Giurisprudenza di merito

Pagine547-554

Page 547

@CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 2 febbraio 2007, n. 824. Pres. D'Arienzo - Est. Giannelli - P.G. Galasso (conf.) - Imp. Di Palma.

Giudizio civile e penale (rapporto) - Cosa giudicata penale - Autorità nei giudizi civili o amministrativi - Fondamento - Conseguenza. Esercizio arbitrario delle proprie ragioni - Con violenza sulle cose - Configurabilità del reato a ca- rico del proprietario o del possessore - Ammissibilità - Ragioni.

Il giudice penale, fuori dei casi contemplati dall'art. 3 c.p.p., non è mai vincolato dalle decisioni del giudice civile, attesa la prevalenza delle decisioni penali su quelle civili (ed amministrative) ex artt. 651 e ss. c.p.p. (C.p.p., art. 3; c.p.p., art. 651) (1).

La «violenza sulle cose» di cui all'art. 392 c.p. ben può essere operata dal proprietario o dal possessore, poiché la suddetta violenza non si richiede riguardi cose altrui, in considerazione, soprattutto, della natura del bene giuridico tutelato (Amministrazione della Giustizia), anche alla luce del disposto dell'art. 670 c.p.c. (C.p., art. 392) (2).

    (1) In argomento si veda quanto ha espresso la Cassazione civile, con sentenza del 27 febbraio 1996, n. 1501, in Foro it. 1997, 1, 1758 con nota di TRISORIO LIUZZI, secondo cui, poiché nel nuovo codice di procedura penale non è stata più riprodotta la disposizione di cui all'art. 3 comma 2 del codice abrogato, si deve ritenere che il nostro ordinamento non sia più ispirato al principio della unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile, essendo stato dal legislatore instaurato il sistema della pressoché completa autonomia e separazione fra i due giudizi, nel senso che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione del processo civile previste dall'art. 75 comma 3 del nuovo c.p.p., il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e il giudice civile deve procedere a un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità civile dedotti in giudizio.

(2) In generale, con riferimento all'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, si veda Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2001, Scalise, in questa Rivista 2001, 647, per la quale è necessario, oltre il dolo generico costituito dalla coscienza e volontà di farsi ragione da sé pur potendo ricorrere al giudice, anche quello specifico, rappresentato dall'intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità; esso, tuttavia, non va confuso con la buona fede dell'agente che, lungi dall'essere inconciliabile con il dolo, costituisce un presupposto necessario del reato.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - La sentenza del primo giudice dev'essere confermata, con la conseguente condanna dell'imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Duolesi l'appellante non aver tenuto conto, il giudice di primo grado, degli esiti del giudizio civile in fase cautelare, ove è stato ritenuto non provato il possesso del diritto di passaggio da parte di Di Leone e Civitillo; sostiene non potersi discutere di sussistenza del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 392 c.p., avendo operato, l'odierno appellante, in rem propriam.

Quanto al primo punto, osserva questa Corte che, anche ben al di là della fase cautelare, la sentenza del giudice civile non farà mai stato nel processo penale.

Invero, le uniche pregiudiziali vincolanti a judice civili sono quelle di cui all'art. 3 c.p.p., in tema di status familiae e di status civitatis; fuori di questo contesto vige l'inesorabile dettato degli artt. 651 e 652 c.p.p., a norma dei quali è la decisione del giudice penale ad essere imprescindibile in sede civile.

Tanto precisato, è a dirsi che bene il primo giudice ha motivato circa gli elementi comprovanti l'utilizzazione del passaggio, inibito dal Di Palma, da parte di Civitillo Teresa e di Di Leone Elia: la circostanza in esame, non solo è affermata dalle due suddette persone, ma anche da parte dei testi D'Oria Anna, Fabbri Emilia e Buonomo Anna, che hanno, tutte, sostenuto di essere state solite passare proprio lungo il vialetto poi trovato chiuso con lucchetto, operazione constatata dal maresciallo Altobelli, della stazione locale dei Carabinieri.

Che esistesse un contrasto quanto al passaggio inibito, sostanzialmente, confermano anche i testi della difesa: Grieco Francesco, genero dell'imputato, pur sostenendo di non aver mai visto la Di Leone utilizzare il passaggio - il che non toglie, peraltro, che la Di Leone possa esser passata quando egli non l'aveva vista - parla di ingiurie a lui rivolte dalla Di Leone nel vederlo passare, il che conferma il contrasto, la tensione e la pretesa di cui trattasi, «condotta» anche in sede giudiziaria; Di Biase Luigi, altro teste di difesa, non può esimersi dal riferire «come so io, la strada mi sembra che sia in comune».

Storicamente, allora, non pare - alla stregua dei risultati della istruttoria dibattimentale - possano esser nutriti dubbi di sorta su di una lite in corso - nei sensi dedotti in contestazione - di un'operata violenza alle cose da parte dell'odierno appellante, al fine di esercitare un preteso diritto. Page 548

Rimane da esaminare il problema se la violenza reale ex art. 392, 2º comma, c.p. possa esercitarsi su cosa che sia nella proprietà o nel possesso dell'agente.

Al quesito, parte della dottrina, e parte della giurisprudenza del Supremo Collegio, hanno ritenuto dover dare risposta negativa (contra: Cass., sez. III, 3 marzo 1964, Volpe, Giust. pen. 1964, II, 659, 836; Id., 30 marzo 1965, Lanciotti ed altro, Giust. pen. 1966, II, 790; sez. II, 15 luglio 1957, Garibaldi, RIDPP 1958, 1222).

Questa Corte non intende seguire il succennato indirizzo.

In primis, v'osta una considerazione d'ordine sistematico-strutturale: mentre, ad esempio, gli artt. 624 e 628 c.p. pongono come presupposto della fattispecie l'altruità della cosa, l'art. 392, 1º e 2º comma, c.p. parla, sic et simpliciter, di «violenza sulle cose», come recita anche la rubrica legis, che, qualora non contraddetta da forti elementi di segno contrario offerti dal corpo della norma, è legge al pari delle altre, non potendo, in tal caso, trovare applicazione il principio rubrica legis non est lex.

La seconda considerazione da operare è conseguenziale alla prima: il legislatore non ha richiesto il presupposto dell'altruità della cosa quanto al delitto di cui all'art. 392 c.p. in ossequio alla natura del bene tutelato, che è la difesa, dalla «tutela arbitraria delle private ragioni», della Amministrazione della Giustizia.

Già l'ottimo Marco Aurelio, nel «Decretum divi Marci» (non est singulis concedendum quod publice per magistratum possit fieri, ne occasio sit majoris tumultus faciendi), aveva ben delineato la ratio dell'odierna fattispecie, senza alcuna eccezione per il proprietario, o , peggio, per il possessore.

Se non fossero fondate le argomentazioni di questa Corte, verrebbe meno la tutela dell'amministrazione della Giustizia proprio per materie (la proprietà e il possesso) (oltre il credito) ove il legislatore - vedasi art. 670 c.p.c. (sequestro giudiziario) - ha inteso esigere che al giudice ci si rivolga, e non ad altri: se così non fosse, non fosse, cioè, assicurata questa garanzia di civiltà giuridica, il proprietario diverrebbe un feudatario, capace di disporre a proprio libito in caso di timore di jure in aliena: a tanto porterebbe seguire l'indirizzo che qui si critica.

Alla conferma della sentenza di primo grado consegue la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di difesa sostenute - relativamente al presente grado di giudizio - dalla parte civile, che vanno liquidate - tenuto conto dell'attività svolta - in euro 600,00, oltre IVA e CPA come per legge. (Omissis).

@TRIBUNALE DI ROMA PROCURA DELLA REPUBBLICA Rich archiviazione, 6 marzo 2007. Est. de Marinis - Imp. Riccio.

Omicidio - Del consenziente - Eutanasia - Paziente in stato vegetativo permanente - Diritto all'interruzione del trattamento terapeutico - SussistenzaInterruzione della ventilazione automatica con il sostegno del medico - Rilevanza penale del comportamento del sanitario - Insussistenza.

Deve riconoscersi in capo ad un soggetto in stato vegetativo permanente il diritto fondamentale a rifiutare i trattamenti medici di c.d. «sostegno vitale» che, alla luce del diritto interno ed internazionale, non possono essere imposti coattivamente al paziente che sia dissenziente e nemmeno proseguiti contro la sua volontà stante la revocabilità del consenso. Ne consegue che non può essere considerato contra legem il comportamento del medico il quale, in presenza di una impossibilità fisica del paziente, abbia dato effettività al diritto del paziente di non continuare il trattamento terapeutico operando materialmente, come nel caso di specie, il distacco del ventilatore automatico così determinando una...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT