Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine921-948

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 30 giugno 2006, n. 19121 (ud. 16 maggio 2006). Pres. Fazzioli - Est. Piraccini - P.M. (conf.) - Ric. X.

Esecuzione in materia penale - Abolizione del reato - Revoca della sentenza - Concessione di sospensione condizionale della pena prima impedita per altra condanna - Anche nel caso di cui all'art. 164 c.p. - Legittimità.

Il giudice dell'esecuzione, qualora, in applicazione dell'art. 673 c.p.p., pronunci per intervenuta abolitio criminis ordinanza di revoca di precedenti condanne che erano di ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena per altra condanna, può concedere il beneficio non solo nel caso in cui residui un'unica condanna, ma anche nel caso previsto dall'ultimo comma dell'art. 164 c.p., e cioè nel caso in cui vi sia la possibilità di concedere due volte la sospensione, non superando la pena complessivamente inflitta di due anni, e sussistano le condizioni richieste dal primo comma, non valutate prima dal giudice di merito per l'impedimento costituito dalle condanne revocate. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 164; c.p.p., art. 673) (1).

    (1) Sempre in argomento, si vedano Cass. pen., sez. I, 24 gennaio 2005, Schiavone, in questa Rivista 2006, 350 e Cass. pen., sez. V, 11 marzo 2003, Dell'Utri, ivi 2004, 101, per le quali la sospensione condizionale della pena può essere concessa dal giudice dell'esecuzione non soltanto nelle ipotesi di riconoscimento del concorso formale o della continuazione ai sensi dell'art. 671, comma primo, c.p.p., ma anche nel caso di revoca di una o più sentenze di condanna, in quanto i fatti giudicati non sono più preveduti come reato, ai sensi dell'art. 2, comma secondo, c.p. e 673 c.p.p., qualora, a seguito della stessa revoca e della conseguente eliminazione della pena relativa, risulti rispettato il complessivo limite di pena previsto dall'art. 163 c.p. e ciò sia per l'identità di ratio tra la situazione in esame e quella dell'art. 671 del codice di rito, sia perché l'applicazione del beneficio in sede esecutiva rientra tra i possibili «provvedimenti conseguenti» alla revoca di sentenza di condanna per abolitio criminis. La citata sentenza delle SS.UU. del 6 febbraio 2006, Catanzaro, è consultabile in Jus & Lex online, sul sito www.latribuna.it.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Giudice dell'esecuzione di Forlì rigettava la richiesta di applicazione in fase esecutiva della sospensione condizionale della pena, in quanto dopo una prima condanna alla pena di due mesi di reclusione, senza pena sospesa, la seconda condanna a 10 mesi di reclusione non poteva essere sospesa per il divieto di cui all'art. 164 comma 2 n. 1 c.p. di concedere una seconda sospensione; nella stessa circostanza revocava numerose sentenze di condanna pronunciate contro l'imputato in relazione a reati di emissione di assegni a vuoto perché depenalizzati. Contro la decisione presentava ricorso il condannato deducendo violazione di legge in quanto la presenza di una precedente condanna non è di per se ostativa alla concessione di una sospensione quando la somma delle due pene non supera i limiti stabiliti dall'art. 163 c.p. Con memoria presentata successivamente ribadiva che per il principio del favor libertatis il giudice dell'esecuzione non ha il potere di revocare il beneficio della sospensione condizionale per effetto di condanne relative a reati già depenalizzati ma le cui sentenze non sono state ancora revocate e che nel caso in questione quando era intervenuta la sentenza di condanna per il reato giudicato con sentenza del 23 marzo 2000 i reati intermedi erano già stati depenalizzati.

La Corte ritiene che l'ordinanza debba essere annullata con rinvio.

Deve infatti rilevarsi che con sentenza delle Sezioni Unite del 20 dicembre 2005 n. 4687, ric. Catanzaro, dep. 6 febbraio 2006, si è affermato il principio di diritto secondo cui il giudice dell'esecuzione, chiamato a pronunciarsi ai sensi dell'art. 673 c.p.p. sulla revoca di una sentenza di condanna per fatti non costituenti più reato, può disporre la sospensione condizionale della pena inflitta con una condanna successiva qualora l'applicazione del beneficio nel giudizio di cognizione sia stato negato a causa dell'impedimento costituito dalle condanne poi revocate. Nel caso di specie il giudice della cognizione non ha applicato la sospensione condizionale della pena in relazione alla condanna passata in giudicato in data 23 marzo 2000 facendo genericamente riferimento ai precedenti penali dell'imputato e il giudice dell'esecuzione non ha concesso la sospensione ritenendo applicabile l'art. 164 comma 2 n. 1 c.p. in relazione alla presenza di una condanna, condonata, a mesi due di reclusione per reato non depenalizzato. Deve pertanto ritenersi che la decisione delle Sezioni unite, nel frattempo intervenute, consenta al giudice dell'esecuzione di valutare la concedibilità di una sospensione condizionale non consentita prima della revoca delle sentenze intermedie per intervenuta abrogazione del reato. Infatti il giudice dell'esecuzione deve ora compiere quella valutazione che doveva effettuare il giudice di cognizione, in merito all'applicazione dell'ultimo comma dell'art. 164 c.p. che prevede la possibilità di concedere due volte la sospensione qualora la pena complessivamente inflitta non superi i due anni e sussistano le condizioni richieste dal primo comma (sez. I, 14 dicembre 2000 n. 12388, rv. 218453). (Omissis).

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 7 giugno 2006, n. 19584 (ud. 5 maggio 2006). Pres. Rizzo - Est. Fiandanese - P.M. Fraticelli (parz. diff.) - Ric. Capri ed altra.

Cassazione penale - Motivi di ricorso - Vizi della motivazione - Contraddittorietà - Estremi - Individuazione - Incongruenze di minima entità - Irrilevanza.

Cassazione penale - Motivi di ricorso - Vizi della motivazione - Risultanti da «altri atti del processo» specificamente indicati nei motivi di gravameModalità - Individuazione.

Cassazione penale - Motivi di ricorso - Vizi della motivazione - Risultanti da «altri atti del processo» specificamente indicati nei motivi di gravameMutamento della natura del giudizio di cassazione - Esclusione - Possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite - Esclusione.

Reato - Estinzione - Prescrizione - Nuova disciplina - Disciplina transitoria ex art. 10, c. 3, L. n. 251/05 - Ambito applicativo ed esclusioni.

La «contraddittorietà» della motivazione, la cui previsione è stata aggiunta a quella della mancanza e della manifesta illogicità nella nuova formulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. introdotta dall'art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46, consistendo essenzialmente in una deviazione dal principio basilare della logica, che è appunto quello di non contraddizione, dev'essere anch'essa «manifesta», nel senso che il suo spessore dev'essere tale da inficiare la stessa struttura logica della motivazione, rimanendo, per converso, ininfluenti incongruenze che siano di minima entità. (C.p.p., art. 606) (1).

La condizione della specifica indicazione degli «altri atti del processo», con riferimento ai quali, nella nuova formulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. introdotta dall'art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, può essere configurato il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. c), e 591 c.p.p. (C.p.p., art. 606; c.p.p., art. 581; c.p.p., art. 591) (2).

La nuova formulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., introdotta dall'art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del «testo del provvedimento impugnato» anche di «altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame», non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all'intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la Corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito. (C.p.p., art. 606) (3).

In tema di prescrizione del reato, la disciplina transitoria dettata dall'art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005 n. 251, nella parte in cui esclude l'applicabilità dei termini che risultino più brevi per effetto delle nuove disposizioni qualora trattisi di processi già pendenti, alla data di entrata in vigore di detta legge, in appello o in Cassazione o per i quali vi fosse già stata, se pendenti in primo grado, dichiarazione di apertura del dibattimento, va interpretata nel senso che l'esclusione investe non soltanto le disposizioni che stabiliscono i nuovi criteri di calcolo dei termini prescrizionali, ma anche tutte le altre disposizioni che hanno come conseguenza la riduzione di detti termini, tra cui, in particolare, quella che, avendo eliminato, nell'art. 158 c.p., il riferimento alla continuazione, ha fatto sì che anche in caso di reati uniti da tale vincolo la prescrizione decorra dalla data di commissione di ciascuno di essi e non più dalla data di cessazione della continuazione. (L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10; c.p., art. 158)...

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