Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1141-1149

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@CORTE DI APPELLO DI CALTANISSETTA Sez. II, 19 luglio 2007, n. 660. Pres. Nicastro - Est. Binenti - Imp. Gonzales ed altri.

Inquinamento - Rifiuti - Nozione - Ambito applicativo - Classificazione del fok come rifiutoEsclusione.

Il fok, sostanza derivata da un taglio petrolifero di particolare pregio detto virgin nafta all'interno del processo c.d. di Steam Crecking, non va classificato come un rifiuto, ma costituisce un prodotto come tale non soggetto alla disciplina del D.L.vo 22/1997. (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6; D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 14).

MOTIVI DELLA DECISIONE. (Omissis).

Al capo b) della rubrica del processo 55/03 R.G. Trib. era, infine, contestata agli imputati Rivoli e Gonzales, sempre in relazione ai rispettivi periodi di direzione come sopra specificati, la cessione a titolo oneroso all'Agip Petroli e pertanto la messa in commercio, in mancanza delle prescritte autorizzazioni, della sostanza denominata fok (fuel oil da cracking), da qualificarsi rifiuto inserito con cod. CER 07 01 09 nell'all. D del D.L.vo 22/97.

In merito, nella motivazione della sentenza resa in data 21 ottobre 2004, si osservava, tenuto conto di quanto riferito dai predetti consulenti tecnici dell'accusa, che il processo di produzione dell'etilene, tramite carica liquida di idrocarburi saturi provenienti alla raffineria (virgin nafta) e altra carica gassosa, generava oltre all'etilene diversi altri prodotti, fra cui anche la corrente denominata fok (costituita per il 40% da naftaline e per il 60% da idrocarburi aromatici ed altri idrocarburi pesanti), inviata mediante tubazione a stoccaggio, per essere poi venduta come combustibile all'Agip Petroli Spa.

Tale corrente doveva qualificarsi rifiuto pericoloso in quanto fondo di distillazione e residuo di reazione del processo di produzione dell'etilene, contemplato per l'appunto col cod. CER 07 01 08 nell'all. D del D.L.vo 22/97.

Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale, disattendendo tutte le contrarie osservazioni svolte dai consulenti della difesa, evidenziava che:

- il conseguimento del fok, pari solamente al 3-4% dei prodotti in uscita, non costituiva lo scopo primario dell'impianto in questione, poiché detta sostanza non era ricercata ai fini dell'utilizzo ulteriore; consistente nella messa in commercio che, invero, risultava avvenuta solo dal 2000 e che, di per sé, secondo la giurisprudenza comunitaria, non poteva portare ad escludere il disfarsi di una sostanza;

- lo stesso utilizzo del fok, quale combustibile, richiedeva condizioni di massima prudenza a causa della sua particolare composizione, trattandosi infatti di una miscela di sostanze cancerogene, taratogene e mutagene, non aventi una composizione precisa, poiché essa di volta in volta dipendeva dalla reazione e dalla carica iniziale utilizzata per generare il prodotto principale, rimanendo così confermato che si trattava di sostanza non ricercata e pertanto di residuo di produzione in esubero e da esitare (l'immutabilità delle caratteristiche del fok peraltro non poteva desumersi dai riferimenti ai pochi parametri indicati negli allegati agli atti contrattuali ed anzi era risultata smentita dagli stessi esiti dei rapporti di prova effettuati);

- proprio a causa della composizione non predeterminabile, il fok non poteva ricondursi alla categoria degli oli combustibili di cui al D.P.C.M. 8 marzo 2002, tanto più che non si trattava di semplice «derivato del petrolio», ma semmai di «derivato da derivato dal petrolio», poiché nel «processo di cracking catalittico» in questione, così come descritto dai consulenti dell'accusa, la carica era costituita anche da molti altri composti e non si realizzava una semplice distillazione frazionata finalizzata ad estrarre i singoli composti della carica idrocarburica iniziale, ma avveniva invece una vera e propria trasformazione e cioè un «cracking termico», che non estraeva i composti facenti parte della carica iniziale, ma rompeva le macromolecole della carica entrante attraverso complesse reazioni;

- detto residuo del processo di produzione di altre sostanze, laddove oggetto di contratto di vendita non era riutilizzato nel medesimo processo produttivo, ma da altra impresa come combustibile per produrre energia, in modo da verificarsi un'operazione di recupero di cui al punto R1 dell'allegato C del D.L.vo 22/97 («utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia»), operazione tanto più pericolosa per l'ambiente e la salute poiché, a causa di detta variabilità della composizione del fok, non era possibile calibrare sistemi e limiti di abbattimento delle emissioni.

(Omissis).

Ciò premesso, quanto all'imputazione di cui al capo b) della sentenza del 20 ottobre 2004 (quella relativa al fok), anche questa Corte deve dare atto preliminarmente che in materia ci si deve uniformare alle pronunzie rese dalla CCEE, essendo essa il supremo organo giurisdizionale chiamato ad interpretare, con decisioni di diretta applicazione negli Stati, le disposizioni comunitarie aventi a loro volta già efficacia im-Page 1142mediata negli ordinamenti nazionali, sì da prevalere sulla stessa normativa interna meramente attuativa.

Le pronunzie in materia della CCEE maggiormente significative rese fino al momento della deliberazione dell'impugnata sentenza sono quelle richiamate dallo stesso tribunale e poi negli atti di appello. Ci si riferisce in particolare alle sentenze 15 giugno 2000 Arco Chemie, 18 aprile 2002 Palin Granit Oy e 11 settembre 2002 Avesta Polarit Chrome. Nelle motivazioni di tali pronunzie si affermavano i principi preliminarmente richiamati dal primo giudice, avuto riguardo in particolare all'individuazione della nozione di rifiuto ed alla concreta valutazione degli elementi indiziari che a tal fine rilevano nell'ambito del richiesto preliminare accertamento della condotta e ancor prima della volontà del «disfarsi» del bene. E con particolare riferimento all'ipotesi dell'utilizzo di un «residuo di produzione», intendendosi per esso una sostanza che non è stata ricercata in quanto tale, nella sentenza Palin Granit si precisava: «Può essere pertanto ammessa un'analisi secondo la quale un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è destinato a produrlo può costituire non tanto residuo, quanto un sottoprodotto, del quale un'impresa non ha intenzione di «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 74/442, ma che essa intende sfruttare o mettere in commercio a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. Un'analisi del genere non contrasta infatti con le finalità della direttiva 75/442, poiché non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni di quest'ultima, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valori di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti. Tuttavia, tenuto conto dell'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, al fine di limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nell'ambito del processo di produzione». Siffatta posizione era ribadita dalla CCEE non solo nella sentenza Avesta Polarit Chrome, ma anche più recentemente nell'ordinanza 15 gennaio 2004 Saetti-Frediani, parimenti richiamata negli atti di impugnazione, avente ad oggetto il petcoke della raffineria di Gela dell'Agip Petroli Spa.

A tali decisioni seguiva poi quella dell'11 dicembre 2004, Niselli, con la quale la CCEE si pronunziava in via pregiudiziale in ordine all'interpretazione delle disposizioni comunitarie in tema di rifiuti, su domanda proposta dal Tribunale di Terni a seguito dell'introduzione da parte del legislatore italiano dell'art. 14 D.L. 138/2002, convertito con modifiche nella L. n. 178/ 2002.

Nell'occasione la CCEE, dopo avere premesso di volere mantenere fermi i principi in materia come espressi nella sentenza Palin Granit, affermava: «1) La definizione di rifiuto contenuta nell'art...

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