Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine419-446

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@CORTE DI APPELLO DI CATANIA Sez. I, 21 gennaio 2003, n. 2070. Pres. ed est. De Natale - Imp. Capria.

Associazione per delinquere - Estremi - Vincolo associativo - Necessità.

Il reato di associazione per delinquere si inquadra nella classe dei delitti contro l'ordine pubblico: gli associati nel costituire un organismo in sè e per sè distinto dalla fase di attuazione dei singoli delitti scopo, ripartendosi i ruoli e i compiti in vista della realizzazione di un numero indeterminato di reati la cui concreta attuazione possa essere, di volta in volta, decisa nell'ambito di una struttura organizzativa destinata a fornire un supporto di carattere stabile alle singole determinazioni criminose, concretizzano quell'offesa all'ordine pubblico e cioè alla pace e alla tranquillità sociale evidentemente turbate dalla presenza di un'entità dotata di vita propria e strutturata in funzione della lesione di interessi penalmente tutelati. (C.p., art. 416) (1).

    (1) Sentenza che, in motivazione, si discosta dal consolidato orientamento della Suprema Corte che costantemente non ha ritenuto necessaria, per l'integrazione del reato in esame, una vera e propria organizzazione con strutture e gerarchie interne.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza 18 giugno 1998 il Gup di Messina dichiarava Capria Nicola colpevole del reato di cui all'art. 416, comma 1 e 2 c.p. così come indicato in epigrafe e lo condannava alla pena di un anno di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale oltre al risarcimento dei danni in favore del Comune di Messina degli Assessorati della Regione siciliana agli EE.I.L., ai LL.PP., alle Finanze, ai Beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, tutti costituiti parti civili. Assolveva il Capria da tutti i reati ascrittigli per non aver commesso il fatto ad esclusione dei reati di cui ai capi O), P) ed S) in relazione ai quali lo assolveva perché il fatto non sussiste; per il reato sub T) perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato ed infine ad esclusione del capo R) per il quale dichiarava la prescrizione.

Avverso la suddetta sentenza proponevano appello l'imputato ed il P.M.

In particolare l'imputato, criticando la decisione di primo grado soffermava l'attenzione sull'erronea decisione circa la ritenuta sussistenza del reato associativo del quale si sarebbe reso responsabile unitamente all'On. Astone e agli altri due coimputati Cassiano Oscar e Versaci Antonino, rispettivamente il primo quale leader della Democrazia Cristiana allora partito di maggioranza relativa che nella Provincia di Messina andava per la maggiore unitamente al Partito Socialista Italiano del quale il Capria era a sua volta l'esponente locale di spicco.

Osservava in sintesi che nella specie non vi era prova della struttura organizzativa né del suo coinvolgimento quale leader indiscusso del P.S.I., e che dalle stesse dichiarazioni dell'On. Astone oltre che dalle altre dichiarazioni testimoniali si sarebbe dovuto dedurre la sua assoluta estraneità a presunti affari illeciti che sarebbero stati commessi unitamente al Versaci e al Cassiano, entrambi imprenditori, ritenuti rispettivamente collegati, anche politicamente, l'uno all'Astone e l'altro al Capria.

Rilevava, inoltre, che il suo ruolo doveva essere considerato esclusivamente politico, volto alla crescita culturale e politica della provincia e della città di Messina.

Escludeva in sostanza qualsiasi prova che potesse attestare l'esistenza del nucleo associativo atteso fra l'altro l'esito non contestato dei cosiddetti reati fine dai quali con la stessa sentenza era stato assolto.

Chiedeva, pertanto, la riforma della sentenza con declaratoria di assoluzione.

A sua volta il P.M., impugnando la decisione assolutoria, nonché la quantificazione della pena per il reato di cui all'art. 416 c.p., chiedeva la riforma della sentenza e la condanna alle pene di legge per i reati di cui ai capi I), L) ed M), da qualificarsi come ricettazione.

Con sentenza del 26 gennaio 2000 la Corte d'appello di Messina confermava la sentenza del Gup e condannava l'imputato alle ulteriori spese in favore delle parti civili costituite e rigettava l'appello del P.M.

Avverso quest'ultima sentenza proponeva ricorso per cassazione l'imputato, deducendo varie violazioni di legge e vizi di motivazione.

In data 27 giugno 2001 la Corte Suprema di Cassazione annullava la sentenza impugnata con rinvio a questa corte di appello per nuovo esame, osservando che il Giudice di appello di Messina aveva omesso di motivare circa le specifiche ed incisive censure che erano state mosse dalla difesa del Capria, non essendo sufficiente l'accoglimento delle ragioni esplicitate dal primo giudice e per non avere affrontato i temi devoluti alla cognizione della corte di merito.

In esito alla odierna udienza, celebrata nella contumacia dell'imputato ritualmente citato e non comparso, il P.G. e le parti civili costituite concludevano come da verbale in atti.

Ciò premesso occorre brevemente ricordare che il reato di associazione per delinquere si inquadra nella classe dei delitti contro l'ordine pubblico: gli associati nel costituire un organismo in sè e per sè distinto dalla fase di attuazione dei singoli delitti scopo, ripartendosi i ruoli ed i compiti in vista della realizzazione di un numero indeterminato di reati la cui concreta attuazione possa essere, di volta in volta, decisa nell'ambito di una struttura organizzativa destinata a fornire un supporto di carattere stabile alle singole determinazioni criminose, concretizzano quell'offesa all'ordine pubblico e cioè alla pace e alla tranquillità sociale evidentemente turbate dalla presenza di una entità dotata di vitaPage 420 propria e strutturata in funzione della lesione di interessi penalmente tutelati.

Orbene nei fatti in esame non si ravvisano gli estremi della ritenuta associazione. Non vi è prova, infatti, nel caso concreto che l'imputato, quale esponente di spicco di un partito politico, fosse collegato con altri esponenti politici (vedasi On. Astone) o con imprenditori per la gestione di appalti pubblici, né vi è prova che avesse indotto o costretto, in concorso con Astone Giuseppe, Versaci Antonino e Cassiano Oscar, a farsi consegnare dai partecipanti alle varie gare di appalto svoltesi fra gli anni ottanta e novanta nel territorio del messinese somme di denaro variabili in ragione dell'importo oggetto di appalto.

Tali risultanze, infatti, sono state già comprovate proprio dalla sentenza assolutoria espressa dal Gup di Messina, il quale, motivando in punto, ha correttamente evidenziato che la prova dell'avvenuto incasso di tutte le somme di denaro asseritamente percepite, per il ruolo svolto nell'aggiudicazione degli appalti pilotati, non esiste agli atti (cfr. sentenza Gup p. 14 ove è evidenziato che «manca del tutto la prova dell'ultimo passaggio del denaro costituente le varie tangenti cioè il passaggio nelle mani dell'On. Capria» nonché pp. 26 e 27, laddove si rileva che il «D'Andrea pagò la tangente chiestagli dal Cassiano in tutte le occasioni che si presentarono. Dette le somme non certamente all'On. Capria ma all'Ing. Cassiano» e che secondo le dichiarazioni del D'Andrea era quello il «sistema» nel quale le imprese che erano contigue ai partiti politici e ai suoi leaders che governavano a Messina dettavano le regole nella lottizzazione dei lavori).

Anche da altre dichiarazioni acquisite in atti, secondo le quali tutti i lavori di un certo rilievo fossero appannaggio delle imprese vicine al Capria e all'Astone e secondo le quali il Capria unitamente a quest'ultimo monopolizzasse l'economia messinese legata agli affari pubblici, si rileva la prova della insussistenza del c.d. accordo spartitorio tra i due leaders politici.

Infatti, pur potendosi ritenere l'esistenza di un «sistema» politico-amministrativo che controllasse il settore dei lavori pubblici, ciò non costituisce prova della volontà di perseguire fini illeciti, né, altresì, prova della ritenuta «intesa» fra i suddetti politici.

Va rilevato in proposito che sussiste un netto contrasto tra l'attività politica svolta dal Capria per mandato popolare in virtù di un principio costituzionalmente garantito e la presunta sussistenza di un accordo di spartizione degli appalti ai soli soggetti protetti sulla base delle dichiarazioni rese da vari esponenti politici nonché amministratori, le cui dichiarazioni dalle quali è stato estrapolato il concetto di «sistema» tipicamente politico non consentono di trasportare nell'area del penalmente rilevante la funzione di indirizzo dell'attività politica ed amministrativa che è invece propria e tipica del ruolo svolto dai politici. Ed invero nella sentenza impugnata, se pure viene rimarcato tale aspetto, la motivazione entra in evidente contraddizione con le premesse allorquando, tentando di distinguere l'attività di illecito finanziamento ai partiti rispetto alle attività ulteriori e altrettanto illecite, conclude con l'affermazione che dette ultime si risolvevano in turbative d'asta e illeciti amministrativi, non considerando un aspetto importante e decisivo ossia l'assenza di prova di questi ultimi reati che, anche se contestati, sono stati esclusi.

Ne deriva conseguentemente l'impossibilità, per quanto in atti, di considerare il «sistema», quale quello dell'adesione politica ad un partito che invece trova fondamento nella Costituzione, illecito penalmente rilevante, condividendosi sul punto le valutazioni espresse nei motivi di appello nella parte in cui si differenzia la struttura del reato associativo dall'accordo politico certamente sussistente per la gestione della cosa pubblica.

In sostanza sul piano del riconoscimento della struttura del fatto di reato di associazione per delinquere non vi è prova sia «per la indeterminatezza, per la genericità semantica e l'ambiguità sociologica del termine sistema» sia per i riferimenti generici di tutte le dichiarazioni testimoniali...

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