Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine559-586

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 10 febbraio 2005, n. 4899 (ud. 4 novembre 2004). Pres. Marrone - Est. Fumo - P.M. Izzo (conf.) - Ric. P.M. in proc. Mandelli ed altri.

Società - Reati societari - False comunicazioni sociali - Nuova disciplina - Successione della legge nel tempo o abolitio criminis - Continuità normativa - Disciplina transitoria - Applicazione.

In tema di false comunicazioni sociali, qualora, trattandosi di condotta posta in essere prima dell'entrata in vigore del D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61, introduttivo della nuova formulazione dell'art. 2621 c.c., il tribunale abbia assolto l'imputato ritenendo che il fatto non sia più previsto dalla legge come reato, senza peraltro verificare se il fatto medesimo fosse sanzionabile anche in base alla vigente disciplina, l'eventuale ricorso per saltum proposto dal pubblico ministero avverso detta pronuncia per violazione di legge non può che essere rigettato, giacché, in caso di accoglimento, comportando questo, ai sensi dell'art. 569, comma 4, c.p.p., il rinvio al giudice competente per l'appello, quest'ultimo non potrebbe comunque effettuare l'accertamento omesso in primo grado. (Mass. Redaz.). (D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61; c.c., art. 2621) (1).

    (1) La decisione, alquanto singolare, è spiegabile solo ipotizzando che nel ricorso del pubblico ministero non fosse stata dedotta, neppure implicitamente, la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta non inquadrabilità del fatto nella nuova formulazione della norma giacché, altrimenti, il ricorso sarebbe stato da convertire in appello, ai sensi dell'art. 569, comma 3, seconda parte, c.p.p., ed il giudice d'appello ben avrebbe potuto integrare, in un senso o nell'altro, la motivazione mancante, anche ricorrendo, se necessario, alla previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Le richiamate sentenze delle Sezioni Unite, la 16 giugno 2003, Giordano e la 15 gennaio 2001, Sagone, sono state pubblicate in questa Rivista, rispettivamente nel 2004, 145 e nel 2001, 153.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Mandelli Sante, Mandelli Umberto sono imputati in concorso tra loro e con altri di false comunicazioni sociali, con riferimento ai bilanci del 1991 e 1992 della Mandelli Finanziaria Spa e della SITI Srl, oltre che del reato di pagamento di utili fittizi, ai sensi del n. 2 dell'art. 2621, nella sua formulazione anteriore al 2002, con riferimento al bilancio 1991 della Mandelli Finanziaria Spa.

I predetti, in concorso con Pottino Guido Maria, sono inoltre imputati di false comunicazioni sociali, con riferimento ai bilanci 1989, 1990, 1991, 1992.

La sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza della Mandelli è del 9 febbraio 1994, quella dichiarativa dello stato di insolvenza della SITI del 20 dicembre 1993.

Il Tribunale di Piacenza, con sentenza 14 maggio 2002, ha assolto i predetti dai reati loro rispettivamente ascritti perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato a seguito delle innovazioni legislative introdotte dal D.L.vo 61/2002.

Ricorre direttamente per cassazione il competente P.M. e deduce violazione di legge in quanto il tribunale, erroneamente, ha ritenuto di trovarsi di fronte ad un caso di abolitio criminis e non di successione di leggi nel tempo. Tra la precedente e la attuale formulazione dell'art. 2621 c.c. non si riscontra discontinuità normativa, ma un semplice rapporto di specialità, atteso che la nuova norma contiene tutti gli elementi costitutivi di quella precedente ed in più altri, appunto, specializzanti.

Ha errato il tribunale a fare uso dei principi esposti nella sentenza S.U. Sagone (n. 35 del 2001), che contiene l'affermazione, per altro da considerare un obiter dictum, in base alla quale, nel passaggio da una norma generale ad una norma speciale che introduca elementi nuovi non potrebbe intravedersi un fenomeno di successione meramente modificativa di norme giuridiche, ma una vera e propria discontinuità normativa che comporta una radicale abrogazione della norma previgente. In realtà, se si fa riferimento alla concreta condotta, si rileva che essa era punibile prima ed è punibile oggi e dunque è senza dubbio da punire, non essendovi, né timore di fornire una interpretazione retroattiva della (nuova) legge, né ragione di ritenere la sussistenza di una frattura nella continuità della norma incriminatrice che non si è mai verificata. La stessa esistenza di una disciplina transitoria, d'altronde, si giustifica solo se si ipotizza la continuità tra la vecchia e la nuova formula normativa e dunque la successione di leggi nel tempo. In concreto le differenze tra la vecchia e la nuova (rectius: le nuove) ipotesi di falso in bilancio, attengono unicamente alle modalità di tutela dell'interesse giuridico, alla sanzione, alle cause di non punibilità. Il precedente reato non è stato abrogato: la fattispecie è stata solo modificata in senso più favorevole all'agente, sulla base di una diversa scelta di politica criminale che ne ha lasciato immutati gli elementi strutturali.

Il 10 giugno 2003 è stata depositata memoria nell'interesse del Pottino a sostegno della richiesta di rigetto del ricorso del P.M. Si sostiene che, nel caso inPage 560 cui la Corte di cassazione dovesse ipoteticamente decidere per l'annullamento con rinvio, trattandosi di ricorso per saltum del P.M., il rinvio dovrebbe avvenire innanzi alla competente corte di appello; tuttavia, poiché nella fase di merito (scil. in primo grado) non è stata accertata la eventuale sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie così come delineata dalla novella del 2002, e poiché tale accertamento non può certamente essere compiuto in sede di appello (né è possibile modificare il capo di imputazione), in realtà un eventuale annullamento dovrebbe esser pronunziato senza rinvio.

Tanto premesso, va subito chiarito che il P.M. è nel giusto quando afferma che ci si trova di fronte ad un caso non di abolitio, ma di successione di leggi nel tempo; non di meno, il ricorso va rigettato.

Invero, le S.U. (con la sentenza n. 25887 del 2003, ric. Giornano, RV 224605) hanno affermato che la nuova formulazione - derivante dagli artt. 1 e 4 D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61 - delle norme che prevedono i delitti di false comunicazioni sociali (e di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario) non comporta l'abolizione totale dei reati precedentemente contemplati, avendo essa viceversa determinato un effetto solo parzialmente abrogativo ad opera di successione di leggi. Rimangono infatti ormai fuori dalla sfera di sanzionabilità penale quei fatti, commessi prima dell'entrata in vigore del citato decreto legislativo, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose.

Orbene, questa Corte, al fine di stabilire se gli elementi richiesti dalla legge sopravvenuta per la persistente configurabilità del fatto come reato abbiano costituito oggetto di accertamento giudiziale, non può che fare riferimento alla decisione del giudice di merito (scil. alla sentenza impugnata).

In tal caso possono prospettarsi tre possibilità: a) il giudice di merito ha eseguito la verifica ed essa ha avuto esito positivo; b) il giudice di merito ha effettuato tale verifica ed essa ha avuto esito negativo; c) il giudice del merito non ha eseguito alcun accertamento (determinandosi - causa non cognita - per l'assoluzione, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato).

Conseguentemente, nella prima ipotesi, la Corte di cassazione, investita dell'impugnazione, nel caso di assoluzione pronunziata dal giudice di merito, non potrà che annullare con rinvio (trattandosi di una decisione contraddittoria); nella seconda ipotesi, se il giudice di merito avesse - erroneamente - condannato, non potrà che annullare senza rinvio (cfr. S.U. Giordano, RV 224606); nella terza ipotesi, in caso di assoluzione e di impugnazione per saltum da parte del P.M. (vale a dire nel caso oggi in scrutinio) non potrà che rigettare il ricorso, in quanto in fase di merito nessun accertamento è stato effettuato e dunque non è dato sapere se la condotta concretamente tenuta dall'imputato integri la nuova (e più restrittiva) fattispecie astratta che la recente disciplina ha introdotto, sostituendola alla precedente. Né tale accertamento potrebbe essere effettuato in sede di rinvio, che avverrebbe innanzi al giudice di secondo grado, dovendosi sul punto pienamente condividere le osservazioni del difensore, formulate nella ricordata memoria del 10 giugno 2003. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 4 febbraio 2005, n. 4009 (ud. 16 dicembre 2004). Pres. Foscarini - Est. Providenti - P.M. Favalli (conf.) - Ric. Scalari ed altra.

Stampa - Diffamazione commessa col mezzo della stampa - Diritto di cronaca - Esimente - Condizioni - Verità dell'affermazione - Interesse pubblico ai fatti riferiti - Obiettività dell'informazione.

Costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, in quanto giustificato dall'interesse pubblico alla conoscenza delle varie reazioni ad un fatto illecito costituito da uno stupro di gruppo, il riferire, da parte del giornalista, mantenendosi in una posizione di obiettiva terzietà, anche le affermazioni, in sè e per sè diffamatorie nei confronti della vittima dello stupro, espresse dai parenti dei presunti autori del fatto. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 595; c.p., art. 57) (1).

    (1) Di diverso avviso appare Cass. pen., sez. V, 22 aprile 1999, P.M. in proc. Simeoni ed altri, in questa Rivista 1999, 553, secondo cui può risultare esente da responsabilità il giornalista che abbia riportato dichiarazioni altrui solo quando la punibilità a titolo di diffamazione di tali dichiarazioni dipenda da una loro ben dissimulata falsità, che abbia resistito alle necessarie verifiche di attendibilità, ma non quando le dichiarazioni siano diffamatorie in sè, per le espressioni adoperate o per la palese falsità delle accuse. Peraltro, le pubbliche dichiarazioni di chi ricopra importanti incarichi istituzionali, sono di...

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