Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1303-1344

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 15 ottobre 2008, n. 38834 (c.c. 10 luglio 2008). Pres. Morelli - Est. Fiandanese - P.G. (conf.) - Ric. P.M. in proc. De Maio

Misure di sicurezza - Patrimoniali - Confisca - Cose che costituiscono il prezzo del reato - Applicabilità in caso di estinzione del reato - Esclusione.

La confisca delle cose costituenti il prezzo del reato, prevista obbligatoriamente dall'art. 240, comma 2, n. 1, c.p., non può essere disposta nel caso di estinzione del reato. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 240) (1).

    (1) La più volte citata sentenza delle S.U. penali del 23 aprile 1993, Carlea, è pubblicata integralmente in questa Rivista 1993, 1239.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con ordinanza in data 1 febbraio 2007 il Gip del Tribunale di Napoli, investito quale giudice dell'esecuzione, respingeva l'opposizione presentata, ex art. 667, comma 4, c.p.p., dal P.M. contro il provvedimento del 21 luglio 2007 che aveva disposto il dissequestro e la restituzione a De Maio Francesco di alcuni beni costituenti il prezzo dei reati di corruzione a lui ascritti, in relazione ai quali il Gip del Tribunale di Napoli, con sentenza in data 11 dicembre 2002, confermata dalla corte di appello della stessa sede in data 12 ottobre 2004, aveva dichiarato non doversi procedere per essere i reati estinti per prescrizione, nulla disponendo in ordine agli oggetti in sequestro.

Con la sua ordinanza il Gip richiamava i principi formulati, sia pure incidenter tantum, dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte n. 5 del 25 marzo 1993, Carlea, ritenendo che essi non fossero superati da successive e convincenti decisioni di segno opposto e che, pertanto, solo le cose oggettivamente criminose potessero essere confiscate anche in assenza di sentenza di condanna, ai sensi del disposto dell'art. 240, comma 2, c.p.

Ha proposto ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, argomentando dal combinato disposto degli artt. 240, 236 e 210 c.p., in quanto l'art. 236, comma 2, c.p. prevede espressamente che, nell'ipotesi di confisca, non si applica la norma di cui all'art. 210 c.p., la quale, a sua volta, al primo comma, prevede che l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza, con la conseguenza, ad avviso del P.M. ricorrente, che la confisca, qualora ne ricorrano gli altri presupposti, può essere disposta anche in caso di estinzione del reato; ritenere che, nei casi di proscioglimento, la confisca possa essere disposta solo nelle ipotesi previste dall'art. 240, comma 2, n. 2, c.p., renderebbe priva di senso la disciplina derogatoria dell'art. 236 c.p. Inoltre, secondo il P.M. ricorrente, non sarebbe pacifico che la frase «anche se non è stata pronunciata condanna», collocata alla fine del n. 2 del comma 2 dell'art. 240 c.p. si riferisca solo alle cose indicate in tale numero e non anche a quelle indicate nel n. 1 del medesimo comma, dovendosi ritenere, al contrario, che tale frase, collocata alla fine del capoverso per mere ragioni espositive, si riferisca ad entrambe le categorie di cose elencate ai nn. 1) e 2) di detto capoverso; d'altro canto, diversamente argomentando, non si comprenderebbe perché l'inciso «in caso di condanna» sia riportato solo nel primo comma di detto articolo, a proposito di altre categorie di cose, e non sia stato ripetuto anche nel n. 1 del secondo comma.

La I sez. penale di questa Corte, alla quale il ricorso era stato assegnato, con provvedimento del 28 marzo 2008 ne disponeva la rimessione alle Sezioni Unite.

Il provvedimento di rimessione rilevava che l'orientamento espresso dalla ciatata sentenza n. 5 del 1993 delle Sezioni Unite, chiamata a decidere del caso particolare della confisca prevista dall'art. 722 c.p. e non della più generale ipotesi disciplinata dall'art. 240 c.p., era stato seguito da pronunce conformi, mentre altre sentenze si erano espresse in modo contrastante. Osservava, inoltre, che la ratio che aveva ispirato le Sezioni Unite, cioè il timore di superamento in sede di cognizione o addirittura in sede esecutiva dei limiti della cognizione, aveva visto con il tempo, attraverso varie modifiche legislative e la evoluzione giurisprudenziale progressivamente abbandonare il «mito» del giudicato, attraverso l'attribuzione al giudice dell'esecuzione di accertamenti ben più pregnanti di quelli della configurabilità astratta del fatto reato.

Il difensore di De Maio ha depositato memoria, nella quale si richiama la nuova disciplina in materia di confisca contenuta negli artt. 322 ter e 335 bis c.p., con specifico riferimento alla corruzione, reato appunto contestato al De Maio. Tale disciplina, che individua quale presupposto legale per l'ammissibilità della misura ablativa, una sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta, sarebbe applicabile nel caso di specie, pur con riferimento a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, poiché, ai sensi dell'art. 199 c.p. (rectius art. 200 c.p.), in materia di misure di sicurezza deve applicarsi la normativa vigente al momento della loro esecuzione e non quella in vigore al tempo della commissione del fatto criminoso.

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Lo stesso difensore aggiunge che, anche nell'ipotesi in cui si ritenga l'applicabilità nel caso di specie della disciplina generale di cui all'art. 240 c.p., in luogo di quella speciale ex artt. 322 ter e 335 bis c.p. rimane fermo che condizione della operatività della misura di sicurezza della confisca deve essere una sentenza di condanna, con l'unica eccezione delle cose obiettivamente criminose, poiché l'inciso «anche se non è stata pronunciata sentenza di condanna» è contenuto solo nel n. 2 del comma secondo dell'art. 240 c.p.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Occorre preliminarmente osservare che non è accoglibile la tesi esposta nella memoria difensiva, che se fondata sarebbe rilevabile d'ufficio, circa la applicabilità della nuova disciplina in materia di confisca dettata dall'art. 322 ter c.p. con riferimento, tra gli altri reati, alla corruzione, che era stata, appunto, contestata al De Maio. Infatti, per espresso disposto dell'art. 15 della legge 29 settembre 2000, n. 300, che ha introdotto il citato art. 322 ter, la nuova normativa non è applicabile «ai reati commessi prima del 22 ottobre 2000». Nel caso di specie, trattandosi di reato commesso in data anteriore a quella da ultimo indicata, deve applicarsi la normativa generale al tempo vigente, cioè quella di cui all'art. 240, comma 2, n. 1, c.p.

Ciò osservato, occorre procedere ad una corretta ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali della Corte Suprema sulla questione sottoposta all'esame di queste Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte sulla medesima questione si sono già espresse con la sentenza 25 marzo 1993 n. 5, Carlea (RV 193120). In verità, le Sezioni Unite erano state chiamate a pronunciarsi sulla interpretazione del disposto dell'art. 722 c.p., che, con riferimento alle contravvenzioni relative al giuoco d'azzardo, prevedeva che «è sempre ordinata la confisca del denaro esposto nel giuoco e degli arnesi od oggetti ad esso destinati», essendosi manifestato, con riguardo a tale specifica norma, un contrasto giurisprudenziale fra la tesi secondo cui essa sarebbe stata da intendere nel senso della obbligatorietà della confisca anche in caso di proscioglimento e quella secondo cui l'obbligatorietà avrebbe comunque dovuto avere come presupposto una pronuncia di condanna. La citata sentenza delle Sezioni Unite afferma che l'avverbio «sempre» di cui al citato art. 722 c.p. ha «inteso rendere obbligatoria una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa», ma «non sta a significare che la misura deve essere disposta anche nel caso di proscioglimento e in particolare nel caso di estinzione del reato».

Peraltro, la stessa sentenza ritiene che tale conclusione interpretativa abbia necessità di essere saggiata alla luce del disposto di cui all'art. 240 c.p., poiché se la misura della confisca in caso di estinzione del reato «non può ritenersi legittimata dalla disposizione speciale dell'art. 722 c.p. rimane da chiedersi se la legittimazione non possa tuttavia farsi derivare dalle norme generali sulla confisca».

Le Sezioni Unite, quindi, prendono posizione anche su un contrasto giurisprudenziale che esse stesse rilevano essersi manifestato sulla interpretazione del combinato disposto degli artt. 210, 236, comma 2, e 240, affermando che «nei casi dell'art. 240, comma 1, e comma 2, n. 1, come in quello dell'art. 722 c.p., essendo richiesta la condanna, la confisca se il reato è estinto non può essere disposta, mentre a una diversa conclusione deve pervenirsi nel citato art. 240, comma 2, n. 2, che impone la confisca anche nel caso di proscioglimento».

Appare evidente, quindi, che i principi formulati dalla citata sentenza n. 5 del 1993 delle Sezioni Unite sulla questione in esame non possano definirsi in senso proprio un obiter dictum, poiché non sono stati pronunciati in modo incidentale, occasionale, non necessario alla ricostruzione logica del sistema normativo, bensì come premessa sistematica indispensabile alla soluzione del caso specifico.

La sentenza della sez. I, 25 settembre 2000, n. 5262, Todesco (RV 220007), segnalata nell'ordinanza di rimessione come espressione di contrasto giurisprudenziale, si richiama, senza autonoma motivazione, ad una non meglio precisata «risalente giurisprudenza», che si basa sul combinato disposto degli artt. 236, comma 2, e 210 c.p., ritenendo non conferente il richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993, poiché essa si riferirebbe «al caso particolare della confisca prevista dall'art. 722 c.p.».

Nessun argomento può trarsi anche dall'altra sentenza sez. V, 14 gennaio 2005, n. 6160, Andronico, RV 231173, sempre segnalata nell'ordinanza di rimessione, quale espressione dello stesso indirizzo interpretativo della citata sentenza Todesco, per avere ritenuto che la morte del soggetto...

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