebbe meno il principio stesso su cui si fonda il rito premiale.

    Il legislatore, con la novella del 2003, avrebbe dovuto consentire di presentare la richiesta lasciando inalterato il limite di cui all'art. 446, comma 1, c.p.p. Invece non ha operato neppure una distinzione fra i processi per i quali è stato aperto il dibattimento, ma non è stata compiuta alcuna attività istruttoria e processi per i quali l'istruttoria è già avanzata o addirittura è stato dichiarato chiuso il dibattimento e si è in una fase di discussione. Page 480

    Consentire la riduzione della pena anche a chi non ha fatto risparmiare alcuna risorsa allo Stato e ai cittadini, dopo che è stato celebrata l'udienza preliminare o il dibattimento è stato celebrato ed è stato addirittura dichiarato chiuso ed è addirittura in corso la discussione, non appare ragionevole e contrasta con i principi che sottendono l'istituto dell'applicazione della pena concordata.

  3. - Si ravvisa l'ulteriore contrasto con l'art. 111 Cost. oltre che, sotto diverso profilo, con l'art. 3 Cost. Quest'ultimo, nella parte relativa alla ragionevole durata del processo, è di recente introduzione e trae il suo fondamento nei principi enunciati dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla L. 4 agosto 1955, n. 848.

    Appare opportuna qualche riflessione sull'interpretazione dell'art. 111 Cost. e sugli interessi che esso tutela. Occorre, cioè, chiarire se il principio della ragionevole durata del processo debba essere riferito solo all'interesse di ogni singolo imputato - anche nel caso si tratti di processo con più imputati - oppure si riferisca anche a tutte le altre parti processuali, oppure anche agli interessi dello Stato e dei cittadini in generale. È ovvio che se la speditezza processuale va intesa con riferimento al singolo imputato il quale, a seconda dei casi, ha interesse ad un processo più lungo nella speranza della prescrizione del reato o più breve, attraverso riti alternativi, prescindendo dagli interessi delle altre parti di quel medesimo processo e anche da interessi superiori della cittadinanza a vedere celebrati tutti i processi con sollecitudine, la richiesta di rito alternativo effettuata anche in corso di un processo in cui l'istruttoria dibattimentale sia già iniziata o addirittura terminata, non incontrerà ostacoli nell'art. 111 della Cost. Se, invece, l'interpretazione della ragionevole durata va commisurata anche ad altri interessi, è necessario svolgere alcune considerazioni.

    In primo luogo si osserva che nell'attuale sistema i poteri decisori del giudice sono stati ampiamente ridotti in favore di quelli delle parti. Ogni volta che sia disposta la rinnovazione del dibattimento, l'istruttoria dibattimentale deve ricominciare da capo, salvo nel caso in cui le parti prestino il consenso alla lettura. Nel caso, perciò, di un processo con più imputati, di cui solo uno chieda la sospensione del processo, ai sensi dell'art. 5 comma 2 della legge 134/2003, e successivamente chieda l'applicazione della pena, il giudice deve, innanzitutto, stabilire se proseguire il processo nei confronti dei coimputati, effettuando uno stralcio della posizione del richiedente, che potrebbe rivelarsi poi inutile, con dispendio di energie e di attività processuali; se, poi, anziché sospendere il processo anche nei confronti dei coimputati, lo rinvia in attesa del decorso dei 45 giorni prescritti e all'udienza successiva l'interessato richiede l'applicazione della pena, l'accoglimento dell'istanza renderebbe il giudice incompatile a giudicare gli altri coimputati; il rigetto della richiesta lo renderebbe ugualmente incompatibile a giudicare l'imputato; in entrambi i casi il processo dovrebbe iniziare ex novo innanzi ad altro giudice, con rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. In tal caso non vi sarebbe speditezza processuale né per l'interessato né per i coimputati, ma, anzi una dilatazione dei tempi della decisione (tra l'altro già maturi perché l'istruttoria era esaurita); con la conseguenza che ad una decisione con rito ordinario ormai certa nel tempo, si sostituisce un'attività interlocutoria di sospensione che potrebbe concludersi con il rigetto della richiesta di applicazione della pena e con la necessità di celebrare ex novo il processo con rito ordinario.

    Questo tribunale non ignora che la Corte, con sentenza n. 266 del 1992, ha affermato che «l'applicazione della pena concordata con il pubblico ministero da uno solo degli imputati di concorso nel medesimo reato costituisce un procedimento congegnato come pattuizione tra imputato richiedente e parte pubblica, in ordine al quale è previsto un controllo giurisdizionale che non include però la valutazione delle posizioni dei coimputati». La questione, tuttavia, era stata esaminata solo con riferimento all'art. 3 della Costituzione ed inoltre, era afferente ad una disposizione ordinaria e non...

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