Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine439-446

Page 439

@CORTE DI APPELLO DI PERUGIA 18 febbraio 2004, n. 82. Pres. Verrina - Est. Muscato - Imp. Cecchini.

Giudice penale - Incompatibilità - Atti compiuti nel procedimento - Gup quale giudice che ha applicato la misura cautelare - Applicazione del principio di incompatibilità per le situazioni processuali c.d. «esaurite»Esclusione.

Concussione - Estremi - Concorso nel reato - Concorso dell'estraneo - Contributo causale del privato nell'ideazione o rafforzamento del proposito criminoso del pubblico ufficiale - Configurabilità - Fondamento.

La pronuncia di illegittimità costituzionale, pur esplicando i suoi effetti anche retroattivamente, esclude che si applichi anche alle situazioni giuridiche e processuali «esaurite», vale a dire quelle che non possono essere modificate o rimosse. Poiché dal coordinamento tra gli articoli 38 e 34 del codice di procedura penale è desumibile che la funzione della ricusazione rimanga circoscritta nell'ambito di un grado del procedimento, deve ritenersi esaurita la situazione processuale quando la causa di incompatibilità sia insorta sulla scorta di una pronuncia della Corte costituzionale, in epoca successiva alla chiusura del grado del procedimento cui l'incompatibilità si riferisce. (Fattispecie nella quale, nel corso dell'appello dell'imputato era stata dichiarata con sent. n. 432/95 Corte cost., l'incostituzionalità dell'art. 34 comma 2 c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al dibattimento del giudice per le indagini preliminari che ha adottato nel procedimento una misura cautelare. In virtù di tale principio, la Corte ha risolto negativamente la questione della nullità della sentenza per la suddetta incompatibilità sollevata con eccezione sorta dopo la scadenza dei termini fissati per l'impugnazione). (C.p.p., art. 34) (1).

Ai fini della configurabilità del concorso nel reato «proprio» di concussione di un extraneus è necessario che questi, con la propria condotta o concorra materialmente con il pubblico ufficiale a coartare, con le minacce o con altri mezzi fraudolenti, la volontà del soggetto passivo per indurlo alla indebita promessa, ovvero concorra moralmente con il pubblico ufficiale mediante qualsiasi attività che agendo sulla volontà di quest'ultimo faccia sorgere o rafforzi il proposito delittuoso, ed in tal senso deve ritenersi che costituisca atto di concorso morale nel reato la promessa d'aiuto da prestarsi successivamente alla perpetrazione del reato, allorché abbia fatto sorgere o rafforzato il proposito delittuoso dell'agente. (C.p., art. 110; c.p., art. 379) (2).

    (1) Nello stesso senso Cass. pen., Sez. Un., 7 aprile 1998, Gerina ed altro, in questa Rivista 1998, 435, secondo cui, qualora nel corso del processo si verifichino innovazioni legislative in materia di utilizzabilità o inutilizzabilità della prova, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento della decisione e non a quello dell'acquisizione della prova, atteso che il divieto di uso, colpendo proprio l'idoneità di questa a produrre risultati conoscitivi valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, interviene allorché il procedimento probatorio non ha trovato ancora esaurimento, di modo che il divieto inibisce che i dati probatori, pur se acquisiti con l'osservanza delle forme previste dalle norme previgenti, possano avere un qualsiasi peso nel giudizio. (Nell'occasione la Corte, pronunciandosi in tema di modifica dell'art. 513 c.p.p. introdotta con L. 7 agosto 1997 n. 267, ha altresì precisato che tale principio trova applicazione anche nel giudizio di legittimità, e ciò in quanto il procedimento probatorio deve considerarsi ancora in fieri allorquando la Corte di cassazione sia stata investita del sindacato sulla motivazione relativa alla valutazione delle prove compiuta dal giudice di merito, con la conseguenza che, nell'esercizio dei suoi compiti istituzionali, la stessa Corte ha il potere-dovere di rilevare che la decisione impugnata si fonda su prove colpite da un sopravvenuto difetto di utilizzazione).


    (2) In argomento, si veda Cass. pen., sez. I, 29 aprile 1999, Zuin, in questa Rivista 1054, 1999, secondo cui è configurabile, nel medesimo fatto ascritto ad un ufficiale della Guardia di finanza, il concorso formale tra concussione e delitto di collusione con estraneo in frode alla Finanza, in quanto diversi sono i beni protetti dalle rispettive norme incriminatrici, identificabili nel prestigio e nel buon funzionamento della p.a. relativamente al primo delitto e nella regolarità del gettito fiscale, nonché nella disciplina del corpo della Guardia di finanza, quanto al secondo delitto.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza 15 novembre 1994, alla quale si rimanda per una dettagliata esposizione dei fatti, il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Perugia, a seguito di giudizio abbreviato, giudicò Alberto Cecchini colpevole di concorso in concussione, meglio in epigrafe specificato, e lo condannò, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione, condizionalmente sospesa, nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili costituite.

Risulta dagli atti che nell'anno 1988 l'Università di Perugia bandì un appalto per l'esecuzione delle opere di adeguamento alle norme di agibilità e sicurezza dell'edificio denominato «accademia anatomochirurgica», che fu aggiudicato, per un importo di lire 296.920.760, ad un'associazione temporanea d'imprese costituita fra la Snc «Rossini Luigi & Grasselli Ermenegildo», rappresentata da Luigi Rossini, la ditta individuale Cecchini Alberto, la ditta individuale «Idrotermica Fratteggiani di Millucci Giuliano». Secondo quanto dichiarato da Luigi Rossini, in precedenza il geom. Sebastiano Di Salvo, dipendente dell'università, che era in stretti rapporti con Alberto Cecchini, lo aveva avvicinato rappresentandogli che, per ottenere l'appalto, avrebbe dovuto associarsi con altre due ditte che, essendo prive dei prescritti requisiti, sarebbero altrimenti rimaste escluse. Aggiudicato l'appalto, il Di Salvo aveva calcolato nella misura del 2,5% del valore del medesimo l'importo della tangente da corrispondergli ed aveva consegnato al Rossini ed agli altri interessati un foglietto indicante il totalePage 440 da versare e le quote gravanti sulle singole ditte interessate. Infine, il Rossini aveva riferito che, qualche settimana dopo la liquidazione, a titolo di acconto, di una somma pari al 20% del valore dell'appalto, il Cecchini, incontrato casualmente all'interno dei suoi magazzini, Paolo Chiurulli, genero del Rossini, mostratagli una busta contenente un considerevole numero di banconote, gli aveva detto che la somma era destinata, come pattuito, al geom. Di Salvo e, chiarendo che egli aveva approntato anche la parte di competenza del Rossini, gli aveva fatto presente che quest'ultimo avrebbe dovuto provvedere a restituirgli la sua parte.

Secondo il primo giudice tali dichiarazioni dovevano essere considerate attendibili, malgrado i documentati contrasti esistenti fra accusato ed accusatore, poiché trovavano riscontro in quelle del Chiurulli e del Millucci, che pure aveva avuto un ruolo secondario, nonché nel foglietto su cui il Di Salvo aveva calcolato gli importi della tangente e nella lettera 3 agosto 1990, con la quale il Rossini, rispondendo ad una richiesta di denaro avanzata dal Cecchini, dichiarava di non essere intenzionato a «donare tale somma» non ritenendolo giusto in difetto di regolare fattura. Attribuendo un ruolo decisivo al foglietto sopra indicato, il primo giudice evidenzia come il Di Salco ed il Cecchini, richiesti di spiegare il significato dell'appunto, si fossero contraddetti, avendo sostenuto il primo che l'importo del 2,5% costituiva il fondo spese per la gestione dell'appalto, mentre il secondo aveva asserito che trattavasi della somma richiesta dallo stesso Di Salvo per sovraintendere, per conto dell'associazione temporanea d'impresa, all'esecuzione dell'appalto, e come il Di Salvo, fatto oggetto, a suo dire, di richieste minacciose da parte del Rossini, non avrebbe potuto ricollegarle a quei conteggi se i medesimi non fossero stati ricollegabili, a loro volta, ad alcunché di illecito. A parere del giudice per l'udienza preliminare ricorre il delitto contestato in considerazione del rapporto d'impiego intercorrente fra il Di Salvo e l'università, del ruolo svolto nella vicenda dal detto Di Salvo, a nulla rilevando la circostanza che questi, nell'ambito delle sue mansioni, non si occupasse degli appalti, del rapporto di fiducia che legava il Di Salvo al Cecchini, desumibile dall'avere quest'ultimo chiamato il Di Salvo nel suo ufficio per discutere dell'appalto e dall'essersi lo stesso Di Salvo rivolto proprio al Cecchini quando, sentitosi minacciato dal Rossini, volle rintracciare il conteggio da lui manoscritto, del ruolo svolto dal Cecchini che aveva facilitato la commissione del reato, convincendo il Di Salvo della sua riuscita e rafforzandone il proposito criminoso. Il primo giudice, infine, ha ritenuto di potere individuare le ragioni che avevano indotto il Cecchini di agire nel modo descritto, nell'intento di acquisire maggiori benemerenze verso il Di Salvo e di poter calcolare il quantum di utile che sarebbe derivato al Rossini, verso cui vantava crediti, dall'esecuzione dei lavori.

L'imputato, a mezzo dei difensori, avvocati Gerardo Gatti e Fernando Mucci, propone tempestivo appello contro la sentenza in epigrafe, chiedendo di essere assolto perché il fatto non sussiste e sostenendo che non v'è prova atta a dimostrare che egli abbia cooperato nel reato che si assume essere stato commesso dal pubblico ufficiale. Rileva in proposito l'appellante che il giudice per l'udienza preliminare non si è preoccupato di spiegare come il Di Salvo avrebbe potuto influire sui meccanismi di aggiudicazione dell'appalto, assegnato con...

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